Final Fantasy VII Rebirth – Recensione del secondo capitolo del remake

Abbiamo vissuto la seconda parte di tre della storia di Cloud e compagni: eccoci con la nostra recensione di Final Fantasy VII Rebirth.

Simone Lelli
Di Simone Lelli - Editor in Chief Recensioni Lettura da 18 minuti
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Final Fantasy VII Rebirth

La musica è in grado di farci emozionare. Soprattutto per la capacità dell’essere umano di collegare alcuni dei propri ricordi a determinate note e parole, siano quei ricordi belli o brutti. Si tratta di uno dei motivi che, insieme al significato di un testo o al modo in cui quella canzone magari ci risolleva il morale o ci butta in una tristezza liberatoria, riescono a rendere la musica un grandissimo sfoggio artistico. Per questo le musiche di Final Fantasy VII, che abbiamo potuto rivivere ora con la recensione del secondo capitolo Rebirth, sono qualcosa di ancora più eccezionale, considerato che i ricordi da cui attingono sono quelli vissuti quando giocavamo su PlayStation a questa strana rivoluzione che era Final Fantasy.

Pronti e carichi dopo aver giocato Final Fantasy VII Remake e il suo DLC Intermission, ora torniamo da Cloud e compagni con Final Fantasy VII Rebirth, secondo capitolo di una tripletta che ci porta alla scoperta della stessa storia, forse diversa, forse alterata, forse uguale. Una serie di forse che trovano come certezza solo il fatto che noi fan, sia quelli di vecchia data, sia i più freschi, teniamo molto all’opera. Fortunatamente, anche Square Enix.

final fantasy vii rebirth

Unico limite: Midgar

Nonostante la qualità del precedente gioco, c’è da dire che Remake aveva un compito più semplice: tutti ricordiamo la parte di Midgar di Final Fantasy VII, e il suo essere abbastanza guidata, considerato che si tratta del primo terzo del gioco e dell’area più “limitata”. Per questo vederlo trasposto in chiave moderna fu nel 2020 qualcosa di eccezionale, capace sì di lasciare la bocca aperta, ma che a conti fatti non era nulla di troppo “unico”. Al contrario, pensare a tutto ciò che viene dopo Midgar, considerato anche il colpo di scena che chiude Remake, è decisamente più da “bocca aperta”, e possiamo confermarvi che Square Enix è riuscita nel suo intento.

Missioni Secondarie e Attività

Le prime ottime referenze vengono date da una dinamica open map più evidente e ben strutturata (fondamentale per un titolo di questo gerenre), con zone da esplorare e una serie di missioni secondarie da compiere tutte ben costruite, talvolta ripetitive, ma capaci di aggiungere anche parti di lore molto intriganti. Partiamo quindi proprio da qui: dalla mappa del mondo e da come questa proponga città che non vedrete l’ora di visitare, soprattutto per il feeling nostalgico, ma dove amerete rimanere anche per la serie di cose che dovrete fare.

Il gioco infatti propone diverse città da esplorare, dove in ognuna troverete una serie di piccole avventure da vivere: esse si dividono in missioni secondarie, non più di una mezza dozzina per città, con storyline separate e collegate spesso a NPC già conosciuti nel Remake, e attività, piccole fasi esplorative che vi permetteranno di accumulare dati per Chadley (che come nel precedente gioco vi proporrà anche le sfide per le Materia degli Esper e la realtà virtuale per altre sfide di combattimento) e di scoprire nuove informazioni – talvolta anche inedite – sulle varie città che visiterete.

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Se a primo colpo tutto ciò potrebbe sembrare fuori luogo paragonato a Remake, in realtà queste dinamiche riprendono in modo chiaro l’origine più aperta del secondo disco di gioco di Final Fantasy VII, uniformando però alcune delle dinamiche più moderne, come il completamento del dossier (ciò che terrà traccia di tutte queste attività secondarie da fare). Ad aiutarci ci sono anche le Torri, punti che potrete scalare e sbloccare, e che vi permetteranno di avere una visione più specifica delle attività disponibili.

