Lupin Parte 3 – Recensione, un guilty pleasure privo di credibilità

Ecco la nostra recensione della terza parte di Lupin, la serie originale Netflix, che riparte un anno dopo le vicende della seconda stagione.

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Di giacomotrivellato Recensioni Lettura da 6 minuti
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Lupin Parte 3

Lupin, la produzione Netflix di origine francese con protagonista Omar Sy, è tornata con la sua terza parte. Questa è subito schizzata in cima alla classifica delle serie tv più viste, confermando il successo che avevano avuto le due precedenti. Ma si tratta di un successo meritato? La risposta che possiamo dare é “sì e no”. Andiamo con ordine e analizziamo in recensione la Parte 3 di Lupin.

Ritorno in patria

La scorsa stagione era terminata con la fuga del protagonista, il ladro gentiluomo Assane Diop, che inseguito dalla polizia ha dovuto salutare la propria famiglia per poter sfuggire alla giustizia. La nuova stagione riparte da qui, circa un anno dopo, col ritorno del protagonista a Parigi, deciso a sistemare le cose.

La definizione più esatta che si possa dare della serie (e non solo di questa stagione) è probabilmente quella di “guilty pleasure”, ovverosia uno di quei prodotti che appassionano e non si può smettere di guardare nonostante ci si renda conto essere pieni di errori e debolezze strutturali. E questo è esattamente il caso di Lupin, che in questa stagione conferma quello che aveva mostrato nelle altre due: l’assoluta mancanza di plausibilità. Ovviamente una serie, specialmente una di questo tipo, che racconta di un ladro che si ispira ad Arsenio Lupin nella Parigi moderna e compie furti incredibili, necessita di una certa sospensione dell’incredulità, ma qui si eccede decisamente.

Questo accade già a partire da una delle prime sequenze del primo episodio, quando in un flashback, durante una rapina, Assane Diop riesce ad aprire una valigia a mani nude stando a circa venti centimetri dal proprietario, senza che lui se ne accorga. Questo sarà solo l’ inizio. Più tardi il protagonista contatterà un suo vecchio amico per aiutarlo in un furto, chiedendogli di spacciarsi per un agente di polizia. Al complice basterà presentarsi come tale alle forze dell’ordine per avere accesso completo al luogo dov’ è custodito l’oggetto del furto. Nessuno gli chiederà dei documenti, nessuno chiamerà i superiori per verificare la sua identità. Più o meno, le stesse forzature si presenteranno durante tutta la stagione, mentre il protagonista dovrà sfuggire alla polizia, arrivando a fingersi morto, e lottare con un nuovo nemico, che lo obbligherà a compiere dei furti per suo conto sotto ricatto. In tutto ciò, parallelamente dovrà cercare di riavvicinarsi con la sua famiglia.

Sempre più assurdo

Durante i vari episodi, assisteremo a situazioni sempre più improbabili: dal protagonista che sembra riuscire ad avere i numeri di cellulare di chiunque senza che venga spiegato come li ottenga, a dei poliziotti che si rifiutano ostinatamente di ascoltare chi nelle stagioni precedenti aveva risolto il caso (l’agente Guèdira), allo stesso Guèdira che sospetta che Assane abbia falsificato la sua morte ma non si degna di far disseppellire la sua bara per scoprirlo. Non solo , arriviamo anche personaggi che dopo essere stati rinchiusi in una stanza per giorni scappano dalla finestra senza problemi, fino ai comportamenti del tutto illogici dei personaggi giustificati solo per rendere più interessante la storia. Gli stessi personaggi sono poi un ulteriore difetto: piatti, monodimensionali senza nessun particolare approfondimento. Certo, non è obbligatorio presentare personaggi sfaccettati per la buona riuscita di una serie, ma sarebbe almeno auspicabile che non sconfinino nella banalità come accade qui.

La moglie e il figlio del protagonista ricalcano stereotipi fin troppo consolidati in questo genere di narrativa. Benjamin, il complice di Assane, si limita ad  assisterlo senza particolari guizzi. I poliziotti invece non hanno nessun ruolo attivo nella storia, ad eccezione del già citato Guèdira, che però nonostante la sua conoscenza di Arsenio Lupin, non fa poi una figura particolarmente migliore dei suoi colleghi. Un certo interesse lo desta invece il villain, la cui identità si scoprirà solo verso la fine e che nonostante non sia molto presente viene tratteggiato con una certa cura.

Dopo tutto questo, come mai continuiamo a vedere Lupin? Come mai non riusciamo a smettere di farlo? Perché, come tutti i guilty pleasure, è coinvolgente, intrattiene, tiene sulle spine. Sa come attrarre l’attenzione e come appassionare con dei colpi di scena ben fatti. Perché, per quanto i piani del protagonista siano improbabili, non si può negare che vederlo uscire sempre vincitore dia grandi soddisfazioni; ma anche perché Omar Sy è sempre un grande attore e interpreta il suo personaggio con la giusta classe e simpatia, riuscendo a non sembrare troppo ” perfettino” nel suo ruolo.

Quindi alla fine, nonostante tutto, vale decisamente la pena vedere questa serie, soprattutto per passare un po’ di tempo spensieratamente e spegnere il cervello. Plauso finale va fatto, come – quasi – sempre, al solito impeccabile doppiaggio italiano.

Lupin Parte 3
7
Voto 7
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