Se mai ci fosse stato un pretesto per far uscire un videogioco,cari Game Maniacs, quello della WWE sarebbe il voler fare soldi con la propria immagine e magari ricavarne qualche nuovo fan in più. In realtà, come ogni titolo sportivo, ogni anno WWE, sia esso smackdown, o 2k o ‘live, realizzano un’istantanea della federazione, ovvero ci fanno vedere in che stato sono i vari elementi che la compongono, in Fifa ad esempio, abbiamo i giocatori, con le transazioni estive(ormai aggiornabili anche dopo quella invernale), le magliette, stadi nuovi se ce ne sono, e ovviamente animazioni che assomiglino quanto più alla realtà. Per il wrestling, si può fare un discorso comparabile, e allora perchè proprio HCTP (Here Comes The Pain) è rimasto nel cuore dei fan, non solo dello sport entertainment più seguito al mondo, ma anche da videogiocatori di più ampio respiro? Ecco, si potrebbe tornare al discorso iniziale.. è un fatto di pretesti! Perchè? Immagniamo la situazione della WWE in quel periodo(2003), da poco ha cambiato nome, quello precedente l’ha perso in una battaglia legale con il WWF (quella del panda per intenderci…) qualche anno prima, ma questo non gli ha impedito certo di continuare a trasmettere i suoi 2 show di punta, Raw e Smackdown, con tanto di split del roster per seguire le carovane che vanno su e giù per il paese dello zio Sam fermandosi nelle arene. Un periodo roseo anche per le finanze, la THQ è leader nel produrre le simulazioni di questo stravagante sport-spettacolo e già l’anno precedente aveva fatto un lavoro eccellente, giusto quindi cercare di ripetere la formula. Ma una domanda deve essere di certo passata nella mente degli sviluppatori all’inizio: “…in copertina, chi ci mettiamo?” Eh già, la copertina. Bisogna trovare il volto della federazione, colui che ha rappresentato il brand nell’ultimo anno…. The Rock è la scelta più facile, ma sta per prendere il treno per Hollywood, si potrebbe rischiare di avere un gioco con in copertina un “ex” lottatore, stesso discorso per Steve Austin, sempre più in procinto di ritirarsi dalle scene dopo una carriera condizionata anche dagli infortuni… Triple H è stato usato per la copertina in precedenza, e anche se effettivamente è il padrone dello spogliatoio, non ci siamo ancora. Nel 2003 la WWE ha tante frecce al proprio arco, ma ce ne è una, che forse è più “freccia” degli altri… è un ragazzotto di 1 e 91 e pesa 130 kg, il suo background dice che è stato anche campione di lotta greco-romana nel circuito collegiale, ha un corpo perfetto per stare in un quadrato. Il suo nome è Brock Lesnar, e la frase che ognuno di noi ha in testa quando lo osserva è sempre la solita….. Here Comes The Pain!(e ringrazio di non essere nato in giappone, non avrei di sicuro nemmeno preso in considerazione l’idea di provare “Exciting Pro Wrestling 5”, o almeno questo era il nome che gli avevano affibiato nel Sol-Levante…)
“I win!” “No Brock, we all win!” Here Comes The Pain è stato una sorta di pietra angolare nello sviluppo dei wrestling-game, innanzitutto per la mole del roster, che comprendeva ben 54 lottatori tra maschi e femmine, e ben 11 leggende, le quali sono più che altro leggende degli anni 80, ma la vera forza di questo parco lottatori sta proprio nei 54 iniziali perchè è presente metà del patrimonio su cui si è sviluppato il wrestling in tutti gli anni 2000… c’è Kurt Angle, Shawn Michaels, Lesnar, HHH, Stone Cold e The Rock( entrambi all’ultima apparizione come lottatori regolari…), ma anche debutti di eccezione come Mysterio, Cena e Batista. Ogni lottatore è fornito di un set di mosse assolutamente riconducibile alle loro controparti reali, e anche di un set di finisher nei casi in cui un lottatore ne abbia più di una oppure che possa attivare due sequenze diverse della stessa mossa, ad esempio la F-5 aveva una versione “pulita” e una molto più “rozza”, nel