Insomma Final Fantasy VII Rebirth presenta una struttura molto pulita e ordinata, che ci permette in modo eccellente di tenere il segno dei nostri progressi in tutto.

Non è tutto però, perché l’esplorazione di queste zone aperte sarà accompagnata da varie novità che continueranno ad aggiungersi di volta in volta, variando un po’ l’approccio ed evitando il rischio di ripetitività. Abbiate fede, compiere queste attività, nonostante possa spaventare sulle prime, diventerà uno dei vostre passatempi preferiti, e vorrete sempre completarle tutte prima di procedere nella trama principale.

Tornando sulle missioni secondarie poi, queste sono narrativamente profonde come poco si vede nei jRPG, e in ognuna di esse si trovano spunti  capaci di caratterizzare i vari personaggi, siano essi i protagonisti o semplicemente nuovi arrivati. Già Remake era riuscito in questo, ma Rebirth lo fa a un livello anche superiore.

Tra queste va sicuramente messa in evidenza poi la ricerca dei Vestigi, oggetti collegati a qualche strano personaggio che avranno un’orizzontalità di città in città e che, di volta in volta, vi faranno avvicinare alla risoluzione del mistero, grande punto interrogativo che vi strapperà persino qualche sorriso.

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Minigiochi

Un’altra grande scoperta che farete, è la moltitudine di minigiochi che troverete in Final Fantasy VII Rebirth, e sono davvero fantastici. Questi sono tutti posizionati in modo strategico, siano essi parte di una missione secondaria o di un’attività da completare per sbloccare equipaggiamento, e avranno legami sia con vecchie attività di Remake che richiami alle iterazioni originali.

Tra tutti spicca Regina Rossa, il gioco di carte che prende lo stile estetico del Triple Triad – con tanto di carte dedicate ai vari Esper e creature – ma con un gameplay molto più vicino al moderno Marvel Snap o a Gwent. Funziona dannatamente bene, ed è capace di spingervi a sfidare ogni giocatore che incontrerete, con tanto di sfide puzzle da risolvere (altra ottima aggiunta).

Non va dimenticata anche la maniacalità con cui Square Enix ha deciso di inserire alcune dinamiche, come il pianoforte, un sistema a la The Last of Us pensato per suonare delle melodie in una sorta di Rhythm Game, ma che in fondo vi permetterà di fare ciò che volete, persino alternare accordi e note, tonalità e tant’altro.

Non mancano poi Fort Condor, qualche ritorno gradito e nuove sfide da affrontare, talmente contestualizzate nell’ambiente e che vi sembreranno sempre “normali” da fare. La dinamica esplorativa acquisisce valore dalla sospensione dell’incredulità che ne scaturisce, perché anche se Sephiroth va trovato, sicuramente giocare ad una variante di Rocket League non potrà mai far male (ed è divertente pensare come alcuni di questi minigiochi fossero presenti, citati o pensati già 25 anni fa, e come oggi invece ci siano titoli che basano tutta l’esperienza proprio solo su uno di questi).

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Combat System

Arriviamo ora ad una delle parti che più preme conoscere. Nonostante il sistema che ci permetteva di combattere in Remake fosse rodato, seppur un po’ macchinoso, il lavoro fatto in Final Fantasy VII Rebirth è senza dubbio una rifinitura precisa e pulita. Nel gioco infatti troviamo tante novità in grado di rendere il gameplay e il combat system molto più dinamico e interessante, senza però staccarsi troppo dal precedente gioco.

Come prima cosa, finalmente è stata inserita l’importanza parlare con i nostri alleati: in alcune fasi obbligatorie, in altre facoltative, potrete fare dei dialoghi con i vari compagni e cambiare quindi il rapporto in base alle risposte date.

