Joker: Folie à Deux, Hollywood e la sindrome dei sequel

Joker: Folie à Deux ha messo alla luce uno dei problemi più importanti che stanno minando la Hollywood moderna: la paura di osare.

Mauro Landriscina
Di Mauro Landriscina - Contributor Analisi Lettura da 6 minuti

Joker: Folie à Deux è ormai in sala da qualche giorno e dopo le prime recensioni abbastanza tiepide e per nulla entusiaste, anche il pubblico ha finalmente potuto saggiare di questo attesissimo – e costosissimo – sequel che, nonostante la sua natura controversa che viaggia tra thriller e musical, sembrerebbe non aver entusiasmato nemmeno il pubblico… anzi, tutt’altro!

Questa strana ossessione per i sequel nata da qualche anno a questa parte negli studi di Hollywood potrebbe finalmente aver visto il suo primo grande “palo”: se da un lato quest’anno ha visto il miglior incasso di sempre per un film d’animazione con Inside Out 2, dall’altra parte questo clamoroso flop del seguito di Joker potrebbe creare un vero e proprio scossone nell’industria.

Da qualche anno a questa parte si è creato quasi un mantra nel settore cinematografico, dove “se un film va bene al botteghino, il sequel non deve mancare”, a volte addirittura già annunciato prima ancora che la pellicola originale sia uscita dalla programmazione nei cinema. Eppure, questa strategia, sebbene possa garantire guadagni a breve termine, rischia di trasformarsi in una trappola che limita la creatività e l’innovazione cinematografica, e con Joker: Folie à Deux ne abbiamo avuto una prova più che lampante.

Un gioco a perdere

È indubbio che i sequel abbiano un appeal sicuro: il pubblico conosce già i personaggi, la trama e l’estetica del film. Di conseguenza, il marketing si concentra sul brand riconoscibile, riducendo il rischio di un fallimento commerciale. Tuttavia, in questo modo si trascura un altro aspetto cruciale: il cinema è arte, sperimentazione e sorpresa. Concentrarsi solo su progetti sicuri e già collaudati limita l’opportunità di scoprire storie nuove e originali.

Hollywood preferisce versare milioni di dollari in progetti sicuri e prevedibili, sprecando risorse in franchise stantii e sequel che nessuno ha chiesto, anziché scommettere su nuove idee. È una strategia pigra e miope: le major sono più interessate a proteggere i loro investimenti che a contribuire all’evoluzione dell’arte cinematografica. È molto più facile contare i guadagni di un ennesimo capitolo di una saga già affermata piuttosto che dare una chance a un regista emergente con una visione originale.

 

Ma il vero problema non sono i sequel in sé, che se di qualità hanno ben più di una ragione per essere prodotti, vedi per esempio il già citato Inside Out 2 o per rimanere con le uscite di quest’anno anche Dune: Parte Due, che va addirittura a migliorare il già impeccabile lavoro del suo predecessore. E allora dove sta il vero problema? Sono i produttori che giocano a freccette cercando di azzeccare il sequel, o forse sono gli stessi registi, attori e scrittori che lavorano svogliatamente dopo che vengono quasi “costretti a suon di milioni” a tornare su progetti ritenuti conclusi?

Perché è inevitabile notare una completa mancanza di direzione artistica e attoriale in questo Joker Folie à Deux da parte di Todd Philips, che non riesce mai ad osare quanto serve nelle scene musical, che effettivamente avrebbero avuto un potenziale straordinario in un film che vede nel suo protagonista un infermo mentale. Oltre a questo, Philips non riesce a far fuoriuscire appieno il potenziale stratosferico del suo attore di punta, che questa volta ci dona un Arthur Fleck che sembra la macchietta di quello visto nel film precedente. La sceneggiatura invece decide di non affondare mai il colpo, e sembra quasi che le canzoni siano state aggiunte dopo la stesura finale… e il risultato è il costante e puntuale sospirone stressato da parte dello spettatore, che appena sente che finalmente il film sta per ingranare viene sempre bloccato dall’ennesima canzone.

Il declino della fabbrica dei sogni

Quello che gli studios non capiscono o preferiscono ignorare è che continuando così stanno scavandosi la fossa: alimentano una macchina che si autosabota, ignorando i progetti “piccoli” che, con un minimo supporto, potrebbero diventare i prossimi fenomeni globali. Ma evidentemente, per chi dirige i giochi, è meglio un sequel che incassi bene oggi piuttosto che rischiare di costruire il futuro del cinema.

Hollywood, nel tentativo disperato di tenere saldamente il controllo su ciò che produce, ha perso completamente il coraggio di osare. Preferisce investire miliardi nei sequel di franchise che hanno già dato tutto, piuttosto che rischiare qualche milione in progetti che potrebbero davvero fare la differenza.

Il risultato? Una stagnazione creativa mascherata da nostalgia e fan service. L’industria preferisce restare intrappolata in una bolla fatta di remake, reboot e universi espansi, illudendo il pubblico di assistere a qualcosa di nuovo quando, in realtà, si tratta solo della stessa vecchia formula riproposta all’infinito.

Se Hollywood continuerà a giocare sul sicuro, non solo perderà il suo status di capitale mondiale del cinema, ma rischia di diventare l’ombra di sé stessa: una macchina sforna-sequel, incapace di produrre qualcosa che vada oltre l’intrattenimento facile. Forse è arrivato il momento di accettare che l’epoca d’oro del cinema è finita, e che la vera innovazione si trova ormai altrove, lontano dalle luci di Los Angeles.

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Di Mauro Landriscina Contributor
Nato nel 1997, fin da piccolo si appassiona di videogiochi grazie al Game Boy Color del fratello maggiore. Pensa troppo al futuro e poco al presente, spesso perdendosi nei suoi pensieri e andando quindi a sbattere su qualche palo per strada. Il suo sogno nel cassetto è quello di dirigere un film d'animazione.