quale Lesnar lanciava letteralmente al vento l’avversario. Per la prima volta THQ introduce il sistema di grappling che noi tutti conosciamo basato sulle direzioni e sulla pressione al momento giusto di alcuni tasti e anche da dove si inizia il clinch, il gesto della chiusura delle braccia intorno al nemico, e questa è sostanzialmente ancora l’ossatura del gioco, un’ossatura che all’inizio è difficile da assimilare ma che da a chi la padroneggia non solo un’enorme vantaggio, ma anche una grande soddisfazione se pensiamo che questo sistema da al giocatore una cinuantina di mosse disponibili per ogni lottatore. La sensazione che i match possano essere inverosimilmente lenti, è tutt’altro che reale, perchè anche se essenzialmente si basa sulle prese, il gioco riesce ad essere frenetico e paziente al tempo stesso: non importa quale strada usiate per raggiungere la vittoria, nessuno vi impedirà di perseguirla, sia se siete più propensi al brawling, sia se invece vi dedichiate anima e corpo alle sottomissioni a terra. Proprio queste ultime in questo caso rilevano due importanti novità a livello di gameplay: la barra della sottomissione, che indica quanto manca ad un wrestler per cedere la vittoria all’avversario, e le “zone”, ovvero le parti del corpo che in tempo reale vengono segnate di un colore sempre più tendente al rosso se esposte troppo ai colpi di qualsiasi genere, con nessuna possibilità di recuperare il danno inferto, insieme ad altri indicatori più noti ocme il contatore delle “mosse smacdown!” ovvero le finisher, che potevano essere raccolte fino ad un massimo di 5 menacchiando e tentando di contrattaccare le leve degli avversari, per poi usarle come meglio credevate. Ovviamente, questi indicatori, come molte delle azioni “in-game” dipende molto dagli attributi di resistenza di un lottatore, quindi capiterà che anche dopo una finisher, se non avete ridotto l’Undertaker ad un pellerossa, è molto probabile che riuscirà a scamparla prima che l’arbitro finisca di contare, oppure ancora, sarà inutile provare ad eseguire un suplex su Big Show, se il vostro personaggio è Rey Mysterio.
Don’t Try this at Home. Ovviamente però la forza di una simulazione di wrestling sta soprattutto nelle varie stipulazioni di match, che oltre al classico in singolo proponeva varie stipulazioni di coppia, anche molto articolate nello svolgimento, stipulazioni particolari come l’ironman match o uno in cui vagono solo sottomissioni, altri dalla matrice spiccatamente “estrema” come ladder match, TLC, Hardcore e le gabbie. Già, proprio queste meritano una menzione. Nei giochi precedenti si erano già visti steel cage e hell in a cell, da una si deve uscire, mentre nell’altra siete tu e il tuo avversario (o avversari) dentro una gabbia di acciaio che puoi anche scalare e in cui tutto è permesso, tanto alla fine si deve vincere per forza o di schienamento o di sottomissione; ma nel 2002 a stamford hanno l’illuminazione…. facciamo un po’ di conti: 1 gabbia circolare che avvolge il ring pesante ben 16 tonnellate; 4 “vetrine” in plexiglass che si aprono a tempo; 6 lottatori che partecipano, all’inizio sono in 2 e pian piano aumentano quando escono dalle suddette vetrine; Questa era,ed è L’Elimination Chamber, che ha visto la prima trasposizione virtuale proprio con HCTP, i risultati? La miglior offerta del titolo, piena di possibilità a discapito dello spazio in cui si può agire, ma dentro quel concentrato di acciaio, venivano fuori dei match avvincenti, se poi aggiungiamo che il gioco sfruttava l’opzione del multi-tapping beh, allora il successo è assicurato. Ma non è finita (ovviamente) qui, infatti abbiamo anche la possibilità di ambientare i nostri match nel backstage, comprendente diverse zone (parcheggio, palestra ecc.) , una stipulazione tutta al femminile dove l’obiettivo è denudare l’avversaria (anche questa