Il consumismo ha bisogno di costruire un rapporto col consumatore, così è, e così è sempre stato. La pubblicità è stata inventata proprio per questo, per invogliare, per ispirare, per manipolare e spingere all’acquisto, per disegnare qualcosa di forte ed immediato negli occhi e nella mente di chi guarda, al punto da muovere i fili del denaro mondiale. Prendiamo ad esempio i trailer cinematografici, questi non sono stati inventati con il fine di presentare qualcosa alle persone, ma con il preciso obbiettivo di spingerli ad andare in sala. Se analizzassimo la costruzione di un trailer, le parole utilizzate per presentare l’opera-film in questione, le immagini selezionate e la canzone adoperata in fase di montaggio, ci troveremmo davanti a un linguaggio visivo che poco a che fare con l’arte o con l’espressione cinematografica: si tratta di commercio puro e crudo, null’altro. Tutto per portare le persone in sala, per ispirare in loro sensazioni e soprattutto una certa fiducia nei confronti di ciò che hanno davanti, verso un qualcosa che non conoscono veramente, ma che sono spinti ad ammirare, ad approvare, proiettandoci sopra tutta una serie di aspettative che troveranno il loro culmine con la spesa del denaro. Si tratta di sensazioni precedenti all’acquisto, di un tipo di manipolazione che tutt’oggi ha trovato florida radice anche nel mondo dei videogiochi. Cyberpunk 2077 è soltanto l’ennesimo esempio di un mercato che non soltanto si limita a presentare qualcosa, ma che nel suo porsi, arriva a toccare una serie di corde estremamente personali e soggettive.
L’esempio cinematografico qui sopra serve soltanto a introdurre un meccanismo emotivo estremamente importante. Quando si parla di commercio moltissimi tendono a tenere fuori le emozioni, tagliando via uno degli elementi fondamentali che il consumatore riesce a investire ogni qual volta approccia la pubblicità. Se il trailer di un film riesce, tramite alcuni escamotage comunicativi, a costruire una fiducia sul nulla, portando a un acquisto sostanzialmente a scatola chiusa, pensate a cosa si è riusciti a creare parlando di videogiochi. Qui non si tratta soltanto di amore o passione, ma di veri e propri investimenti emotivi, generati da un tipo di manipolazione che non solo vuole mostrare qualcosa, ma che vuole legarsi, fin dal principio, indissolubilmente all’immaginario personale di chi guarda.
Sono stati proprio gli esperimenti sulla comunicazione commerciale a condurre a tutto questo, a portarci dove siamo oggi, in un’era in cui le persone non soltanto sono portate all’acquisto, ma vengono aggiornate continuamente su un qualcosa verso cui non hanno troppo potere. Non fraintendiamoci, il potere d’acquisto muove ogni cosa, però la pubblicità si è evoluta, si è trasformata, disegnando le attuali strategie, che tormentano e accompagnano ogni istante della nostra vita con un prolungamento dell’interesse che il più delle volte illude e disillude. Prendiamo ad esempio lo sviluppo seguito passo passo con il gioco suddetto: Cyberpunk 2077.
Ci avevo creduto così tanto! E adesso?
Cyberpunk 2077 è soltanto uno degli esempi più recenti di questa attitudine tutta nostra, tutta contemporanea. Il gioco ha avuto uno sviluppo abbastanza lungo, nel corso del quale gli sviluppatori (CD Projekt Red) sono riusciti a far innamorare il grande pubblico della loro idea. Perché è proprio di questo che si tratta, di una visione alla quale moltissime persone hanno creduto fin dal principio. Il tutto è stato sapientemente alimentato, passo dopo passo, con i vari video, trailer, interviste, dichiarazioni in merito, immagini e frasi a effetto. Poi… ci sono stati tutti i rinvii. Questo approccio pubblicitario a cosa ha condotto? Semplice, il consumatore si è innamorato follemente di un qualcosa che non ha mai veramente stretto fra le mani, che non è mai stato suo, di un qualcosa verso cui ha proiettato varie emozioni, ma soprattutto la propria fiducia.
