Tutti noi ricordiamo la nostra adolescenza come di un periodo fatto di frasi non dette e incomprensioni, un periodo sì di crescita ma comunque sempre accompagnato da una serie di dubbi che si scontrano inevitabilmente col mondo circostante e col mondo degli adulti, delineando momenti che restano sospesi non trovando una risposta definitiva se non riflettendoci in seguito. La consapevolezza è quella che ci manca mentre cadiamo a capofitto nella vita, mentre cerchiamo di delineare qualcosa che ancora non comprendiamo a fondo e per questo ci ritroviamo a correre da una strada all’altra, alle volte senza neanche rifletterci davvero, senza starci troppo a pensare, ricavandone anche esperienze segnanti che ti restano dentro, mentre il tempo scorre inesorabile e le pressioni della vita avanzano da dietro l’angolo. Il rapporto con il prossimo, il rapporto con le istituzioni e con i genitori, tutto procede con un peso differente nel corso dell’adolescenza, disegnando un primo percorso tutto personale forse non troppo allineato come gli altri vorrebbero, ma comunque fondamentale nella comprensione delle dinamiche del mondo, e nella lettura, seppur iniziale, di se stessi. É come se ci si ritrovasse a rincorrere qualcosa d’imprecisato che sfugge via continuamente, qualcosa di fuggevole come il tempo stesso, e mai più tangibile una volta superato, quella delicatezza particolare che l’età adulta cancella quasi del tutto. All’ombra di tutto ciò sorge Licorice Pizza, nuovo film di Paul Thomas Anderson di cui oggi andremo a parlare nella nostra recensione.
Purezza
Se ne Il Filo nascosto Thomas Anderson ha voluto incentrare le proprie riflessioni proprio all’interno delle dinamiche tossiche del mondo adulto, qui invece ha deciso di scrollarsi di dosso tutto quanto in funzione di una narrazione molto più sobria e totalmente incentrata su un amore più puro, su qualcosa di molto più delicato e “infantile” rispetto al passato. Questo cambiamento di rotta è palese fin dal primissima inquadratura, dal primissimo movimento di macchina a catturare un mondo lungi dalle tossicità precedenti, concentrato altrove e avvolto da particolari ingenuità. Gli amori di giovinezza quindi, disegnati da un periodo storico ben preciso, il 1973 e da tutte le particolari sonorità del caso.
Parlare di musica non è casuale specialmente quando il titolo del film resta da una parte abbastanza sospeso, e dall’altra palese per chi conosce l’argomento. Licorice Pizza infatti è sia il modo in cui venivano chiamati i dischi in vinile una volta (pizze di liquirizia appunto) e sia il nome di un celebre negozio di dischi della California. É quindi fondamentale aprire questa recensione di Licorice Pizza sottolineando il valore non soltanto sonoro ma anche concettuale ed emotivo che la colonna sonora assume scena dopo scena. Non un semplice riempitivo quindi, ma un vero e proprio elemento fondamentale nel disegnare un contesto e un momento particolare nella vita dei suoi due giovani protagonisti.
E’ il 1973 in questa San Fernando Valley fotografata con un occhio parecchio nostalgico, lo si può notare dalle prime inquadrature in apertura, nella scelta dei soggetti inquadrati e nel modo in cui ci vengono presentati i due protagonisti della pellicola. Da una parte abbiamo Gary Valentine (Cooper Hoffman), un giovane attore di 15 anni e show man dal carattere fermo e sicuro. Il suo obbiettivo principale è quello di arrivare da qualche parte, è il classico ragazzino con il successo precoce, è convinto di sapere come funziona il mondo, è sicuro di sé e indipendente; dall’altra abbiamo Alana Kaine (Alana Haim), una giovane donna di dieci anni più grande che si muove lungo un percorso del tutto differente, la conosciamo in un momento della sua vita in cui deve ancora decifrare se stessa e i suoi obiettivi, in attesa di conferme e di delinearsi in qualche modo. Tutto in Licorice Pizza si accende e parte, come abbiamo visto anche nella recensione di Red, da un evento semplicissimo che mette in moto tutto il resto: l’incontro di questi due. Fin dai primissimi dialoghi Paul Thomas Anderson non soltanto delinea perfettamente le caratteristiche di entrambi, ma getta le basi di tutti i successivi eventi ad incorniciare le loro esistenze.