Questo farà scaturire un’evoluzione delle dinamiche capaci di sbloccare delle azioni sinergiche e delle abilità sinergiche. Le prime saranno delle mosse attivabili mentre si è in parata, davvero molto potenti e che mostreranno animazioni in combinazione tra i due personaggi in questione. Le abilità invece saranno vere e proprie mosse che vi permetteranno di infliggere ingenti danni in un attacco spettacolare con tanto di video dedicato, una sorta di variante della Limit Break, ma di coppia.

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Il party sarà sempre di 3 giocatori, e potrete selezionare stavolta molti altri personaggi (che incontrerete nel corso del gioco e che si uniranno a voi). La parte più interessante però arriva quando si parla di equipaggiamento: sebbene si riconferma vincitore il sistema di arma, accessorio e gioiello, con tanto di slot Materia e slot Materia Invocazione, ora le armi saliranno di livello e sbloccheranno, oltre che valori migliori, anche le prerogative, potenziamenti che potrete impostare in due modi differenti: automatico in base a se vorrete quel personaggio Offensivo, Difensivo o Bilanciato, o in modo manuale.

Rebirth non è avido di novità, e un’altra inserita sono le abilità del personaggio: la combinazione di salita di livello dell’arma e del personaggio vi permetterà di sbloccare parti di una piccola sferografia che, avanzando con i punti esperienza, vi darà la possibilità di sbloccare abilità sincronizzate, potenziamenti definitivi e soprattutto abilità interessanti. Tra queste troviamo quelle legate alle Materia, che vi daranno la chance di fare attacchi magici (meno potenti di una classica magia) senza dover spendere PM. Ecco allora che Cloud – o gli altri – sbloccherà Catena Rovente o Gelida, non solo arrivando ad avere un attacco magico a costo zero, ma addirittura potenziando la relativa materia. E tranquilli, siamo nel 2024, quindi in qualunque momento potrete fare un “re-spec” delle abilità, resettando i punti spesi.

I personaggi però avranno i soliti limiti: certo, potrete intercambiarli quando volete durante i combattimenti, e addirittura in casi estremi chiamarne uno esterno per effettuare insieme un’abilità sincronizzata, ma in fondo dovrete gestire le Materia Automatizzanti con parsimonia per fare in modo che i personaggi non giocati aiutino nei combattimenti, altrimenti vi troverete a dover gestire il party interno nel mentre picchiate forte con il vostro main. Tutto questo però, dopo aver passato molte ore nel primo gioco, diventa quasi una sorta di “dinamica di gioco”, più che un problema: è come se questa mancanza di IA profonda sia una spinta verso il giocatore, riportato come all’epoca a scegliere per tutto il team e a districarsi tra le barre ATB che si ricaricano. Praticamente ci sentiremo di nuovo un maestro d’orchestra che dirige gli strumenti.

A chiudere il pacchetto arriva un’altra novità ancora, ovvero il nuovo sistema di crafting: questa attività, chiamata Trasmutazione, vi permetterà di usare le risorse che troverete in giro per creare oggetti utili. Anche questo sistema avrà dei livelli, e potranno essere aumentati creando la prima volta un determinato oggetto, in modo da poter salire e sbloccarne di altri.

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Tutta questa esperienza diventa compagna di viaggio dentro ad jRPG in grado di far entusiasmare ad ogni singolo colpo dato, senza perdere quella strategia intrinseca di giochi del genere, ma nemmeno abbandonando la rapidità del tempo reale, un connubio che mai come ora funziona e appassiona, sia il combattimento contro un boss terribile o contro dei piccoli mob.

Remake o Re-Make?

Già dal finale del precedente titolo le teorie erano partite in modo incontrollato: effettivamente il cliffhanger finale di Final Fantasy VII Remake ci aveva lasciato un po’ col fiato sospeso, e ora finalmente avremo tutte le risposte del caso. O forse no.

