Salt and Sacrifice e la sua recensione arrivano come seguito diretto del “vecchio” Salt and Sanctuary, titolo indipendente uscito nel lontano 2016 (di cui, vi ricordiamo, esiste una versione per PC). Ci siamo spesso chiesti se il secondo capitolo sarebbe stato all’altezza, quanto meno minima, del primo: ebbene, togliendoci subito il triste pensiero, così non è stato. Sfortunatamente questo secondo incontro/scontro con i mostri del gioco non ha saputo sorprenderci (per lo meno, non quanto il primo) ed abbiamo fatto un’immensa fatica a mandare giù il rospo. Ma andiamo con ordine e partiamo per quest’avventura.
Sale e magia
Nel mondo non meglio precisato di Salt and Sacrifice saremo chiamati ad interpretare un penitente, ovvero una persona che si è macchiata di un crimine orribile. Di volta in volta diverso, e che sceglierete mentre avviene la creazione del personaggio, questo crimine può essere pescato da un ventaglio decisamente gremito: c’è un po’ di tutto, dall’omicidio allo stupro, dal furto al vilipendio di cadavere (non è un gioco per stomaci deboli, sappiatelo! ndr). Una volta scelto il peccato commesso, vi verrà proposta la morte (e qui, scorreranno i titoli di coda e fine del gioco, complimenti!) oppure la possibilità di sottoporsi ad un rituale proibito, capace di rendervi immuni alla morte ma condannati ad una caccia senza fine. L’obbiettivo della vostra ricerca sono i maghi che “sono andati oltre” ovvero quelle persone che hanno spasmodicamente ricercato la magia per troppo tempo e sono divenuti dei veri e propri mostri. Il mondo è in preda al panico dato che i maghi controllano diversi territori con la magia e i non morti, e lo scopo del malcapitato sarà quello di affrontare tutti i mostri e riportare (se possibile) la pace. Trama che va scoperta, al solito, attraverso le azioni ed i dialoghi, e quasi mai palesata al giocatore in maniera esplicita (viva la novità ndr).
Sale e spirito
Inizialemente vi ritroverete attorniati da non morti classici tra scheletri e zombie, per poi essere assaliti da mostri ben più interessanti, quanto meno esteticamente, anche se di fondo permane un senso di inadeguatezza: il comparto grafico fa acqua da tutte le parti traformando, nel migliore dei casi, degli omini-stecco con dei “disegni incollati sopra” che sono poi le armi e le armature che porterete con voi. Perfino i vostri nemici sembreranno un brutto collage della scuola elementare, ed il feedback delle armi non sarà quasi mai all’altezza del colpo sferrato.
Altra problematica è che, sebbene le zone siano in stile Demon’s Souls, ovvero con un hub centrale che ci conduce di volta in volta all’istanza desiderata, non compare una mappa per il giocatore, e questo è senza dubbio l’apice della frustrazione in quella che è un’esplorazione alla metroidvania. Tutto si riduce nell’entrare in una zona, scoprire che ci sono porte non accessibili, zone invalicabili nelle quali dovremo tronare, identificare il boss ed ucciderlo, per poi fare ritorno alla zona neutrale: non certo il top del divertimento o dell’inventiva. A tutto questo aggiungete che, una volta trovato il boss, questo si sposta nella mappa e sarete costretti ad inseguirlo per riapprocciarlo e provare a continuare il vostro lavoro. In Salt and Sacrifice si vive una costante sensazione di inadeguatezza e di inospitalità.
Sale e dolori
Siamo giunti alla parte finale della recensione di Salt and Sacrifice. Trovate un bell’Obelisco (l’equivalente di un Falò se siete fan dei Souls) e volete tornare a quello precedente, perché magari ora avete un oggetto o un’abilità sbloccata dalla sferografia in salsa Final Fantasy X che prima non avevate, e siete certi di poter superare un ostacolo che prima vi bloccava: ci dispiace, ma non esiste alcun teletrasporto tra un’obelisco e l’altro e dovrete tornare sui vostri passi… a piedi, senza una mappa, ed affidandovi alla memoria. Frustrati? Non finisce qui: i checkpoint del gioco sono messi in ordine “casuale” nel senso che sembra come se in fase di programmazione si siano dimenticati di inserirli e qualcuno li abbia messi in maniera casuale sulla mappa, risultato? Alcuni tremendamente vicini tra loro, altri distanti come un’Odissea.
Sebbene esista una meccanica interessante, ovvero quella che i nemici che dapprima volevano la vostra testa, alla vista del Mago (ovvero del boss) ignorano il protagonista e si gettano a capofitto all’inseguimento del Mago, questa non basta a rendere il gioco un piccolo capolavoro come il primo capitolo. Sì, si possono ottenere oggetti potenti, equipaggiamenti leggendari e quant’altro, ma anche questo non basta ad alleviare la frustrazione e l’inadeguatezza in cui viene vissuta l’esperienza.
Esiste la modalità multigiocatore, che si vive come un’esperienza Soulsiana, e questo aggiunge del “sale” al tutto, che di base però risulta drammaticamente scialbo e insapore. Il titolo si rivolge indubbiamente a quello zoccolo duro di fan che ha adorato il primo capitolo, a tutti gli altri consiglio, citando Virgilio, “non ti curar di loro ma guarda e passa”.