Viviamo nel periodo storico in cui le persone non soltanto costruiscono una solida fiducia personale verso qualcosa che ancora non esiste, ma ci investono anche il proprio denaro. Ecco che il concetto di prima, riguardo al cinema, torna qui amplificato. La comunicazione commerciale contemporanea, nell’ambito dei videogiochi, non soltanto riesce a emozionare prima del tempo, ma si spinge oltre, e lo fa attraverso il concetto di pre-order.
In una società in cui tutto va velocissimo, in cui nessuno ha mai tempo per fare nulla, ecco che la pubblicità riesce a sfruttare la situazione per trarne un nuovo passo avanti manipolativo, adattandosi ad un sistema che spegne la creatività in favore di qualcos’altro…
Tutto corre, ti innamori di un qualcosa che non esiste verso il quale hai totale fiducia, e hai paura che qualcun altro se ne appropri prima di te. L’individualismo resta la base del consumismo, in questo caso, poi, ancor di più, palesandosi in un atteggiamento che spinge a un pre-acquisto (incentivato anche da alcuni particolari piccoli “bonus”). Questo, ovviamente, non succede soltanto con Cyberpunk 2077, ma con tutti i videogiochi sui quali si investe, oggi, più denaro. C’è questa fretta nell’aria, paura nei confronti del prossimo, voglia di consumare tutto e subito, in un “subito” che molte volte getta le basi di una superficialità nell’approccio, il quale inizia e termina con l’acquisto, purtroppo.
La pubblicità vuole sempre qualcosa da noi. Su questo non v’è dubbio. Con internet, però, la situazione ha toccato corde anche inedite. Il web ci ha dato la possibilità di commentare qualsiasi cosa, di esprimere il nostro punto di vista su tutto, senza troppe limitazioni. Questa “libertà” ha trasformato anche la pubblicità stessa, facendola divenire altro, arrivando a rompere – almeno all’apparenza – le distanze di prima. Questo ha tramutato l’approccio del consumatore stesso che, adesso, non soltanto acquista, ma mette bocca sulla creazione delle cose che vuole consumare.
Cyberpunk 2077 e la pressione…
Cyberpunk 2077 è soltanto l’ennesimo esempio di questo atteggiamento, che il più delle volte comincia proprio dalle case di sviluppo stesse. Queste, in un tentativo di interessare il prossimo del proprio operato attuale, costruiscono alcune vie comunicative tramite internet (post su twitter, Facebook e quant’altro), le quali in molti casi spingono gli appassionati a commentare apertamente ogni cosa, per esprimere un’opinione che impatta (questo dipende) sul lavoro stesso in corso d’opera (prendiamo ad esempio quanto avvenne col film di Sonic e con il suo design, modificato in seguito ai commenti sul web).
Il tentativo di costruire un dialogo con il consumatore, comunque, non sempre si è rivelat essere la strategia vincente, arrivando anche a denotare una certa insicurezza generale negli eventi e un interesse non troppo creativo, ma volto principalmente alla massificazione commerciale, pensiamo ai vari sondaggi fatti dalle case di sviluppo, atti a leggere l’indice di gradimento del grande pubblico. Questi alle volte hanno anche influito sull’avanzare stesso di alcuni progetti specifici, conducendo a scelte narrative discutibili…)
Inoltre, in moltissimi casi il cosiddetto “hype” – eccitazione generata da questo genere di operazioni generali – ha delineato una fame difficilmente gestibile dagli sviluppatori stessi, dai suoi stessi fautori che si sono ritrovati ad avere addosso insulti e sguardi parecchio evidenti, quanto diretti. Nel nostro presente non soltanto ci affezioniamo alle idee degli altri, pre-acquistandole, le vogliamo subito fra le nostre mani. C’è questa fretta comune, impazienza nel voler consumare un qualcosa che piano piano prende forma. Impazienza a cui abbiamo potuto assistere con il suddetto Cyberpunk 2077.
