DolceRoma – Recensione del nuovo film di Fabio Resinaro

Emanuele Massetti
Di Emanuele Massetti Recensioni Lettura da 8 minuti
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DolceRoma
Rieccoci qui, dopo “Lo chiamavano Jeeg Robot“, “Brutti & Cattivi” e “Smetto quando voglio” (solo per citarne alcuni) si arricchisce nuovamente il catalogo delle proposte cinematografiche alternative di questa nuova tendenza nel panorama cinematografico italiano, con produzioni più accattivanti e borderline rispetto ai titoli che uscivano anni fa. Mentre prima c’era qualche timido tentativo, ora sembra che i produttori credano sempre di più in questa sorta di nouvelle vague italiana, dove il grottesco, l’irriverenza e il cinefumetto, fanno da impalcatura a storie che anni fa sarebbero state raccontate in maniera più canonica e realistica. Non sempre il botteghino li premia, spesso sono meteore che passano inosservate, altri sono autentici casi e nuovi punti di riferimento. Tralasciando i soliti cliché che rimandano alla mente Tarantino o Guy Ritchie, ora le strizzate d’occhio e lo stile, pescano a piene mani dai lavori dell’eclettico Matthew Vaughn o di Edgar Wright. È qui che Resinaro sembra aver guardato per creare la sua tavolozza ideale fatta di colori, di archetipi, e di azione per delineare il suo ultimo lavoro. Purtroppo il risultato è meno raffinato e più grezzo rispetto ai lavori dei registi citati prima, ma fa piacere che nel cinema italiano moderno si cerchino finalmente queste commistioni. DolceRomaAbbandonato temporaneamente la coppia registica Fabio&Fabio, che ha esordito con il precedente “Mine” proseguendo per il successivo “Ride“, Resinaro insieme a Fausto Brizzi, prendono spunto dal libro di Pino Corrias “Dormiremo da Vecchi”, estrapolandone il soggetto e andando su binari più personali e del tutto a sé stanti. La storia riprende un filone abbastanza noto, quello che racconta il mondo che c’è dietro alla macchina da presa, con i suoi luoghi comuni e le sue contraddizioni. Sono lontani gli anni di Effetto Notte di Truffaut, qui Resinaro tende a flirtare più verso una serie di successo come Boris – memorabile serie tv italiana che raccontava con sagacia e astuzia tutti i luoghi comuni intorno al cinema italiano -, da cui DolceRoma pesca tutta la cialtronaggine intorno a certe figure che va a rappresentare, senza dimenticare quel geniale film di Ben Stiller, Tropic Thunder, di cui condivide gli eccessi e le iperboli. La storia affronta le vicissitudini di aspiranti scrittori in cerca di un’occasione, di produttori mefistofelici, di registi incompetenti e di attrici isteriche e paranoiche.
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Oscar alla romana

È Inutile negarlo, il personaggio di Oscar Martello, interpretato da un Luca Barbareschi in gran forma, irrompe come uno tsunami e traina il film per tutta la sua durata. Gli “Oscar” del cinema che ce lo rimandano alla mente non sono solamente l’omonima statuetta dei premi hollywoodiani, bensì l’Oscar Pettinari di Carlo Verdone tratto dal film Troppo Forte, figlio di una Roma verace, bonaria, e genuina. Il Pettinari Verdoniano era un millantatore, un guascone dall’animo buono, “cazzaro” e raccontaballe che cerca la gloria e la fama sempre nel mondo del cinema ma in veste di comparsa. Martello è anch’esso un millantatore, ma mostra dei tratti psicologici diametralmente opposti. l’Oscar di Barbareschi è un Pettinari che ha venduto l’anima al diavolo, è un produttore influente, arrivato al successo più come arrampicatore sociale che per i meriti che lui tanto decanta. Prevaricatore senza mezze misure, con un difficile problema di controllo della rabbia. L’Oscar di Barbareschi è un sociopatico che non conosce le più normali regole di condotta. Comunica con i suoi subalterni inveendo, sbraitando, e alzando le mani il più delle volte. Il cognome “Martello” invece, rimanda alla mente un ‘altra figura omonima: “Nando Martellone“, attore di teatro dalla grana grossa tratto dalla serie “Boris” citata poc’anzi, e di cui forse il personaggio di Barbareschi condivide solamente il cognome nel campo della ferramenta. Per l’attore questo ruolo è praticamente una seconda pelle. Con esso si crogiola, gigioneggia a più riprese, si diverte a metterlo in mostra. L’interpretazione risulta convincente proprio perché non fa fatica. Con disinvoltura ci mette del proprio, quegli atteggiamenti intrinsechi del personaggio (l’uomo Barbareschi) che le cronache spesso hanno sottolineato. Il film molto spesso è un one man show Barbareschiano, con molti aspetti che rimandano alla mente il villain iconico Kingpin della serie Dardevil, che quasi schiacciava con la sua presenza il protagonista più introverso e defilato. DolceRomaMeno convincente è l’aspirante scrittore interpretato da Lorenzo Richelmy, a tratti forzato o semplicemente troppo schematizzato nell’interpretazione di questo Peter Parker allucinato dalla doppia natura. Sembra quasi sradicato da un altro ambiente e piazzato lì, in questo circo di pazzi, a muoversi in un campo che non è il suo.

Altrettanto deludente è il poliziotto interpretato dall’ottimo Francesco Montanari, caratterizzato esteticamente in maniera troppo caricaturale e parodistica: vestito fuori moda, con un accenno di pancetta (abbastanza finta) indossa occhiali retrò perennemente calati sul naso. Più interessante la caratterizzazione psicologica, con quel suo sguardo apparentemente sornione ma svelto e motivato nel comprendere le situazioni con cui si trova a interagire. Sottotono la Gerini, nel ruolo della solita moglie ricca e prorompente ma, ciononostante, inerme difronte all’istrioneria del marito. Degno di nota è Libero De Rienzo, caricaturale e giganteggiante anch’esso, come un po tutti i personaggi della storia. Divertente nell’interpretazione di questo ennesimo malavitoso camorrista dal taglio improbabile che, insieme ai suoi scagnozzi, cerca di creare scompiglio nella storia. Dopo il personaggio di Barbareschi ha lui le battute migliori.

Resinaro, dal canto suo, non lesina in idee visive ardite e movimenti di macchina barocchi: efficace la scena di sesso ripresa con quell’effetto roteante. Ottima anche la sequenza dell’esplosione con il personaggio chiave che viene catapultato fuori dalla vetrata direttamente nella piscina. Ai posteri la conturbante scena di nudo dalle tinte angeliche con la Gerini nella vasca colma di miele, che rimanda alla mente una scena simile ma meno “incisiva” in John Wick 2, sempre con la Gerini protagonista. Si vede che c’è una cura da parte di Resinaro nel costruire un quadro visivo accattivante a livello delle produzioni d’oltreoceano; purtroppo le scene d’azione risultano poco convincenti, nonostante una certa perizia tecnica nel metterle in scena con l’utilizzo di maestri d’armi impiegati sul set. Le colluttazioni, o quelle poche che ci sono, risultano legnose e rese confuse da un montaggio troppo frammentario.

DolceRoma
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Voto 6
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