Mondi fantastici tinti da colori sgargianti capitanati da eroi predestinati, antagonisti perfidi in castelli caduti in rovina, nemici in realtà alle volte anche buffi; quando si tratta di questo tipo di fiaba è quasi inevitabile pensare ai JRPG. Questa tipologia di videogioco che ha sicuramente segnato una generazione – non solo di console ma anche di videogiocatori – è riuscita a dare un senso di concretezza alla sempreverde frase “sognare ad occhi aperti“.
Ciò che contraddistingue i JRPG dagli altri giochi di ruolo, almeno nella maggior parte dei casi, è indubbiamente il suo sistema di combattimento prettamente scandito da turni. Difatti, la terminologia Japanese Role Playing Game (letteralmente tradotto come videogioco di ruolo giapponese) oggigiorno semplicemente adattata “alla giapponese”, non viene più utilizzata solamente per definire il paese di origine del team di sviluppo, bensì quasi erroneamente anche i vari sistemi di gioco tipici del genere.
Frequentemente paragonati agli Action RPG, prevalentemente preferiti dal mercato occidentale, i JRPG, in parte inizialmente concepiti con combattimenti statici per assecondare una limitazione di engine, continuano ad essere ancora prediletti, al giorno d’oggi, nelle fasi di design e progettazione per dare vita a titoli con dei sistemi facili da imparare. Colossi moderni come Persona 5 e Dragon Quest XI hanno infatti dimostrato che, pur trattenendo la classica formula da Turn-Based RPG, questi riescono tranquillamente a stare al passo con le loro controparti più movimentate, e che, malgrado le divergenze di pensiero, sono in realtà riusciti a trovare davvero il proprio posto non solo nel mercato nipponico, ma anche quello in occidentale, senza dover apportare modifiche. Da questo si deduce che in realtà confrontarli come se fossero l’uno il nemico dell’altro, oltre ad essere limitante è anche sbagliato. I due generi, spesso indicati come eterni rivali, sono infatti entrambi sfumature dello stesso filone, che spesso in svariati titoli arrivano addirittura ad ibridarsi nel cercare di creare qualcosa di creativamente valido e innovativo.
Due facce della stessa medaglia
Questa lotta, sostenuta dalle fazioni simpatizzanti dei due sistemi di gioco, ha portato inevitabilmente a non poter più ignorare “l’elefante nella stanza”. Si è finiti quindi con lo screditarsi inutilmente a vicenda, quando è evidente che entrambi risaltino per caratteristiche totalmente diverse: dove l’Action RPG fornisce quel senso di libertà, frenesia e immediatezza, venendo comunque criticato per la presunta mancanza di momenti di riflessione, il Turn-Based RPG viene esaltato per le componenti strategiche ma bistrattato per la propria lentezza e considerato ormai “vecchio”. Alla fine dei conti, anche se c’è chi si pone come paladino dei propri gusti, è facile immaginare che non si tratti altro di una semplice questione di preferenza, in quanto vi sono reali motivi alla base della scelta, e che quindi non è necessariamente una presa di parte, fatta di elitismo o modernità, come si può pensare.
Che sia in termini di sviluppo o in quanto fruitori, infatti, i motivi per preferire un Turn-Based RPG, talvolta chiamato anche Command-Based RPG, sono sempre stati molteplici. Si potrebbe dire che il JRPG, come genere, si sia istituito per davvero durante il ciclo vitale della PSX. Questa console, infatti, offriva diversi titoli di punta presto diffusisi sulla bocca di tutti, come l’onnipresente saga intitolata Final Fantasy, ma anche altri meno famosi che però oggi sono finalmente riconosciuti per il proprio merito, come The Legend of Dragoon e Suikoden.
Spesso, ma non sempre, gli sviluppatori selezionavano questo genere per ovviare alle difficoltà tecniche derivate dal cercare di creare un Action RPG dalle eccessive pretese, vista la tecnologia del tempo; i videogiocatori, specialmente nipponici, semplicemente finivano invece per appassionarsene, in quanto questi giochi non solo offrivano un sistema immediato e facile da imparare, ma anche centinaia di ore di gioco, finendo per essere annoverati, anche al giorno d’oggi, fra i prodotti videoludici più longevi tra tutti.
Una tradizione in continua evoluzione
Tendenzialmente i JRPG offrono un’individuale narrativa, un sistema di combattimento unico e uno sviluppo dei personaggi meticoloso e lento, per non parlare di una ricca storia e un vasto cast di personaggi protagonisti e non, di cui la maggior parte utilizzabili in battaglia contemporaneamente. Il sistema di combattimento, difatti, predilige la preparazione di quest’ultimi e il corrispettivo svolgimento tattico. A cadenzare i turni, la battaglia viene scandita da cinematografiche esecuzioni di abilità e magie selezionate. Di rimando, genericamente, gli Action RPG, quasi a contrapposizione, preferiscono un solo protagonista e una narrativa sicuramente più veloce e immediata, che si sposa alla perfezione col ritmo dinamico e frenetico del proprio sistema di combattimento.