Possiamo dirvi, senza spoiler, che quella dinamica è stata sì ripresa nel gioco, ma che in fondo tutto quel grande cambiamento che era stato “minacciato”, non sembra esserci. Certo, abbiamo davanti ancora un ultimo gioco, ma ad ora questo Final Fantasy VII Rebirth aggiunge delle novità, ma senza intaccare la trama principale. Volete scoprire come? Starà a voi completare questa seconda parte dell’avventura di Cloud e compagni, da noi zero spoiler!

Interessante però come alcune delle dinamiche narrative siano state adattate ad un racconto moderno: in alcuni frangenti si noterà subito che l’intreccio è proveniente da un gioco di 25 anni fa, ma nonostante ciò è chiaro come gli sviluppatori abbiano preso e “alterato” quanto basta solo dove possibile, per non rovinare tutto, ma comunque abbastanza da rendere i vari nodi di trama chiari e ben strutturati.

final fantasy vii rebirth

Final Fantasy VII Rebirth è un gioco che vive in due epoche, capace di coniugare in modo non sempre chiaro ciò che è stato e ciò che è adesso. Si tratta di un gioco capace di modernizzarsi dove serve, ma che allo stesso tempo non dimentica ciò che è stato: propone richiami talmente ben fatti da non poter essere definiti “nostalgici”, e se proprio dovessimo dargli una definizione, sarebbero “giusti richiami”. Perché in fondo è facile toccare le corde nostalgiche di noi videogiocatori, ma è dannatamente difficile è suonarle bene, e Final Fantasy VII Rebirth ci riesce alla perfezione.

Ovviamente tutto questo può avvenire solo a causa delle decisioni prese in termini di narrativa, che dubitiamo non abbiamo ricevuto “pressioni” dai feedback emotivi dei fan. Forse per questo, o forse perché fin dal principio il concept era tale, Final Fantasy VII Rebirth non è definibile tanto coraggioso come quanto fu definito Remake: certo, ripetiamo che si tratta di un secondo gioco di tre, e che alcuni punti focali della trama troveranno conclusione solo nel terzo e ultimo gioco, eppure già in questo ci saremmo aspettati qualcosa di più. Non parliamo ovviamente di un demerito, né di un pregio: si tratta niente meno che di una scelta narrativa che forse, nel 2024, poteva osare di più (ma state pur tranquilli che non è nemmeno così conservativa come credete).

final fantasy vii rebirth

Rimangono un po’ di dubbi sul finale, sull’ultimo capitolo (déjà vu, eh) e su come viene proposto, ma tutto sommato, così come con Remake, rimaniamo convinti che in fondo non c’è errore nel tentare strade nuove, al massimo meglio rischiare che provare rimpianto.

Al netto di tutto questo, possiamo dirvi che se c’è un punto dove il gioco non ha dato il massimo, è il comparto tecnico: ovviamente il titolo scorre fluido in modalità prestazioni – non si può dire la stessa cosa della modalità qualità – ma muovere un mondo talmente complesso e sfaccettato porta sicuramente – persino su PS5 – una qualità tecnica non troppo eccellente. Tranquilli però, gli sviluppatori hanno “lesinato” sulla qualità delle texture – come avvenne con Remake, ma per altri motivi – e non sugli effetti particellari, e il fatto che questa scelta sia coerente seppur per motivi diversi, tra i due giochi, fa capire il lavoro minuzioso di Square Enix, persino nei difetti.

Un plauso va fatto proprio alla software house: ce ne sono davvero poche in grado di creare remake di un gioco talmente amato dai fan con tutte le considerazioni del caso. Rimango fedele al mio concetto: quando al tempo si giocava a Final Fantasy, si partiva con l’immaginazione a pensare come quei poligoni poco definiti potessero essere invece combattimenti adrenalinici. Forse questo concetto, in fondo, lo condividono anche i team dentro Square Enix, perché c’è da dire che ciò che compare a schermo è adrenalinico come pensavo all’epoca.

Final Fantasy VII Rebirth
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Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.