Fra le varie festività legate al giorno dei morti, quella che si celebra in Messico è una delle più pittoresche e riconoscibili. El día de muertos – rappresentato anche nel recente Spectre, ultimo film della saga di James Bond – è più simile a un giorno di festa in cui si celebra gioiosamente la vita del defunto, piuttosto che chiudersi nel dolore del lutto; per questo viene allestito un coloratissimo memoriale in casa e la famiglia riunita passa un giorno insieme nel ricordo, festoso, di chi non c’è più. Sono quindi facilmente comprensibili le proteste montate in Messico all’annuncio della Disney di voler produrre un film intitolato proprio El día de muertos, mettendo addirittura in conto di registrare il marchio! Il malcontento ha poi generato il titolo di COCO, nome di un personaggio apparentemente marginale e con un minutaggio limitatissimo nella pellicola, ma che racchiude l’anima e il significato dell’ultimo film Disney–Pixar.
Miguel è un bambino come tanti, vivace e con uno smisurato amore per la musica, come la stragrande maggioranza dei messicani, passione che non viene però condivisa dalla sua famiglia, anzi, viene addirittura osteggiata, a causa dell’abbandono del capostipite per inseguire la carriera d’artista. La musica viene quindi bandita dalla famiglia di Miguel, al pari delle foto dell’antenato, e sarà solo la dedizione di Miguel nell’inseguire il proprio sogno, unita alla dedotta identità del suo avo, a mettere in moto gli eventi che catapulteranno il bambino nel mondo dei morti.
Nella sua semplicità, COCO si presenta come una pellicola destinata a scrivere la storia del Cinema messicano, non solo grazie alla qualità in sé della pellicola, quanto per l’ottimo incasso al box office che ne ha fatto il film di animazione più remunerativo nella storia del paese centro-americano.
Visivamente potente, coadiuvato da un impatto cromatico di livello stellare (il mondo dei morti, nonostante ciò che si può essere abituati a pensare, è coloratissimo e caldo nelle sfumature) COCO riesce con uno script molto classico – ma non per questo meno efficace – a raccontare una storia emozionante e commovente con una facilità disarmante, merito della ben visibile mano della Disney. Dal 2006, anno in cui la casa di Topolino ha acquisito la Pixar, la maggior parte delle pellicole di animazione prodotte dallo studio seguono un pattern narrativo facilmente riconoscibile, dando spazio a dei personaggi, “borderline” nei rispettivi nuclei familiari, pronti a tutto pur di realizzare i propri sogni; è così per Cars, è così per Ribelle, ed è così anche per COCO, con la differenza che in questo caso specifico la storia raccontata ha un impatto emotivo tale da giustificare anche questa “standardizzazione” della trama.
Nonostante la casa produttrice sia ancora lontana dallo standard qualitativo di prodotti come Gli Incredibili o Monsters Inc. (solo per citare i più recenti pre 2006), la strada intrapresa con COCO, sebbene poco innovativa, sembra essere quella giusta, grazie anche a una qualità delle animazioni che al momento non conosce rivali (si riesce a notare la lunghezza delle unghie dei mariachi, per dire) e a una colonna sonora sebbene molto “fan oriented” coinvolgente e ben gestita all’interno della pellicola.
Un film che già si configura come un classico.