A Perfect Day – Recensione, quando essere belli fuori non basta

Se siete alla ricerca di un'avventura malinconica e dal retrogusto d'infanzia, A Perfect Day potrebbe fare per voi: ecco la nostra recensione!

Sara Pandolfi
Di Sara Pandolfi - Editor Recensioni Lettura da 5 minuti
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A Perfect Day

Le avventure grafiche sembrano essere (finalmente) tornate di moda: non solo le saghe storiche come The Monkey Island hanno fatto il loro ritorno, ma anche molti studi indipendenti hanno iniziato a raccontarci le loro storie mediante questo particolare tipo di videogioco. A Perfect Day, che vi raccontiamo in recensione, rientra proprio nell’ultima categoria. Si tratta di un’avventura grafica dallo stile e dalle tematiche assolutamente non scontate, e ci ha catturati fin da subito proprio grazie a questi due aspetti. Ora siamo pronti a darvi un parere nel suo complesso!

Cina, 31/12/1999

Il titolo ci lancia immediatamente nella sua vicenda senza alcun tipo di preambolo: vestiremo i panni di Chen Liang, un alunno di una scuola elementare della Cina del 1999, e senza particolari spiegazioni le nostre vacanze di fine anno sono iniziate prima del previsto.

La nostra missione sarà quella di rendere l’ultimo giorno dell’anno il giorno perfetto, accontentando tutti i nostri amici, parenti e conoscenti, e consegnando alla dolce amica Ke Yun la nostra cartolina di Natale. Le cose andranno secondo i piani fin da subito? Assolutamente no. Scopo del gioco è infatti la continua ripetizione del loop temporale del 31 dicembre 1999, nel tentativo di realizzare il nostro obbiettivo “perfezionista”.

L’intrecciarsi di sottotrame delle quali si compone la nostra giornata è ambientato in uno scenario capace fin da subito di farci sentire profondamente meravigliati: il più grande vanto del titolo è certamente il suo stile grafico interamente disegnato a mano con la tecnica del pastello.

Sarebbe però errato dire che il lato artistico del gioco in generale sia il suo punto forte: gli ambienti, per quanto disegnati con cura e originalità nel materiale usato, risultano piuttosto vuoti ed anonimi. Se non fosse per gli occhietti a mandorla dei personaggi vi sfideremmo a capire che il titolo è ambientato proprio sul suolo cinese.

Non si può inoltre parlare del lato artistico nella sua interezza senza soffermarsi sulla colonna sonora: sostanzialmente assente. Ad accompagnare le nostre chiacchierate ci saranno solo dei rumorini timidi e casuali che non aiutano più di tanto ad immedesimarsi.

Un loop che “oscilla tra dolore e noia”

Quella stessa grazia e delicatezza nello stile grafico non si ritrova nemmeno nella struttura della trama, che promette una profondità che invece rimane sempre sospesa, e nella caratterizzazione dei personaggi che, a partire dallo stesso protagonista, ci sono sembrati piatti e con ben poco a cui affezionarsi.

Rendere perfetta la loro giornata è l’intento di Chen Liang, ma il gioco non si impegna per far sì che sia anche l’intento di noi giocatori, regalandoci un’esperienza che sostanzialmente avanza per inerzia, e non per nostra volontà.

La struttura del gioco non aiuta ad incentivare il completamento della vicenda: dialoghi lenti, che si ripetono loop per loop (e ovviamente non skippabili) sono all’ordine del giorno. Non possiamo nemmeno definirci pienamente soddisfatti delle meccaniche da puzzle game.

Queste risultano infatti molto vicine allo stile delle avventure grafiche “di una volta”, in quanto l’ordine di completamento delle varie faccende sarà fondamentale per l’esito della nostra giornata (un po’ come accade in Deathloop); ma allo stesso tempo abbiamo avvertito una mancanza di logica non indifferente a livello strutturale.

La meccanica dello stress ci è sembrata più di tutte un fastidio presente col solo scopo di tediare il giocatore: il nostro Chien Lang andrà nel panico anche nelle situazioni sociali più banali, rallentando di molto un’esplorazione resa già enormemente lenta dai dialoghi e dalle azioni che, pur nella loro semplicità, vanno attuate in maniera meccanica e piuttosto stancante, alla lunga.

A metà tra tanti mondi

Per concludere, ci sembra doveroso soffermarci sul rapporto che A Perfect Day sviluppa con la piattaforma di gioco, nel nostro caso, Nintendo Switch. Il titolo richiede in più occasioni di osservare più elementi di uno scenario, selezionandoli: il touch screen è stato in tal senso molto utile, in quanto spesso gli analogici sembravano non fare il loro dovere.

Da sottolineare è, in ogni caso, la mancanza di una vera e propria interazione con le potenzialità di Switch: oltre ai comandi touch, non sono presenti particolari riferimenti alla versatilità della console (vedasi i comandi di movimento), eppure crediamo che, soprattutto in un’avventura di questo tipo, il loro inserimento sarebbe stato tutt’altro che fuori luogo.

A Perfect Day
5
Voto 5
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Editor
Nata e cresciuta videoludicamente sotto il segno della triforza, grande appassionata di videogiochi a 360°, ma con un nostalgico occhio di riguardo alle creazioni della grande N.