Pur diversificandosi da specifiche ben precise che si sono tramandate negli anni, i JRPG hanno abbracciato diverse modifiche intente a migliorarne l’esperienza. I primi videogiochi erano soliti presentare dei sistemi molto tediosi, come l’eccessiva necessità di grinding (ossia il dover guadagnare molti punti esperienza e conseguenti livelli prima di riuscire a sconfiggere il boss di turno), un singolo livello di difficoltà alle volte troppo facile o troppo difficile, e probabilmente il sistema che continua a dare gli incubi a molti videogiocatori amanti del genere: le cosiddette “random battle“, ovvero le battaglie casuali.
Per ovviare al primo problema la maggior parte dei JRPG moderni presentano diversi livelli di difficoltà selezionabili all’avvio di una nuova partita, in modo da accomodare ogni tipo di giocatore, permettendo la customizzazione della propria esperienza videoludica. Per quanto riguarda le random battle, queste sono state totalmente eliminate e sostituite con dei nemici a schermo. Quest’ultima miglioria ha permesso agli sviluppatori di fornire al giocatore un maggiore controllo sull’inizio della battaglia, in quanto si avrà la possibilità di evitare o di attaccare l’avversario prima della schermata di scontro, permettendo di effettuare imboscate che in genere ricompensano il giocatore con una serie di bonus.
Sperimentando col sistema a turni, uno degli esempi più famosi di combattimento non conforme alla turnazione classica è sicuramente l’ATB, ossia Active Time Battle: questo sistema consiste nella presenza di barre del tempo aggiunte ad ogni personaggio che determinano l’ordine in cui cadrà il proprio turno per agire selezionando l’apposito comando.
Insomma, ogni JRPG presenta le proprie individuali sfumature, che siano ATB, turni statici, o un misto delle due meccaniche: ogni singolo titolo propone il proprio elemento originale che tende ad offrire una ventata d’aria fresca senza tradire la propria formula o stravolgere il genere.
“Oggi si salva il gatto, domani si sconfigge dio”
Una parentesi necessaria e altrettanto importante è sicuramente l’impatto che i JRPG hanno avuto sul mercato indie. Sebbene le produzioni di tripla A che prediligono questo genere siano davvero poche e si possono contare sulle dita di una mano, i Turn-Based RPG sono quasi la salvezza di sviluppatori che si cimentano in questo ambito per la prima volta. Anche se parte di questa scelta ricade indubbiamente sulla maggiore facilità nel programmare un videogioco a turni, ciò non toglie che esistano tantissime produzioni indie di una certa rilevanza come il più recente Rise of the Third Power, che ha sorpreso i videogiocatori con la sua storia, la sua musica e un’impressionante e dettagliata Pixel Art.
Tra pietre miliari come The Legend of Heroes vi sono ormai titoli che tentano di ricreare il fascino di questo genere, unendosi alla lunga lista degli esperimenti di successo degli ultimi anni giochi come Ruined King: A League of Legends Story e Yakuza: Like a Dragon hanno spiazzato i fan dei franchise, i quali tutto si aspettavano tranne che i classici combattimenti a turni.
Appurato che i JRPG si sono già precedentemente evoluti, si continua comunque a cercare il modo di innovarli omogeneamente, creando titoli freschi che sono al passo coi tempi. La più recente dimensione 2.5, che unisce la profondità del 3D con i disegni del 2D, introdotta ufficialmente con Octopath Traveler, ha iniziato quello che è considerabile un vero e proprio trend per questo genere di videogioco. L’annunciato Eiyuden Chronicle: Hundred Heroes di Rabbit & Bear Studios, nonché sequel spirituale di Suikoden, che ha mandato in tilt il famoso sito di crowdfunding Kickstarter, vuole infatti attingere a questo lascito cercando di elevare questa tecnologia quanto più possibile.
Riguardo i titoli in tripla A, tra Dragon Quest XII, cui l’ideatore, Yūji Horii, ha precisato che i cambiamenti preannunciati non spaventeranno gli amanti del combattimento a turno, e Dragon Quest III HD-2D Remake, che invece è sviluppato in una dimensione 2.5, sembra proprio che l’amata serie capostipite dei Turn-Based RPG, non solo porterà avanti a testa alta le caratteristiche più classiche per cui è riconosciuta, ma se la stia passando abbastanza bene da poter addirittura sperimentare.
Ma anche se questa nuova dimensione sembra essere la naturale evoluzione grafica dei JRPG, videogiochi come Sea of Stars di Sabotage Studio, ispirandosi al memorabile Chrono Trigger, sono determinati a dimostrare che anche uno stile fedelmente retro può bastare a raggiungere grandi vette.
Aggiungendo One Piece: Odyssey e il rumoreggiato Persona 6, che siano progetti grandi o piccoli, è evidente che, a differenza di quanto si pensi, i JRPG con tanto di classico sistema di combattimento a turni non siano superati e che, anzi, siano destinati non solo a ritrovare il proprio successo proprio come un tempo, ma, probabilmente, anche a superarlo.