Avete mai pensato a un mondo nel quale i palazzi prendono vita e gestiscono una città? Forse voi no, ma ad averlo fatto sono stati i creatori di Buildings Have Feelings Too, protagonista della recensione di oggi. Si tratta di un videogioco a dir poco particolare, dove la gestione di costruzioni urbane incontra il puzzle gaming. Come da titolo, lo si potrebbe definire un simil Sim City puzzle la cui natura indie merita di essere tenuta in considerazione nella valutazione finale; dopotutto, la presenza di alcuni limiti è ovviamente legata a un budget non elevatissimo. Al di là di quelli che possono essere i pro e i contro, che vedremo tra poco, si tratta però di un’idea particolarmente originale e interessante.
Che cosa si fa in Buildings Have Feelings Too?
Dopo un brevissimo prologo introduttivo, che ci contestualizzerà al mondo di gioco e alla gimmick dei palazzi che parlano e camminano, Buildings Have Feelings Too entra subito nel vivo. All’inizio troveremo un progressivo tutorial che, attraverso piccole quest d’esempio, ci mostrerà tutte le meccaniche ludiche. Essendo un tutorial passo passo, non ci si potrà sbagliare facilmente su cosa bisognerà fare e cosa no. Finito il tutorial, il gioco entra nel vivo immergendoci subito nel suo gameplay, con una struttura di fondo che si riassume nel dover portare a termine le quest di tutti gli scenari del gioco. Alla base c’è la costruzione, gestione e progressione dei vari palazzi presenti in diverse dimensioni, e ognuno di questi potrà ricoprire ruoli specifici, come se mansioni quali ospitare persone, fare il negozio o divenire un magazzino industriale fossero i loro lavori.
Le quest si basano sull’ottenere vari tipi di palazzi, le cui fasi di progressione sono rappresentate in stelle. Per fare un esempio pratico, se la quest 12 ci chiede di costruire due market con una valutazione di 3 stelle, dovremo fare in modo di ottenerli soddisfacendo le condizioni per migliorare quel tipo di palazzo/immobile/struttura. Facciamo un altro esempio pratico. Vogliamo far salire “di livello” il nostro market e quindi controlliamo le condizioni richieste. Vediamo innanzitutto che i palazzi hanno dei punti cuore, che indicano la loro felicità. Per far livellare alla terza stella l’attività, dovremo conseguentemente raggiungere una felicità pari a 3 cuori, raggiungibile con i requisiti visibili nella scheda.
È in questo schema che subentra la forte componente puzzle. Per soddisfare i requisiti dell’upgrade alla stella successiva, è necessario costruire i palazzi giusti affianco a quelli che ci interessa livellare. Se ci viene chiesto di trovare altro personale nel negozio, dovremo costruire delle abitazioni attorno al negozio, così che vi siano persone in grado di lavorare al suo interno. Finché si tratta di una singola costruzione alla volta, non è certo una sfida insormontabile, ma nel momento in cui ci viene chiesto di costruire più copie di un determinato palazzo, le cose cominciano a complicarsi. A volte per i giusti motivi, ossia una corretta profondità nei puzzle, in altri casi per delle sbavature nel bilanciamento.
Soddisfare quest, costruire palazzi d’alto livello e tenerli nel posto giusto farà crescerà la felicità generale del quartiere. Aumentarla permetterà di sbloccare nuove quest e soprattutto nuovi tipi di edifici per completarle. Ci sono ancora due ultimi aspetti della progressione da dover considerare; il primo è la possibilità di spostare i palazzi già costruiti, facendosi seguire con il proprio avatar palazzo, e sostituirli a quelli già presenti nel punto dove vogliamo collocarli. Il secondo è la valuta di gioco, ossia dei lingotti di ferro che ci verranno consegnati quando miglioreremo una struttura o completeremo delle quest. Con questi lingotti potremo costruire un numero sempre maggiore di palazzi contemporaneamente, senza doverne demolire uno per poterne fare di altri.
