Nella giornata di ieri, 10 Gennaio 2019, è uscito nelle nostre sale Una Notte di 12 Anni, un opera di Álvaro Brechner, distribuita da Bim Distribution in collaborazione con Movies Inspired. La pellicola è ispirata a eventi realmente accaduti durante la dittatura militare dell’Uruguay negli anni 70/80, che viene usata come sfondo per raccontare una storia di disperazione e speranza.
Una prigionia di oltre 4.000 giorni
La storia tratta principalmente gli eventi legati alla prigionia di tre uomini: José “Pepe” Mujica (interpretato da Antonio de la Torre), Mauricio Rosencof detto “lo scrittore” (interpretato da Chino Darín) e Eleuterio “Ñato” Fernández Huidobro (interpretato da Alfonso Tort).
Le vicende dei personaggi vengono raccolte nell’arco di 2 ore e 3 minuti, e raccontano ben 12 anni di tortura, prigionia al limite dell’umano e sofferenza incline alla follia. Nel corso della durata del film viene esposta e analizzata dettagliatamente una parte della storia ben poco conosciuta ai più.
L’opera pone molto l’accento sui metodi di segregazione e su tutto ciò che i personaggi hanno realmente subito (se pur nel film con qualche licenza drammaturgica) ma che comunque sono riusciti a reggere diventando poi anche figure di spicco del panorama Uruguayano, come nel caso di Pepe Mujica (Capo dello stato uruguayano dal 2010 al 2015).
La speranza nel domani
Andiamo a parlare invece di quello che è l’aspetto strettamente tecnico del film, il quale presenta una regia e una direzione artistica davvero di ferro. Infatti all’interno della pellicola è possibile in alcuni momenti assistere a scene condensate in figure retoriche e flashback che quasi permettono di toccare con mano il grado di pazzia che si può raggiungere in condizioni come quelle mostrate nella pellicola.
La regia di Álvaro Brechner poi riesce perfettamente a bilanciare le narrazioni dei tre prigionieri, senza renderle confusionarie o troppo presenti a schermo, questo anche grazie ad una sceneggiatura condotta magistralmente che ben riesce a trattare le varie argomentazioni del film e mantenendo comunque un ritmo costante.
Un appunto però va fatto proprio dal punto di vista del ritmo del film che risulta per lo più piatto, cosa che potrebbe far storcere il naso a spettatori che magari si aspettano del dinamismo maggiore da una storia che parla di sopravvivenza in condizioni quasi disumane e che per tanto potrebbe risultare per certi versi pesante da seguire.
Escluso però questo “neo” per lo più soggettivo, il film riesce a far immedesimare perfettamente lo spettatore nelle varie situazioni a schermo, merito di una direzione minuziosa e ben condotta che mira a coinvolgere il più possibile lo stesso fruitore della pellicola attraverso situazioni incredibili ma reali e con un interpretazione davvero molto ben condotta.
Parlando infatti di interpretazione dei personaggi, questi ultimi sono stati impersonati in maniera molto realistica, al punto che è possibile in alcuni momenti disegnare perfettamente lo stato d’animo o comunque quello mentale di un personaggio solamente guardando lo sguardo dell’attore che lo interpreta.
Parlando del comparto sonoro della pellicola, quest’ultimo non fa altro che accrescere il livello artistico del film, riuscendo ad aderire perfettamente allo stesso e a trasmettere amplificatamente i vari stati d’animo rappresentati nel corso della durata dell’opera.
In più questo film si destreggia anche nel campo del “metalinguaggio” riuscendo a mettere in luce componenti contrastanti interni ad una dittatura, anche con delle scene che riescono a stemperare la tensione che si forma durante la visione. Ma soprattutto è possibile notare il parallelismo che viene fatto tra la prigionia interna (che viene dalla propria testa e dalla quale è quasi impossibile fuggire), e quella invece esterna (che per quanto dura e disumana è debellabile attraverso la ferrea resistenza fisica e soprattutto mentale).
L’ultimo giorno di carcere
Dulcis in fundo possiamo dire che questa pellicola si presenta come un’opera forte, critica e informativa su una delle tante pagine nere della storia umana. La pellicola infatti rappresenta con crudezza i lati al limite dell’umano che una segregazione forzata può portare sia dal lato del carceriere sia da quello del prigioniero (ovviamente non mancano gli esempi invece positivi e di umanità portati dalla condivisione di un ambiente così per certi versi estremo).
Questa pellicola porta allo spettatore una visione d’insieme di quello che è capace di fare l’uomo (in senso spesso strettamente negativo) ma anche, in maniera di certo più smussata, di quello che riguarda un regime dittatoriale militare basato sul terrore e sulla disinformazione.
Si tratta di una pellicola da vedere se non altro per potersi rendere conto di quanto un’estremizzazione (sia questa politica o di altro tipo) sia sbagliata e di come spesso tiri fuori il peggio delle persone, portandole a compiere azioni davvero al limite del ragionevole, cosa che viene più volte denunciata all’interno di questo film.