Anche perché non si parla, banalmente, di una semplice storia d’amore che si apre con il primo incontro, piuttosto dell’inizio di qualcosa, di una particolare cotta fatta di momenti no e di momenti sì, d’incomprensioni e di complicazioni soggettive e specifiche, di un continuo correre e rincorrersi nei meandri di una vita che vede entrambi non soltanto crescere ma anche gradualmente cambiare e imparare a conoscere il mondo che li circonda e loro stessi. Da ciò quindi la miccia ad avviare ogni cosa in un susseguirsi di momenti che non hanno mai una vera e propria linearità, disegnati da un’emotività del regista stesso che non cerca mai una razionalità narrativa ed espositiva. Dimenticate le strutture narrative classiche con questo film, dove il suo regista invece inserisce un certo tipo di nostalgia che si fa palese e tangibile sia attraverso il montaggio, che nel modo stesso in cui le inquadrature vengono costruite di pari passi (scenografia, fotografia e messa in scena quindi).
Ne fuori esce un percorso che può essere unito soltanto dagli occhi dello spettatore che si ritrova inevitabilmente coinvolto negli sviluppi a schermo, ricordando o sentendo sulla propria pelle tutto quanto. Con Paul Thomas Anderson, quindi, non sono soltanto i personaggi e le vicende a parlare, ma anche e soprattutto le immagini a rievocare un periodo storico precisissimo e denso di dettagli, quegli stessi dettagli apparentemente vicini e lontani, sospesi in un momento che sentiamo nostro, e forse lo è anche stato, incorniciato da una colonna sonora che resta impressa dentro, con “Life on Mars” di David Bowie che non soltanto accompagna ma si mimetizza con tutto il resto alla perfezione.
Correre lungo la strada
Il 1973, quindi, ritorna a vivere con tutte le sue incoerenze e le sue problematiche. Qui la crisi della benzina in California diventa non soltanto un elemento contestuale alla narrazione, ma un valore aggiunto alla storia d’amore centrale al cui centro troviamo questi due ragazzi. Il loro è un percorso altalenante fatto di lontananze ed avvicinamenti, un continuo rincorrersi fra un evento e l’altro (non a caso le scene in cui li vediamo correre assumono un valore più personale e concettuale che estetico). In questa corsa continua li vediamo inoltre interagire anche con gli adulti, con tutti questi “grandi” che ci appaiono sempre fuori contesto e del tutto slegati dalla realtà, proprio a sottolineare il distacco tra l’ingenuità dei protagonisti e questo “universo emotivo” lontano e apparentemente chiuso. Ogni contatto con gli adulti diventa ben presto indefinito nel suo insieme e fuggevole come lo è tutto il resto, come qualcosa di incomprensibile cui è difficile stare al passo.
Inutile sottolineare il grande valore dei due attori protagonisti in questa recensione di Licorice Pizza, sono infatti le loro interpretazioni a rendere vivo il film stesso, gli sguardi, il modo in cui interagiscono fra loro, il rapporto che arrivano a costruire con i personaggi, il linguaggio del corpo, risultando sempre e comunque perfettamente credibili. Il tutto accompagnato da una regia sempre attenta alle specificità di entrambi, messi in scena senza troppi orpelli estetici, entrambi imperfetti ma perfetti allo stesso tempo, non lontani da tanti altri adolescenti della loro stessa età. La summa di tutto questo è un’esperienza visiva e narrativa che sa toccare nel profondo senza mai esagerare, con una delicatezza quindi che si fa nostalgia e vitalismo puro e ingenuo, vero, in uno slancio fisico ed emotivo quasi liberatorio.