Flint: Treasure of Oblivion Recensione, un naufragio con scialuppa

Ecco la nostra recensione di Flint: Treasure of Oblivion, la grande opportunità mancata per un titolo che pecca di una solidità strutturale, ma che gode di un certo fascino visivo.

Tiziano Sbrozzi
Di Tiziano Sbrozzi - Senior Editor Recensioni Lettura da 6 minuti
4 Insufficiente
Flint: Treasure of Oblivion

Flint: Treasure of Oblivion si presenta come un titolo ambizioso nel panorama dei CRPG, cercando di coniugare l’universo avventuroso della pirateria con meccaniche di gioco strategiche e narrative: attraverso  l’esplorazione, combattimenti tattici e una grafica ispirata ai fumetti, il gioco punta a distinguersi in un genere già popolato da titoli di grande successo come Baldur’s Gate 3, da cui prende piena ispirazione.

Tuttavia, dietro a un’estetica accattivante e alcune idee intriganti, si nasconde un prodotto che fatica a soddisfare le aspettative. Problemi di design, un gameplay macchinoso e una narrazione poco avvincente impediscono a Flint di emergere come un’esperienza memorabile, lasciando un retrogusto amaro a chi decide di imbarcarsi in questa avventura.

Una ciurma per il Capitano Flint

La trama principale segue le vicende di James Flint, un pirata alla ricerca del misterioso Tesoro dell’Oblio: sebbene l’idea di fondo sia intrigante e il protagonista venga presentato con un certo carisma, lo sviluppo narrativo è spesso piatto e privo di mordente. La narrazione si muove attraverso missioni frammentate, con obiettivi poco chiari che lasciano il giocatore a interrogarsi su cosa fare o dove andare. Questo problema è aggravato dall’assenza di un sistema di mappa o di un diario strutturato, che renda più semplice tenere traccia dei progressi o recuperare informazioni dopo una pausa di gioco.

Le cutscene in stile fumetto sono visivamente belle, ma non riescono a compensare una sceneggiatura poco incisiva e priva di colpi di scena reali. I personaggi secondari, pur dotati di ritratti dettagliati e suggestivi, mancano di profondità e si riducono spesso a semplici figure di contorno. L’impatto emotivo degli eventi è limitato, e il gioco non riesce a creare quella connessione che spinge il giocatore a interessarsi davvero al destino dei protagonisti.

A bordo della nave

Il cuore di Flint: Treasure of Oblivion risiede nel suo gameplay, che combina esplorazione e combattimenti a turni. Tuttavia, sebbene il sistema presenti alcune buone idee, la loro implementazione lascia molto a desiderare: una delle prime difficoltà che il giocatore incontra è la navigazione ad esempio. L’assenza di una mappa o di un mini-mappa costringe a esplorare alla cieca, il che può risultare frustrante – seppur realistico – soprattutto in ambienti complessi, o dopo aver interrotto la partita per un certo periodo di tempo. Inoltre, il fatto di non poter interagire nuovamente con i personaggi non giocanti dopo averli già interrogati è un limite che penalizza chi potrebbe aver dimenticato le indicazioni ricevute.

I combattimenti, che dovrebbero rappresentare il punto di forza del gioco, soffrono di una curva di apprendimento poco equilibrata. Il sistema di punti azione (AP), che regola ogni movimento o attacco, è interessante sulla carta, ma risulta poco intuitivo nelle prime ore di gioco. Inoltre, l’interfaccia utente è confusa e sovraccarica, rendendo difficile interpretare rapidamente le informazioni necessarie per prendere decisioni strategiche. L’uso del controller è un pianto tanto quanto la tastiera e mouse, sistema che va completamente rivisto.

Un altro aspetto problematico è la gestione dei personaggi durante le battaglie. Il fatto che i membri del gruppo eliminati in combattimento siano persi definitivamente, a meno che non si ricarichi un salvataggio precedente, aggiunge un livello di difficoltà che può facilmente scoraggiare i giocatori meno esperti. Sebbene questa scelta possa sembrare coerente con l’idea di realismo e sfida, nella pratica diventa un elemento frustrante che spesso obbliga a ripetere lunghe sequenze di gioco.

Se c’è un elemento che merita davvero un elogio, è la direzione artistica di Flint: Treasure of Oblivion. La grafica semi-cell-shaded, combinata con cutscene in stile fumetto, crea un’atmosfera unica e visivamente piacevole. Ogni personaggio è dotato di un ritratto dettagliato e stilisticamente coerente con l’ambientazione storica, contribuendo a un’immersione visiva efficace. Anche gli oggetti più banali, come fasciature o equipaggiamenti, sono rappresentati con una cura a dir poco gradevole.

Naufragio con scialuppa

Flint: Treasure of Oblivion è un gioco che ambisce a offrire un’esperienza unica nel panorama dei CRPG, ma fallisce miseramente, senza possibilità di giungere alla “terra promessa”. Nonostante l’ottima direzione artistica e alcune buone idee di base, il prodotto finale risulta carente sotto molti punti di vista: la narrazione è debole, il gameplay è macchinoso e frustrante, e l’assenza di elementi chiave come una mappa rende l’esplorazione più un peso che un piacere.

Nonostante la qualità artistica, la bellezza estetica non basta a mascherare i difetti strutturali del gioco. La sensazione è quella di trovarsi di fronte a un prodotto che punta più sull’impatto visivo che sulla solidità del gameplay e della narrazione. La scialuppa di salvataggio del gioco è la piattaforma PC che riesce, seppur con molta fatica, a rendere l’esperienza di gioco leggermente meno disastrosa.

Per la maggior parte dei giocatori, Flint: Treasure of Oblivion rappresenterà un’opportunità mancata, un titolo che avrebbe potuto essere molto di più con una maggiore attenzione ai dettagli e una progettazione più solida.

Flint: Treasure of Oblivion
Insufficiente 4
Voto 4
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Senior Editor
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.