Pro e contro di un’opera che non convince del tutto
Buildings Have Feelings Too si caratterizza insomma per un gameplay semplice, che lo rende giocabile da chiunque, e una struttura di gioco molto chiara. Anche grazie al tutorial iniziale, neanche troppo tedioso, si imparano subito le meccaniche di base e come usarle al meglio per completare le quest. Proprio la strutturazione in quest si è rivelata forse come l’aspetto migliore dell’esperienza di gioco. È sempre chiaro cosa bisogna fare e la sfida offerta è sicuramente appagante. Da segnalare che nella nostra prima run abbiamo incontrato un bug che ci ha impedito di completare una quest, nonostante avessimo tecnicamente fatto tutto correttamente. Dopo alcuni riavvii il bug è sparito, ma trattandosi di un indie non abbiamo problemi a passare sopra questi piccoli difetti tecnici. Di contro, però, Buildings Have Feelings Too soffre per dei comandi particolarmente scomodi. Si tratta di un gioco pensato per l’utilizzo di un controller, o in generale di una tastiera, ma non poter usare il mouse nemmeno nel menù si è rivelata una scelta infelice. Dopotutto, un giocatore PC ha come abitudine navigare i menù con il mouse, anche in quei giochi dove magari lo si impiega poco o nulla.
Sempre parlando dei menù, in alcuni casi non è possibile tenere inclinata la levetta analogica del controller, o tenere premuto un tasto della tastiera, per scorrerli velocemente. Sono problematiche minori, e anche quelle che meno hanno influenzato la nostra valutazione, ma rimangono dettagli che peggiorano la fluidità dell’esperienza di gioco. I veri difetti vanno identificati infatti nell’esperienza ludica. La mappa dello scenario dove ci si trova non è navigabile velocemente e non esiste alcun tipo di visuale panoramica, quindi avere a portata di mano un chiaro quadro generale di ciò che ci circonda sarà sostanzialmente impossibile. Questo perché Buildings Have Feelings Too presenta una telecamera a scorrimento orizzontale, e la mappa è conseguentemente navigabile solo in orizzontale camminando con il proprio alter-ego digitale. Il fatto che non vi sia neanche un modo per velocizzare la camminata non aiuta.
Anche le azioni eseguibili sono legate al proprio personaggio, dettaglio che ha reso l’esperienza particolarmente frustrante. Per selezionare un palazzo, non esiste infatti una posizione logica dove mettersi con il proprio avatar. Bisognerà andare un po’ a tentativi, fino a quando il puntatore non andrà a posizionarsi sotto il palazzo giusto; cursore che si può anche spostare con le freccette direzionali, vero, ma questo significherà solo che per selezionare con precisione un palazzo serviranno tre tipi di input, uno per spostare l’avatar, uno per spostare il cursore il 90% delle volte e uno per dare l’ok. Come facilmente immaginabile, tale configurazione si è rivelata particolarmente problematica fin dai primi istanti in-game. La vera sfida in Buildings Have Feelings Too non è stata completare gli scenari, bensì mantenere la calma ogni volta che selezionavamo la cosa sbagliata.
Dal punto di vista tecnico, Buildings Have Feelings Too mette in mostra un comparto visivo semplice ma funzionale. La grafica di gioco si presenta pulita, pur con alcuni dettagli volutamente più grezzi per esaltare l’ambientazione industriale del gioco. Anche i vari menù tendono al minimal, ma sono sempre chiari e leggibili. Dal punto di vista del sonoro nulla di particolare da segnalare; gli effetti appaiono standard, probabilmente presi in parte da librerie musicali free of copyright (comunissimo tra gli indie con poco budget). La musica di sottofondo ha un ritmo rilassante, azzeccata per un puzzle game come questo. In generale, un lavoro pulito e anche abbastanza curato a livello tecnico.
Come avrete probabilmente capito da questa nostra recensione, Buildings Have Feelings Too è insomma un discreto rammarico. Si tratta di un gioco sicuramente intrigante, in parte anche originale, ma cade su problemi di cura nella giocabilità che si sarebbero potuti (e dovuti) evitare. Non è però un prodotto insufficiente, dato che ai controlli più macchinosi del solito ci si può anche abituare con il passare delle ore.