Mentre il web continua a lamentarsi di come alcuni giochi propongano una difficoltà troppo elevata per il pubblico, il 2022 segna il tredicesimo anno dalla nascita di un nuovo genere: se infatti catalogare un Action RPG o un Picchiaduro può sembrare semplice, nel tempo sono nati sottogeneri come i soulslike, i roguelike e persino quelli che vengono chiamati metroidvania. Di base tutto parte dal nome del gioco, che diventa capostipite di un sottogenere. Tutto questo per dire che, nel 2022, potremmo aver davanti il nuovo Re di uno di questi: si tratta di Elden Ring, che non porta nel nome la parola Souls ma che – come scopriremo nella recensione – ne incarna a più riprese i vari spiriti proposti nel corso del tempo dalla mente di Miyazaki, e perché no anche da quelle che hanno tentato di copiarlo.
In principio era morte
La trama di Elden Ring, come già successo in passato, propone un incipit molto interessante a prima occhiata potrebbe risultare pretestuoso, ma che in realtà nasconde sotto dozzine di documenti, segreti e dettagli da scoprire, un intreccio decisamente ben strutturato. Il racconto ci pone comunque in una sorta di mondo devastato – come di consueto – dove dolore e devastazione sono percepibili da ogni tratto del design, a partire dai colori fino ai suoni che circondano il giocatore.
Come in precedenza Elden Ring propone una scelta tra varie classi che, a onor del vero, serviranno solo come partenza dato che potenziando il personaggio potrete aprirvi qualunque tipologia di personalizzazione. Di certo in questo nuovo gioco l’editor del personaggio accoglierà in modo più caloroso – grazie ad una grafica decisamente più avanzata dei precedenti soulslike – le scelte del giocatore, che potrà creare il proprio avatar nel migliore dei modi.
Se con Dark Souls e Demon’s Souls la scelta del viaggio era comunque relazionata ad un hub dove scegliere il mondo da visitare o da delle strade che, alla fine, portavano comunque dalla stessa parte, in questo caso invece l’apertura del mondo di gioco propone una sensazione di dispersione maggiore: fin dal principio voi avrete modo di sapere solo dove dovete arrivare – visto che i boss spesso vi costringeranno a chiudere le scelte verso un’unica strada – ma per il resto le altre zone saranno completamente esplorabili, e spesso dovrete farlo anche in modi alquanto bizzarri.
Libertà di sbagliare
Elden Ring infatti propone varie cutscene e vari dialoghi che possono comparire all’interno di zone già visitate, magari dopo aver fatto determinate azioni, e spingerà il giocatore a viaggiare per tutta la mappa un po’ alla rinfusa: l’ordine delle missioni “collaterali” e dei dungeon non sarà infatti sistemato come nei più comodi open world, ma dovrete viaggiare e sperimentare per poter capire cosa fare. Aspettatevi inoltre trucchi pronti a rendervi la vita un inferno, e persino situazioni inaspettate dove dovrete capire come salvarvi ed evitare di perdere tutte le anime che avete.
Prima di procedere con la recensione spieghiamo meglio una cosa: Elden Ring è un soulslike, e come tale propone un sistema di gioco fatto di una valuta da collezionare per poter comprare oggetti e equipaggiamenti o per potenziare il personaggio, che una volta morti perderete nel posto in cui avete perso lo scontro. Nel caso di una successiva morte prima di riprendere questa valuta, essa verrà persa totalmente. In questo caso, la valuta risponde al nome di Runa, mentre in Dark Souls venivano chiamate Anime.
Per questo motivo chi ha già familiarità con il genere si troverà sicuramente a casa – almeno per quanto concerne il gameplay. Perché in fondo Elden Ring è un esercizio di stile, il saper prendere un qualcosa che di per sé funziona, proporlo con qualche dinamica aggiuntiva (come il salto, ne parleremo più avanti nella recensione) e tutto sapientemente mescolato. Perché se i classici open world ci hanno insegnato che, aprendo il mondo pezzo dopo pezzo, le missioni secondarie arrivano, Elden Ring manda tutto all’aria mettendo dungeon da recuperare che sono vicini al punto di partenza, ma con livelli di difficoltà elevati (cosa che per certi versi ricorda anche il primo Dark Souls). Per questo Elden Ring riesce – rischiando davvero molto – a rendere il giocatore perso nel nulla, un vero Senzaluce avvolto nell’oscurità del non saper cosa fare.
