Siamo sinceri: la prima volta che abbiamo dato uno sguardo a The Last Case of Benedict Fox ne siamo rimasti totalmente rapiti. Sarà per l’ambientazione e il contesto lovecraftiano che non ci stanca mai (nonostante nell’ultimo periodo sia esageratamente inflazionato), sarà per la composizione del gioco che sembrava molto interessante, o magari per il comparto artistico a dir poco ispirato. Certo è, che guardare il libo solo dalla copertina può spesso trarre in inganno, e con quest’ultima fatica di Plot Twist questo concetto si è rivelato in gran parte veritiero, più per la pratica che per l’idea in sé. Ma procediamo con ordine, e analizziamo meglio The Last Case of Benedict Fox nella nostra recensione.
Metroidvania nel limbo…
Con un breve video a farci da introduzione, che ci dice giusto quel poco che dobbiamo sapere prima che la nostra investigazione cominci, veniamo catapultati prima in un velocissimo tutorial, e poi nell’avventura vera e propria. Il nostro protagonista, Benedict Fox, è un “detective autoproclamato” – come ama definirlo lo studio di sviluppo – che dalla sua avrà anche un piccolo, grande, terrificante aiuto: quello di un’entità sovrannaturale, che sarà sempre con noi, una terrificante voce nella nostra testa.
La nostra prima missione consiste nello scoprire il passato del padre di Benedict, appena ritrovato, ma di cui scopriamo subito il tragico destino: è morto, e non ha fatto una fine serena. La prima cosa da fare sarà creare una connessione con il “Limbo” del padre (ogni personaggio su cui indagheremo possiede il suo personale) grazie ai poteri del nostro “Partner”. Ma cos’ il Limbo? Diciamo una sorta di dimensione alternativa dalla quale potremo uscire ed entrare sfruttando determinati nodi, e l’aspetto di questo dipende appunto dalla personalità del defunto. Nel caso del padre del nostro Fox, è una versione molto più grigia, disastrata e dislocata della propria magione.
Non ci dilungheremo oltre per quanto riguarda la narrazione, ma sappiate che l’indagine ci porterà a scoprire segreti e altarini delle vittime, ma anche molto altro che riguarda l’Ordine di cui facciamo parte, e non.
…e nel terrore
Dal punto di vista del gameplay, l’esplorazione si presenta come il più classico dei metroidvania, forse leggermente più spoglio dal punto di vista delle interazioni (alcuni fondali saranno praticamente vuoti di oggetti e paramenti con cui interagire), ma con un discreto impatto visivo. Purtroppo, quest’ultima caratteristica si rivela anche l’unica effettivamente ben riuscita per quanto riguarda l’esperienza stessa, che per praticamente il resto delle sue feature si rivela un “tutto fumo e niente arrosto”.
Il sistema da metroidvania ci costringerà spesso al backtracking, che è tutt’altro che piacevole stando a quanto vi abbiamo raccontato poco fa, e a quello che vi diremo poco più avanti sui combattimenti. La nostra valuta per sbloccare abilità sovrannaturali per i tentacoli del nostro partner sarà l’inchiostro, che guadagneremo sconfiggendo le orripilanti creature all’interno del limbo. Badate bene che morire significa dover tornare a riprenderlo, o perderlo per sempre (già, ancora una volta in stile Souls).
Partiamo col dire che il sistema di combattimento in generale, nonostante a livello visivo sembrasse intrigante, si rivela estremamente inadeguato, soprattutto nelle prime fasi di gioco quando non avremo sbloccato le caratteristiche migliori di Ben. Colpire, parare, schivare, ma anche lo stesso muoversi per esplorare, sono azioni che ci sembrerà di fare con una pesantezza asfissiante, e anche un “pelino” di input lag, fastidioso soprattutto in quelle fasi dove il timing è tutto.
Un vero peccato, date le potenzialità del gioco a livello carismatico. Questa inadeguatezza si propaga per forza di cose anche ai nemici e alle bossfight, soprattutto perché perdere inchiostro (se non l’avremo fissato per tempo) potrebbe farci buttare interi quarti d’ora al vento.
Paradossalmente (per la tipologia di gioco ndr) la parte migliore di questo The Last Case of Benedict Fox risiede negli enigmi, interessanti e impegnativi il giusto, senza strafare, ma neanche una passeggiata, e soprattutto sono ben integrati all’interno del gioco.
Lovecraft chi?
Passando al lato artistico, è chiaro come l’atmosfera di The Last Case of Benedict Fox sia stata creata ad hoc per inquietare il giocatore: buonissimo il comparto grafico, abbastanza sufficiente quello sonoro (con un picco di qualità però più importante sui doppiaggi), e una resa generale tutto sommato buona.
Chiaramente è stato detto da subito dai ragazzi di Plot Twist che questo metroidvania ha visto come ispirazione la letteratura e l’immaginario lovecraftiano, ma al netto di qualche sprazzo, e di qualche tonalità di colore ormai tipica, anche di questo abbiamo visto un po’ poco. Che si siano volute limitare le citazioni per un fattore di originalità e di identità? Può essere, anche se in questo caso il “carisma” va un po’ a disperdersi.