L’attuale periodo che il mondo dello spettacolo sta vivendo è decisamente complicato, principalmente causato da molte delle attività chiuse o che hanno subito delle vere e proprie limitazioni di fruizione. Il cinema fa parte anche di questo, con la conseguenza che alcune pellicole hanno subito minor riconoscimento dal pubblico rispetto a quanto inizialmente previsto. Fino all’ultimo indizio fa quindi parte di questa categoria di prodotti che, nonostante un grosso publisher alle spalle come Warner Bros, sono passati ingiustamente in sordina. Il film diretto, scritto e prodotto da John Lee Hancock (quest’ultimo conosciuto per aver lavorato a prodotti dal calibro di Saving Mr. Banks, The Founder e Highwaymen – L’ultima imboscata) si dimostra un thriller non originalissimo ma che riesce a tener accattivato lo spettatore e, maggiormente, i fan del genere.
Tutto iniziò negli anni 90
Disponibile per l’acquisto e il noleggio in diversi servizi di streaming digitali, Fino all’ultimo indizio ha sin da subito una storia produttiva interessante e allo stesso tempo complicata. Stando alle dichiarazioni rilasciate, la sceneggiatura originale del prodotto è stata concepita nel 1993 e con Steven Spielberg alla direzione del progetto. Purtroppo, il conosciuto autore rinunciò al tutto ritenendolo fin troppo dark e così, nei restanti venti anni, diversi altri nomi importanti hanno abbandonato la barca tra Clint Eastwood, Warren Beatty o Danny DeVito. Alla fine, anche grazie all’esperienza conseguita con la sua precedente produzione, John Lee Hancock ha deciso di dirigere da solo il film utilizzando la solita sceneggiatura ma adattandola al periodo contemporaneo. La storia si ambienta nel 1990, e racconta del vice sceriffo Joe “Deke” Deacon (interpretato da Denzel Washington) che viene mandato a Los Angeles per raccogliere le prove forensi relative a un recente omicidio. Qui fa conoscenza della giovane promessa detective Baxter (interpretato da Rami Malek) e alla fine i due, seppur con le loro divergenze, collaborano per poter raggiungere un obiettivo comune e ben definito.
Essendo un’opera estremamente narrativa, preferiamo non svelare ulteriormente l’intreccio che i due personaggi sopracitati devono affrontare, ma sappiate che la scrittura e la caratterizzazione degli interpreti riesce a non cadere troppo nel banale. La narrativa, come abbiamo già spiegato, non è troppo originale nelle sue vicende e nella metodologia del racconto, ma quello che funziona davvero sono i rapporti che si instaurano e i dialoghi, grazie anche alla buona interpretazione dei membri del cast in cui, compresi quelli secondari, lo spettatore riesce a credere nel’animo delle persone presenti nella pellicola. Menzione d’onore va comunque a Jared Leto, qui in una delle sue migliori performance attoriali degli ultimi anni. Purtroppo, come di consueto non tutto è oro quello che luccica, e qui lo notiamo soprattutto da alcune delle azioni rappresentate. In varie parti del film si tende fin troppo spesso a forzare gli eventi per mandare il tutto in una certa direzione, facendo così venir meno la naturalezza espressa in altre sezioni della sceneggiatura. In generale è presente anche una certa prevedibilità, ma per il tipo di esperienza che l’opera vuole essere non è proprio un difetto. In un certo senso il regista gioca con le aspettative dello spettatore, accompagnandolo in alcune parti mentre in altre riesce a raggirarlo.
In cerca di redenzione
Quando si vuole ambientare un prodotto audiovisivo in un determinato periodo storico restandone fedeli, bisogna sempre stare ben attenti a ogni singolo dettaglio per rimanere corretti all’ambientazione rappresentata. Fortunatamente lo scenografo Michael Corenblith e il costumista Daniel Orlandi sono riusciti nell’arduo compito di portare su schermo questo periodo di transizione, riuscendo a riportare le vetture di allora così come altri visibili elementi che trasportano indietro nel tempo le menti degli spettatori. Importante notare come il tutto non è troppo oppressivo o estremizzato dando, per certi versi, per scontato che il pubblico conosca il periodo storico rappresentato. Un piccolo tocco di classe dalla produzione, che lascia così il modo di scoprire i vari elementi che riportano indietro di oltre trent’anni. Un ottimo lavoro lo notiamo anche con la colonna sonora, realizzata da Thomas Newman, che cerca di aiutare lo spettatore a entrare maggiormente nella mentalità e nelle emozioni provate dal personaggio di Washington. Infatti, a differenza di altri prodotti del genere, Fino all’ultimo indizio tenta di dare estremo risalto al lato umano del suo protagonista in modo da farci comprendere le motivazioni e i sentimenti in questa vera e propria caccia al colpevole.
Un film è composto comunque anche dalle inquadrature e dalla regia, e con Fino all’ultimo indizio si sono rivelate entrambe pulite e ben comprensibili all’occhio del pubblico. Purtroppo non riescono a spiccare in nessuna sezione delle circa due ore che servono per raggiungere i titoli di coda, non rivelandosi capaci di colpire sotto il profilo artistico e visivo. Un vero peccato, anche perché in precedenti prodotti il regista John Lee Hancock ha dimostrato ben altre capacità registiche. Non parliamo certo di un elemento fallimentare del prodotto, ma l’utente difficilmente riuscirà a rimanere realmente colpito da quello che vedrà, almeno sotto questo lato della produzione.