Hill House – Recensione della nuova serie Netflix diretta da Mike Flanagan

Pierfranco Allegri
Di Pierfranco Allegri Recensioni Lettura da 5 minuti
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Hill House

Mike Flanagan è ormai da considerarsi uno dei più validi registi horror attuali. Dopo il suo esordio nel circuito indipendente con Absentia (2011), il regista ha esordito sul mercato internazionale con il successo di critica Oculus (2013). Il 2016 lo ha visto regista di ben tre lungometraggi: il brillante thriller Hush, la piccola delusione horror Somnia e l’ottimo prequel del pessimo Ouija (2014), Ouija – Le Origini del Male. Il suo sodalizio con il “Re dello Streaming” Netflix ha un felice inizio, grazie al brillante adattamento de Il gioco di Gerald di Stephen King (di cui porterà sul grande schermo nel 2020 il sequel di Shining, Doctor Sleep, nda), che oggi lo porta a dirigere per la piattaforma The Haunting of Hill House (solo Hill House in Italia), un libero adattamento in serie dell’omonimo romanzo culto di Shirley Jackson.

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Un piccolo sguardo alla trama

Hill House racconta la storia su due linee temporali (1992 e 2018) della famiglia Crain. Nel passato, Hugh (Henry Thomas) e Olivia “Liv” Crain (Carla Gugino) vivono temporaneamente nella grande villa Hill House assieme ai cinque figli (Steven, Shirley, Theodora e i gemelli Luke e Eleanor) per sistemarla in vista di futuri compratori. Sin da subito, però, i bambini sono testimoni di misteriosi avvenimenti e inquietanti visioni, che li costringeranno a fuggire dalla casa dopo l’apparente e misterioso suicidio della madre.

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Venti anni dopo, i cinque ormai adulti vivono vite disastrate o poco soddisfacenti, tormentati dalle visioni del passato e dall’inspiegabile sorte dell’amata madre: Steven (Michiel Huisman) è un cinico scrittore di libri di fantasmi che ha fatto la fortuna mettendo su carta la sua esperienza a Hill House, Shirley (Elizabeth Reaser) è una maniaca del controllo che gestisce una casa funebre assieme al marito, Theodora (Kate Siegel, moglie del regista nda) è una psicologa infantile chiusa in sé stessa, Luke (Oliver Jackson-Cohen) è un tossicodipendente perennemente in ricaduta e Eleanor (Victoria Pedretti) si porta dietro le orrende visioni della casa in forma di terrori notturni. Quando la tragedia colpisce nuovamente la famiglia, i fratelli dovranno far fronte comune e riunirsi al padre Hugh (Timothy Hutton), escluso dalla vita dei figli che vive con un pesante segreto, per affrontare definitivamente i propri demoni e scoprire cos’è successo davvero in quella maledetta casa più di venti anni fa.

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Analisi dell’opera

Haunting Hill è da considerarsi la magnum opus di Flanagan: in una serie auto-conclusiva di appena 10 episodi, il regista americano inserisce tutto quello che ha appreso e prodotto in quasi 10 anni di attività nel cinema dell’orrore, a cominciare dal cast sontuoso composto da attori provenienti da precedenti film della sua filmografia (Carla Gugino e Herny Thomas da “Il Gioco di Gerald”, la moglie Kate Siegel da “Hush”, Elizabeh Reasher da Ouija – Le origini del male), ma anche la costruzione metodica e chirurgica di uno spazio dell’orrore grigio e malinconico, il montaggio sapiente tra passato e futuro, la scenografia alla Poe e le immagini e suoni psichedelici alla Lovecraft (improbabile non trovare riferimenti a I Topi nei Muri nda) e tanto altro.

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Mike Flanagan si prende numerose libertà con l’opera di riferimento (già adattata per il grande schermo col classico del 1963 e con il patetico remake del 1999) trasformando l’elemento dello studio del paranormale presente nel libro in un dramma familiare alla Hal Ashby a tinte fantasmagoriche. La prima metà della serie  esaurisce ogni membro della famiglia, le sue fobie e manie, gli errori e traumi del passato, condendolo con raccapriccianti visioni tra reale e paranormale. E’ reale quello che vedono o una immagine della mente che “straborda” nell’odierno? E’ una lenta conflagrazione, quella di Hill House, che volge il suo focus non tanto a una costruzione della paura, quanto a un sapiente aumento del pathos nello spettatore, in una dimensione di terrore psicologico e coinvolgimento sentimentale: più che far paura Hill House fa piangere, ragiona su temi come l’unione della famiglia, i rapporti fraterni e la forza dell’amore di fronte alle avversità della vita. Detto così può sembrare melenso e poco consono a una storia dell’orrore, ma per gli amanti del genere Hill House è una serie imperdibile, che evidenzia le potenzialità dell’orrore nel sistema produttivo seriale. Vedere per credere.

Hill House
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Voto 9
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Pierfranco nasce a Chiavari il 1 Aprile 1994. Si diploma presso il liceo Classico Federico Delpino e studia Cinema e Sceneggiatura presso la Scuola Holden di Torino. Al momento scrive recensioni online (attività cominciata nel 2015) presso varie riviste tra cui GameLegnds e Cinefusi.it