A ogni rinvio le persone si sono lamentate, esprimendo il loro infinito disappunto nei confronti della casa di sviluppo stessa, nell’inammissibilità di un ritardo. L’illusione non ammette ritardi, non ammette distrazioni, non ammette problemi o errori. Verso chi dobbiamo puntare il dito allora? Verso questa fame assurda, questa voglia, anche feroce, del consumatore stesso, o verso un sistema pubblicitario malato che prima spinge all’acquisto e al legame emotivo, ma poi non riesce a reggere il confronto con l’illusione che ha costruito?
Alcuni rimasugli di un tempo che ciclicamente ritorna
Nel tempo abbiamo assistito parecchie volte agli effetti negativi della pubblicità, sia sul consumatore che sul videogioco stesso, portando a importanti “false partenze” e alla caduta di miti che restano ancorati all’immaginario soggettivo di chi ci ha creduto. Con No Man’s Sky abbiamo un esempio di questo genere di attitudine. Una campagna pubblicitaria che sembrava promettere chissà che, per poi giungere a un lancio che fece germogliare principalmente l’ira di chi ci aveva creduto, con un titolo che non risultò minimamente all’altezza delle aspettative costruite in fase promozionale. Per non parlare di ciò che avvenne con la saga Kingdom Hearts, con suo terzo capitolo annunciato moltissimo tempo prima dell’uscita, il quale ha suscitato una marea di emozioni nei fan, con un’attesa così lunga e apparentemente infinita che alla pubblicazione riuscì, almeno in parte, a smorzarne l’accoglienza definitiva.
Oppure si potrebbe parlare di Final Fantasy VII Remake, il quale puntò moltissimo sia sulla leggenda del nome che porta, sia sulla nostalgia che questo ispira, come anche su un’attesa che consumò letteralmente gli appassionati. In seguito all’uscita, però, non entusiasmò soprattutto per via di alcune modifiche a cui non avevano accennato durante la promozione, conducendo a risposte generali contrastanti e a una fruizione lampo. Se ne parlò per pochissimi giorni, per poi svanire nel mare di uscite di quel periodo.
Un approccio molto curioso avvenne anche con Blizzard al suo Blizzcon 2018, nel quale venne accennata l’uscita di un nuovo Diablo. Tutto ciò eccitò i fan al punto da condurli ad un’amarissima delusione, nel momento in cui le loro aspettative vennero corrisposte con Diablo Immortal, titolo costruito su mobile. Consumatori e pubblicità vanno dunque di pari passo al giorno d’oggi, in un rapporto in parte morboso da non sottovalutare affatto. Questo probabilmente è stato uno degli errori principali di CD Projekt Red, quello di sottovalutare le aspettative che loro stessi avevano costruito negli anni, per poi, anche in seguito a varie problematiche interne della casa, improvvisare un’uscita che ha portato soltanto una generale amarezza.
Le promesse di pulcinella simil Cyberpunk 2077
Viviamo in una società in cui tutte le informazioni possibili sono facilmente alla nostra portata, in cui informarsi verso qualcosa è estremamente facile e immediato. Siamo immediati anche nello scegliere, ed è proprio questa immediatezza che il più delle volte ha generato situazioni curiose, in ambito commerciale, nella storia dei videogiochi. Sembra quasi che le persone non comprendano il potere e gli interessi delle immagini e delle parole, molte volte alimentate anche da noi giornalisti con un’ingenuità che spesso sfiora il fanciullesco. Eppure siamo liberi di scegliere, di analizzare, riflettere e selezionare senza dover per forza farci trascinare dalle varie operazioni di marketing che vorrebbero prometterci chissà che, per poi mirare principalmente al nostro portafoglio.
Siamo la generazione dell’hype culture, critichiamo i nostri genitori per il loro “amore” verso la televisione e ci scagliamo contro la vuotezza di questa, ma poi ci lasciamo trascinare come niente sulla superficie di questo fiume che ha le stesse identiche radici, ma con mezzi differenti. Il mercato non vive senza denaro, non respira, non evolve; mirerà sempre a quello, anche quando si parla di videogiochi. La chiave di tutto risiede però nella consapevolezza personale, che si ha quando si acquista qualcosa, nel comprendere un trailer, un post e tutti questi meccanismi che, proprio come avviene in amore, alle volte arrivano anche a spezzarci il cuore.