A parte un paio di parentesi che li ha visti dedicarsi ad altri nomi, comunque importanti, Frogwares deve la sua fama alla produzione di titoli dedicati all’investigatore per eccellenza, Sherlock Holmes. Dal 2002, anno in cui la serie muoveva i primi passi con “Il Mistero della Mummia“, la struttura ludica si è evoluta rispetto alla classica avventura grafica punta e clicca, cercando in questi vent’anni di mantenersi in linea coi tempi (anche se alcune feature degli ultimi giochi hanno fatto parecchio storcere il naso). Questa volta analizziamo in recensione un titolo dalle fattezze inedite, Sherlock Holmes: Chapter One, che non solo ci metterà nei panni di uno “Sherry” appena vent’enne, ma che tenta di prendere le parti ludiche migliori dei passati capitoli e di unirle a una componente open world.
Tanto tempo fa…
Molto tempo prima che fosse conosciuto come il detective più grande del mondo, il giovane Sherlock Holmes era un ragazzo brillante, sempre pronto a mettersi alla prova. Per questo e per altri motivi, il nostro protagonista decide d’intraprendere un viaggio in nave e di recarsi nell’isola di Cordona, un paradiso nel bel mezzo del Mediterraneo dove lui e la sua famiglia hanno vissuto per un periodo di tempo. Proprio alla sua famiglia è legato il motivo principale del suo viaggio: scoprire com’è davvero morta sua madre, dato che la storia della malattia non è mai stata chiara fin dall’inizio. Questo suo soggiorno tuttavia non lo vedrà impegnato solamente con la ricerca di tale verità, e dovrà anche interfacciarsi con alcune delle realtà dell’isola, dal suo ritmo allegro, alla sua conformazione socio-politica variegata, fino ad arrivare a quella parte più oscura composta da crimine e corruzione. Come si inserirà il nostro investigatore in erba in questo contesto?
Come già detto, Sherlock Holmes: Chapter One è un titolo con un piglio del tutto diverso da quelli visti fino ad ora. Dietro alla splendida facciata dell’isola di Cordona si nascondono violenza e inganni, e starà a noi scoprirli e risolvere i vari problemi che ci si pareranno davanti, a modo nostro. Effettivamente, essendo un open world, avremo ampio respiro nell’esplorazione dell’isola, sia alla ricerca di casi od obiettivi secondari, sia nell’investigazione, ma procediamo per gradi.
Giovinezza e arroganza
Già dalla sua prima serata a Cordona, il soggiorno di Sherlock è destinato a farsi interessante: proprio all’interno del Palazzo del Lusso, albergo dove alloggerà per qualche giorno, in quelle precise ore si consumerà il primo delitto sul quale indagheremo. Stavolta al fianco del detective però non ci sarà Watson (probabilmente non si sono ancora conosciuti, essendo molto giovane), ma Jon, il suo amico immaginario, compagno di mille avventure fin dalla sua infanzia.
La trovata fa sorridere, dato che Frogwares – forse con un po’ di autoironia – con questo escamotage va quindi volontariamente a scherzare su tutti gli inquietanti teletrasporti di Watson nei capitoli precedenti: Jon infatti, essendo frutto dell’immaginazione di “Sherry”, si farà trovare spesso nei posti più assurdi e pronto a dirci qualcosa o a commentare una nostra azione. Il suo ruolo però non è solo da accompagnatore, ma sarà il nostro fulcro per la raccolta di appunti e storie sui casi, così come per il palazzo mentale dove uniremo i tasselli e creeremo le nostre ipotesi. Non finisce qui, però, dato che durante le fasi di ricostruzione degli eventi, mentre Sherlock si siederà a meditare, saremo noi stessi a guidare Jon e a mettere insieme i pezzi della storia.
Sul piano narrativo Jon è un personaggio imprescindibile, che si contrappone alla schiettezza e all’arroganza giovanile di Sherlock, e che lo spingerà anche a ricordare il suo passato nei vari punti dell’isola, sia quelli legati alle missioni principali, sia a dei ricordi secondari che vanno a dipingere il background sull’isola dello Sherlock che aveva dieci anni. Questi ricordi sono uno dei tipi di missioni secondarie a disposizione nel gioco: all’interno del titolo ci sono 5 quest che fanno parte della storia principale e sono collegate, tuttavia sono presenti oltre 30 missioni secondarie più brevi (anche se alcune molto più corpose di altre che occuperanno tempo quanto una principale); oltre ai ricordi potremo ad esempio aiutare la polizia locale con dei casi irrisolti, oppure indagare su delle stranezze – o scheletri nell’armadio – trovate mentre vaghiamo per il posto, o addirittura delle cacce al tesoro fotografiche.
