Buone notizie per i fan di Lin-Manuel Miranda: siamo giunti alla punta dell’iceberg della sua inarrestabile parabola autoriale. Con due titoli importanti tra quelli distribuiti in sala e sulle piattaforme quest’estate, si può parlare senza incertezze di picco di visibilità, per la gioia dei seguaci più accaniti del creatore del “musi-cult” Hamilton. Il primo dei due film estivi targati Miranda, In The Heights (ribattezzato Sognando A New York qui da noi), trasferiva con vitalità il primo successo teatrale del prodigio di Broadway sul grande schermo. Il secondo, invece, è frutto di una lavorazione più estesa e accidentata: il cartoon Vivo, di cui vi proponiamo la recensione, in arrivo su Netflix il prossimo 6 agosto e nato da un’idea che Miranda aveva avuto nel lontano 2009, presa poi in mano dallo storico autore della trilogia di High School Musical Peter Barsocchini.
Ritmo latino
L’incipit, come per In The Heights, ha sullo sfondo le strade rumorose di una località latina: Havana, per la precisione, dove sulla bocca di tutti c’è solo lo sfavillante duo musicale composto da Andrés, anziano musicista, e Vivo, un tenerissimo cercoletto (o kinkajou, in lingua inglese) che anima assieme al suo talentuoso compare le piazze e le vie della capitale cubana. La festosa esistenza dei due viene puntualmente sconvolta dall’arrivo di una lettera da parte della celebre cantante Marta Sandoval, ex-fiamma di Andrés, che chiede all’uomo di raggiungerlo a Miami per suonare un’ultima, appassionata canzone insieme. Proprio quando Vivo si decide ad aiutare Andrés nell’impresa, però, un incidente improvviso lo costringe a intraprendere il viaggio da solo: il piccolo animaletto si unisce così alla famiglia della nipote di Andrés, la scalmanata e incompresa Gabi, per arrivare in Florida e coronare il sogno impossibile del suo vecchio amico.
Considerata la gestazione prolungata, era fisiologico aspettare Vivo con una certa curiosità, nell’attesa di scoprire in che modo Miranda avesse saputo infondere la propria personalità creativa in un prodotto d’animazione. Chi si era immaginato sostanziali novità dal primo musical animato di Miranda è quindi destinato a restare deluso. La premessa, fra le più semplici e lineari, è una commistione iper-classica di quanto di meglio ci ha saputo dire il cinema d’animazione – quello targato Pixar in particolare – nell’ultimo decennio: animali parlanti dai tratti e dai comportamenti antropomorfi (e la mente va subito a Ratatouille); una soundtrack colorata e orecchiabile; l’elemento culturale di ispirazione latino-americana, come vuole l’ormai consolidata tradizione “mirandiana”; un tocco finale, sempre gradito, di melodramma familiare più adulto, con un colpo di scena doloroso e inaspettato a muovere la vicenda.
C’è, insomma, tutto ciò che un film d’animazione dovrebbe avere nel 2021 per generare sufficientemente interesse sul giovane pubblico delle piattaforme, con una strizzata d’occhio anche agli adulti. A coordinare quella che è a tutti gli effetti un’esplosione di colore, raccontata attraverso una sgargiante gamma cromatica, c’è Kirk DeMicco (già regista de I Croods), che conduce questa fiesta appassionata con garbo e gusto estetico – un’incursione finale nell’animazione in 2D, ormai divenuta quasi definitivamente desueta, riesce ad arrivare dritta al cuore. Il ritmo del racconto non cala mai, e la storia si muove passo a passo con le sonorità diversificate della colonna sonora, firmata da Miranda assieme al musicista premio Grammy Alex Lacamoire – lo stesso duo dietro aal successo di Hamilton e In The Heights. La frattura qualitativa con i modelli sopracitati, e di cui terremo conto per la valutazione finale nella recensione, si apre però quando Vivo cerca di andare più a fondo, tentando di pescare fra le pieghe del racconto un discorso sull’accettazione della morte e l’elaborazione del lutto – questione che, stando a quanto riferito da Miranda stesso nelle interviste, rappresentava il cuore del concept originale.
Ponendosi come obiettivo esplicito quello di proseguire quello che Coco e Il libro della vita avevano fatto prima, Vivo tenta quindi di raccontare, attraverso una storia sulla vita, un racconto di crescita sull’elaborazione della morte. Il problema è che, al netto delle condivisibili intenzioni, i personaggi raccontati da DeMicco e Miranda non sono sufficientemente forti da trainare un discorso complesso come quello che gli autori desiderano fare. Complice anche l’apertura a un target visibilmente più basso di quello dei film che lo hanno preceduto, il risultato è un film simpaticissimo e innegabilmente perfetto per un pubblico più piccolo, ma anche più semplice, lineare e superficiale di quelli che Miranda & Co avevano in mente durante la lavorazione. Ma nel mare grande delle distribuzioni estive poco importa: a conti fatti ciò che conta è la fiesta di colori ed energia. Intrattenimento garbato e spensierato che, vista la stagione, non può che essere ben accetto.