introdotta per la prima volta qui) e, infine, la mia preferita, la Royal Rumble. La rissa reale è semplicemente il match più casinaro di tutti quelli appena citati, la baraonda è in continua fermentazione e con la possibilità di avere fino a 6 lottatori contemporaneamente su schermo (CPU o giocatori che siano…), e la possibilità di rientrare con un altro lottatore (random) anche dopo l’elminiazione, lo scopo della rissa muta ben presto dal finire la contesa con il proprio personaggio al più semplice “aspettiamo quello che arriva dopo, magari rientro con uno più forte…” e poi finivi sempre a prenderti Rikishi… Deadman walkin’. Un altro punto di forza della produzione è la modalità principale, quella che segue le vicende di un wrestler da noi scelto per un anno intero, più precisamente da aprile fino a marzo (ovvero, fino a Wrestlemania) e in base allo status del lottatore, ovvero se sia una star o meno, avremo diversi obiettivi da raggiungere durante l’arco della “season” tra i quali ci sono di solito anche la conquista di qualche cintura. Le storyline, ovvero le faide che affronta il nostro personaggio, erano già allora molto ben sviluppate, e se anche proponevano delle ripetizioni, la rivalità nel ring veniva narrata come succede in tv, con tutti i capovolgimenti di scena che si è abituati a vedere nella realtà. Inoltre avremo modo di visitare, prima che inizi uno show, il backstage dell’arena per fare i più disparati incontri, ad esempio, ricordo ancora chiaramente che se incontravi Lesnar, questo ti faceva allenare per migliorare le statistiche del fisico, salvo poi durante il combattimento, scoprire che l’allenamento altro non aveva fatto se non fiaccarci, il che significava un bell’alone giallo su tutto l’indicatore del corpo che dicevamo in precedenza. Aggiungiamo poi una modalità per creare il proprio wrestler personalizzato (le famosissime CAW) con tanto di moveset e entrata nel ring,ci si può subito accorgere di quanto fosse profondo il gioco di THQ già all’epoca, e quanto inoltre avesse posto le fondamenta per tutte le future uscite del brand WWE su console. Anche la grafica , per l’epoca, rappresenta uno standard estremamente elevato, modelli poligonali accurati, animazioni che come ho già detto sono bellissime da vedere, in particolare le entrate dei lottatori perfettamente coerenti con addirittura le angolazioni della telecamera simili a quando si vedono entrare i nostri beniamini nelle arene americane dalla nostra televisione. L’unica nota storta, e forse proprio di nota si tratta, è il sonoro: capiamoci, la colonna sonora è composta di ottimi pezzi, le themes di ogni wrestler sono identiche a quelle che si sentivano in tv… però manca il commento. E gli annunci in-ring. Forse era troppo aspettarsi anche questa feature, ma rispetto ai titoli che sono venuti dopo, soprattutto quello immediatamente successivo, questa mancanza si fa sentire eccome. Nulla però che mini un gioco che personalmente ricordo come uno di quei giochi che ho giocato di più con i miei amici ma che mai ho posseduto, ho passato dei pomeriggi memorabili cercando di emulare gesta che consideravo bellissime da vedere, e difficili da eseguire. Con questo avrei terminato la mia personale “retrospettiva nostalgica” di un titolo che per molti ha un significato speciale, di un titolo che ricordano tutti e ancora di un titolo che con delle idee precise ha spianato la strada ai suoi successori. E’ anche forse l’eredità più importante (dopo DarkSiders, ma questo è venuto dopo) che ha lasciato THQ nel mondo dei videogiochi, ovvero ha mostrato a tutti come si prende uno sport “di nicchia” e lo si trasforma in un gioco di successo. Certo ci può essere chi non apprezza la disciplina, il che è del tutto normale, ma questo gioco va provato solo per il senso di completezza che si avverte nel giocarlo e rigiocarlo e rigiocarlo…