Amico “ho acquistato questo gioco, non puoi capire quanto è divertente finché non lo provi!”, di contro “Sì, ma la grafica è pessima: siamo al livello del dopoguerra, ho un TV 4K HDR, pretendo che si vedano bene i giochi oggi!” Quante volte vi sarà capitato di assistere a questo dialogo (o perché no, ad esserne partecipi) sui social, tra i banchi di scuola, al bar con gli amici o addirittura in palestra? Infinite volte scommetto. Ancora oggi non si è in grado di mettere d’accordo queste due “casate”, pronte a darsi battaglia, sfidandosi per il Trono di Pixel.
Analizziamo i fatti: siamo partiti da OXO, e i videogiochi si sono evoluti enormemente da allora, sono passati settant’anni esatti dal lontano 1952 e in questo lasso tempo, solo negli ultimi trenta i passi sono stati fenomenali: siamo passati da grafica bi-dimensionale a modelli 3D fino alla comparsa dei poligoni e infine stiamo raggiungendo il fotorealismo con i citati 4K.
Nel corso di questa storia, ho personalmente affrontato tutte le epoche, passando dalle vecchie glorie come le console Atari, il Commodore 64, il NES, Game Boy e tutte le console “moderne”: mi sono sempre divertito, grafica o meno. Non nego che la mia soddisfazione personale fosse maggiore quando sconfiggevo un boss in una arena tridimensionale piuttosto che quando vincevo in Super Mario Land II contro lo stesso boss. Direi che la verità è sempre nel mezzo.
In passato i giocatori erano molto meno esigenti in termini stretti di grafica ed aspetto estetico, perfino la comunicazione era diversa: le copertine dei giochi ad esempio erano spesso vere e proprie opere d’arte stampate (argomento abbastanza chiacchierato sul web) e molto diverse dalla grafica del titolo che poi veniva mostrato su schermo. Stando a quanto emerge da diversi studi, la fantasia dell’epoca precedente agli anni 2000 era molto diversa: per farla breve, un ragazzo degli anni ’80 sopperiva alle mancanze della grafica con la propria mente, un coetaneo del 2010 non lo faceva anzi, si aspettava che fosse lo sviluppatore del titolo a mostrargli quello che nemmeno lui conosceva.
Il motivo per cui alcune console come quelle Nintendo non si sono mai evolute seguendo il mercato – ovvero sfornando titoli sempre più fotorealistici – è dovuto in parte alla fetta di utenza che coinvolgeva in passato, appunto, lo stesso ragazzo degli anni ’80 che oggi ha tra i quaranta e i cinquanta anni ma che continua ad emozionarsi con Zelda, unito alla fetta di utenza nuova, ovvero i bambini che di base non hanno mai enormi pretese in senso estetico: Pikachu per loro è bello sia in 3D che in 2D.
L’evoluzione in casa Nintendo c’è stata ed è innegabile, ma sempre secondo i propri ritmi e secondo quella che viene definita la Nintendo Difference, ovvero la capacità di produttore e sviluppare titoli all’avanguardia sempre a prescindere dalla grafica. La domanda generale è questa: mi sarei divertito di più con Leggende Pokémon: Arceus se avessi avuto una grafica più simile a quella di Zelda o addirittura più realistica? Probabilmente no, in quanto quello che veramente conta in un videogioco è una cosa sola: il gameplay, e il gioco sopracitato sebbene non sia esente da qualche sbavatura, controller (o Joycon) alla mano è davvero intrigante e divertente.
Se la grafica fosse davvero tutto, non avremo visto premiare ai The Game Awards titoli come Dead Cells o Hades che di sicuro non puntano a sbalordire il pubblico con la loro grafica, sebbene abbiano dalla loro un senso estetico che poche produzioni possono vantare. La verità è da sempre nel mezzo: il vincitore del GOTY di due anni fa è stato Sekiro: Shadows Die Twice in seno a FromSoftware che da sempre, fin dai primi vagiti con Demon’s Souls, ci ha abituati ad un’esperienza con una grafica media, con qualche exploit interessante, ma che di certo non è mai stata il focus dell’azienda tanto quanto il gameplay.
Esteticamente i giochi di Hidetaka Miyazaki mettono d’accordo tutti, anche i più scettici. Allora che bisogno c’era di creare il remake di Demon’s Souls, ad esempio? Sebbene l’opera abbia superato di molto le mie aspettative e perfino la perfezione che genera la memoria (ci sono studi che dimostrano che il nostro cervello ci fa ricordare le cose in maniera più “bella” rispetto alla realtà, a maggior ragione nei videogiochi quando la grafica la “inventa il ricordo”) ammetto che non mi sono divertito di più: è stata una festa per gli occhi, la sublimazione di un opera già bellissima, ma di fatto non necessaria ai fini del divertimento.
Personalmente, credo che un titolo nuovo ad oggi abbia dinnanzi a se due strade: quella dello sbigottire il pubblico con un’estetica potente ed accattivante, unendo un gameplay solido e multi-sfaccettato (ed ovviamente questo è il sogno di ogni sviluppatore, ma richiede tempo e un’ingente quantità di denaro), oppure sacrificare l’estetica fotorealistica, concentrarsi su un gameplay più che ottimale e puntare a un’esperienza godibile dal punto di vista visivo, ma travolgente dal punto di vista videoludico.
In generale il problema grafico è una cosa puramente occidentale, in quanto in Asia esistono e vivono titoli che ad un occhio attento risultano modesti nella grafica, ma con decine di milioni di copie vendute, vedi Persona 5 o il nuovo Monark in uscita in questo periodo. Perfino il sopracitato The Legend of Zelda: Breath of the Wild vive di cel-shading, ed in generale oggi sembra un titolo anacronistico, eppure tra i più venduti di sempre e considerato artisticamente eccelso.
Non c’è nulla di sbagliato nel propendere verso un’estetica che sfiora la perfezione ad oggi, del resto viviamo bombardati da media che ci “impongono” tale perfezione, vedi i vari servizi di streaming digitali che puntano ad erogare film in 4K HDR, cellulari con fotocamere da oltre 100 megapixel per foto e video da far esplodere l’Instagram dell’influencer di turno. Quello che sarebbe bene ricordare è che non sempre ciò che ci colpisce a livello estetico poi ci rimane dentro come un’opera che ci arricchisce: un piatto di pasta bello, ben impiattato, è del tutto inutile se poi ha un saporaccio, il concetto è grossomodo questo.