L’azzardo
Il fatto che Elden Ring riesca a farcela in queste due dinamiche davvero rischiose già di suo, rende il gioco un must have: qualunque altra produzione sarebbe caduta nel tranello del “dispersivo” o in quello del “confusionario”, ma essendo queste due parole direttamente correlate alla difficoltà di gioco, c’è da dire che forse il background del titolo aiuta, e non poco.
Per il resto non c’è alcun dubbio: siamo davanti alla sintesi perfetta di una serie di meccaniche che, dal 2009, colorano i pomeriggi di sfida (e imprecazioni). Con tutta probabilità il gioco ad un’occhiata superficiale potrà sembrare l’ennesimo soulslike, ma il modo in cui diligentemente vengono sfruttati lo spazio aperto e la verticalità del salto (capace di rovinare l’equilibrio dei nemici) è qualcosa di speciale.
In termini di contenuti e di bilanciamento di gioco, per ora tutto sembra nella norma: il materiale proposto nell’open world rende tutto ciò che è esplorabile anche gradevole e divertente. Ovviamente la barriera architettonica della difficoltà di alcuni dungeon, unita alla mescolanza usata per renderli sparsi e creare un sistema di backtracking molto marcato, vi spingerà a scontrarvi contro nemici che dovrete sicuramente accantonare per tornarci in un secondo momento (oppure spendere dozzine di ore per buttarli giù da sottolivellati).
Tecnicamente, il gioco riesce a sopperire ad una qualità leggermente inferiore all’esclusiva PS5 di Demon’s Souls con un art design e uno stile delle ambientazioni superlativo: ogni scorcio sembrerà una tela dipinta a mano che prende vita sul vostro televisore. Questo non si può dire però dei luoghi chiusi, che al contrario rimangono leggermente spogli come tradizione vuole nel genere.
Insomma, Elden Ring è la fine di un viaggio (o magari la fine dell’inizio), ma non nel senso brutto del termine, bensì in quello bello: si tratta della sintesi totale di ogni soulslike uscito fino ad oggi, ma più che altro anche contaminato dai migliori Action RPG degli ultimi anni. Come tali, riesce senza dubbio a proporre un gioco di ampio respiro, che paradossalmente vi toglierà il fiato nella paura di scegliere dove andare. Il senso di solitudine e di dispersione è ben replicato al punto da lasciarvi più volte in balia del mondo di gioco.
Un nuovo standard, da adesso in poi
Ciò che meraviglia nell’esperienza generale di Elden Ring e che ci ha emozionato in sede di recensione rimane comunque il mondo di gioco: vedere ogni singolo angolo della mappa come una nuova scoperta è qualcosa che fino ad oggi nemmeno il migliore open world permetteva di avere in questo modo (o forse fa solo strano vederlo su un genere così particolare). Si parla spesso del modo in cui i soulslike riescono ad essere punitivi, ma in questo caso ogni singola scoperta sembra più una gioia che una punizione (anche se spesso la morte è certa nel primo incontro).
Insomma, l’imprevedibilità regna sovrana nel mondo di Elden Ring, soprattutto considerato che non avremo modo di sapere cosa ci si parerà davanti: per questo motivo è ottimo esplorare con attenzione, soprattutto perché l’armatura di un certo tipo potrà tornare utile in un secondo momento, addirittura salvandoci la pelle contro uno di quei boss dagli attacchi inaspettati.
Per quanto concerne le boss fight, i vari nemici sono sapientemente gestiti e impostati, e la strategia la fa da padrona: ciò che però rimane inaspettato – almeno per i giocatori rodati di soulslike – è la meccanica del salto, che permetterà di poter giocare su tre dimensioni stavolta. Anche la cavalcatura aiuta molto, al punto che alcuni boss sono più gestibili in questo modo. Un plauso infine al mondo di gioco: l’Interregno è sapientemente differenziato, e ogni zona della mappa riesce a dare una visione artistica stupenda e allo stesso tempo un diligente lavoro di game design.