Una delle altre attività a disposizione, inoltre, riguarderà il recupero di tutti i beni della vecchia casa di Sherlock che sono stati messi all’asta… chissà se questi oggetti non siano utili per sbloccare altri suoi ricordi? Oltre alla mente, però, in alcune situazioni verremo anche chiamati a sfruttare il nostro fisico: già nei precedenti capitoli abbiamo sperimentato come le fasi più “action” fossero il punto debole dei titoli dedicati ad Holmes, e questa caratteristica si riconferma. Nonostante non siano ludicamente troppo appaganti, le fasi di combattimento e di arresto (come ad esempio nelle attività secondarie dedicate ai covi di banditi) offrono una simpatica alternativa tra un caso e l’altro, con delle regolette per affrontare e sconfiggere (o arrestare) i nemici, QTE piuttosto semplici da performare. Avremo a disposizione una pistola e una tabacchiera… come utilizzarle, lo vedrete da soli.
Lancio della moneta
La risoluzione dei casi perciò, data questa nuova veste esplorativa, si staglierà a volte su parti estese della mappa, anche all’esterno. Saranno molto utili i punti di viaggio rapido sparsi per la mappa e che sbloccherete visitando a piedi le varie zone della città, anche se vi costerà un breve caricamento (almeno nella versione next gen del gioco, perché nel caso della generazione passata potrebbe essere più tedioso). Questa nuova meccanica vi costringerà quindi in alcuni casi a girare a vuoto in zone più o meno grandi alla ricerca di qualcosa che non sapete, cosa in alcuni casi abbastanza frustrante. A questo si aggiungono anche delle feature legate all’investigazione (sia in strada sia durante i casi in luoghi specifici), come ad esempio origliare il discorso di persone che stanno parlando per carpirne informazioni, oppure selezionare uno degli indizi o una testimonianza e interrogare gli NPC per scoprire se hanno visto o sentito qualcosa. Feature davvero intriganti ma non funzionali al massimo, un buon punto di partenza su cui lavorare.
L’investigazione ci porta anche a concentrarci, e sarà spesso un rimbalzo tra la ricerca di indizi in visuale normale e quella letteralmente di “concentrazione”, senza dimenticarci l’analisi delle testimonianze, degli indizi e delle dichiarazioni che raccoglieremo nel taccuino. Alcuni indizi richiederanno inoltre un tipo aggiuntivo di processo, come ad esempio dei composti ignoti che dovremo riconoscere tramite l’analisi chimica risolvendo un puzzle.
Gli ultimi due titoli della serie si distinguevano dalle vecchie avventure grafiche grazie alla maggiore possibilità di scelta, e soprattutto di errore. Al contrario degli storici e amatissimi titoli dove la soluzione era una e una soltanto, da Crime and Punishments, passando per The Devil’s Daughter (qui la recensione), in Sherlock Holmes: Chapter One abbiamo anche la possibilità di sbagliare le nostre deduzioni, fornendo la soluzione sbagliata e quindi mettendo fine ai casi erroneamente accusando un innocente. Come avrete capito leggendo di tutta questa libertà in game durante la recensione, anche in Sherlock Holmes: Chapter One sarà possibile fare le proprie scelte e sbagliare, cosa che aprirà anche un ventaglio di finali diversi. Trovare tutti gli indizi di un caso e di un luogo specifico ci fornirà le informazioni necessarie per avere un quadro generale e tirare le somme, la fretta non è mai stata amica di nessuna indagine. Se le indagini o i combattimenti vi risulteranno troppo complicati, è possibile cambiare la difficoltà o personalizzarla. L’unica a rimetterci sarà la vostra dignità personale.
Vuoti di memoria
Chiudiamo la recensione di Sherlock Holmes: Chapter One con quella che reputiamo la vera nota dolente del titolo, al netto di una patch del day one ancora da pubblicare, ovvero l’aspetto puramente tecnico del gioco. Tralasciando la meccanica della concentrazione e i ricordi da cercare in essa, dovendo però necessariamente allegare un indizio dal taccuino (già a spiegarlo è macchinoso) che potrebbe farvi inciampare e girare per diversi quarti d’ora alla ricerca di qualcosa che non c’è, il problema più grande sta nel frame rate: anche se il colpo d’occhio generale è molto buono, viene distrutto da continui “scatti” nella visuale mentre giriamo per le strade della città, mentre nei luoghi al chiuso o specifiche parti della mappa con pochi paesani a schermo riesce a reggere. Nonostante il problema più grande sia questo, non siamo esageratamente soddisfatti neanche della qualità dei dettagli e delle texture, che sembrano di metà scorsa generazione, mentre addirittura alcune clip video sembrano appena state riprodotte da una PS3. Un boccone abbastanza amaro da buttar giù, nonostante lo studio di sviluppo non ci abbia mai abituati a dei capolavori in tal senso.