Ghost of Tsushima è il titolo che sta scaldando le console di milioni di videogiocatori. Il tempo sembra aver ripagato il duro lavoro e l’impegno spesi su questo progetto, visto il grande interesse mostrato nei suoi confronti già dai primi annunci. Sucker Punch Productions, la casa produttrice, ha realizzato un prodotto unico e complesso sotto diversi punti di vista, come approfondito nella nostra recensione. Nella data di lancio del gioco, lo studio ha rivelato alcune curiosità riguardanti un elemento fondamentale del titolo in questione. Un’opera open world necessita un’ambientazione studiata, e quella originale era un po’ diversa rispetto a quella che da oggi possiamo giocare e vivere.
L’idea di base degli sviluppatori era quella di offrire al videogiocatore un’esperienza completa, dove il combattimento trovasse la propria dimensione in un mondo sconfinato e tutto da esplorare. Le scelte iniziali, come testimonia Brian Fleming, co-founder di PlayStation Blog, erano ben lontane dall’ambientazione che è stata infine confermata. Nei progetti originali, il setting prendeva in considerazione altri personaggi e periodi storici, più distanti all’immaginario ormai classico del samurai. Tra questi apparivano figure come i pirati, il fuorilegge scozzese Rob Roy MacGregor e persino I tre moschettieri. Cos’ha portato a un cambio di rotta così netto?
Ghost of Tsushima riprende il concept del lone warrior, il guerriero solitario che intraprende un cammino di crescita e ricerca personale. Il tema è ricorrente nell’immaginario nipponico e si presta a una serie di scelte che hanno dato cuore al gioco. Da qui, la scelta di ambientare questo titolo nel Giappone feudale del 1274 è stata naturale e ovvia. La storia dell’invasione di Tsushima da parte dei Mongoli ha ispirato la figura di un guerriero che resiste con coraggio alla violenza dei nemici e degli invasori, riuscendo a proteggere la propria patria. È un percorso di vendetta, di minacce, in un mondo ostile e allo stesso tempo da fiaba.