Ci sono giochi che passano in sordina quando meriterebbero molto più successo di quanto ottengano, altri, invece, vengono bombardati di pubblicità e marketing per il solo scopo di lucrarvi a cadenza annuale proponendo sempre gli stessi concept, le stesse meccaniche, lo stesso titolo. The Sojourn, sviluppato dalla neonata software house inglese Shifting Tides, è un titolo che come molti altri del suo genere passa in sordina seppur presenti uno spirito e una struttura per certi versi unici, e che meriterebbe sicuramente di essere conosciuto a un pubblico più vasto. Badate bene che non stiamo parlando di un titolo che ha diviso le masse o di una rivoluzione videoludica, ma parliamo semplicemente di un lavoro svolto in modo ottimale dai propri creatori con una idea ben precisa alla base e uno scopo netto fin dall’inizio dell’avventura.
“Apriamo gli occhi sperando di vedere ciò che esiste, ma scopriamo che il nostro mondo ci è alieno”
Il gioco è un puzzle-gaming in prima persona nella quale ci troveremo a risolvere continui enigmi ambientali per poter accedere all’area successiva. Ma non è tutto. Alla base di questo gioco c’è uno spirito filosofico, seppur accennato in modo tanto semplice quanto basta che ti prende e ti spinge ad andare avanti non tanto per la voglia di vedere i titoli di coda ma quanto per scoprire un po’ di più su noi stessi. Ebbene si, all’interno del viaggio che affronteremo con il nostro protagonista (non è presente alcun tipo di altro personaggio o npc nel corso del gioco) saremo avvolti da una narrativa silenziosa che altro non è che lo scorrere del tempo e della vita che sta passando.
Il termine “vita” è proprio la parola più azzeccata per parlare di questo gioco. Il viaggio che intraprenderemo infatti inizia proprio con la nascita del nostro protagonista che mano a mano crescerà nel corso dell’avventura allenandosi, imparando, crescendo, fino a scoprire le verità del mondo. In tutto lo scorrere del gioco gli unici “personaggi” che possiamo vedere sono delle statue con gli occhi bendati, ognuno a significare quanto tutti siano ciechi nei confronti degli altri e di tutto ciò che ci circonda, dimenticando spesso di guardarci intorno e apprezzare anche le cose più piccole.
La trama altro non è se non un pretesto per farci riflettere sui veri punti essenziali della vita senza avere nessun tipo di impatto sul gameplay. Oltre alle statue che più ricorrono come quelle della famiglia, troveremo spesso tre personaggi che rappresentano i tre “poteri” del mondo come i soldi, la fede e la guerra. Mano a mano che si va avanti il nostro giocatore crescerà, e insieme a lui anche i vari mondi dei puzzle muteranno; il protagonista arriverà fino al punto di togliersi la benda che fin da bambino aveva sugli occhi per poter vedere finalmente il mondo come una persona adulta, avendo acquisito forza, conoscenza e fede; il mondo d’altra parte, se all’inizio sembrava essere collocato in un contesto più antico, nel corso del gioco si modernizzerà fino ad arrivare a un’epoca più attuale.
“Non è seguendo gli altri che si cresce. Prova, fallisci e riprova. E’ l’unico modo per andare avanti…”
Parlando invece di gameplay il gioco presenta delle meccaniche abbastanza semplici ma mai banali, con un tasso di difficoltà ben calibrato che aumenta nella parte finale e che non porta quasi mai alla frustrazione che spesso incappa in questo genere di giochi. Una volta completato l’enigma ambientale in cui ci troviamo, si può procedere alla fase successiva con quel senso di appagamento che ti spinge ad andare ancora avanti e scoprire sempre qualcosa in più. La meccanica principale (potremmo dire l’unica) del gioco risiede nel contrasto tra luce e ombra, tra bene e male. Quando ci troviamo di fronte a un nuovo livello il nostro unico compito è quello di scoprire come arrivare al punto di arrivo spostando statue, attivando sculture musicali e dirigere fasci di luce oscura in grado di creare una “dimensione parallela” dove pezzi di scenario distrutti come ponti, scale o altro diventano magicamente intatti conducendoci allo step successivo. Progredendo nell’avventura la difficoltà cresce senza mai sfociare nell’impossibile. Spostare le statue per attivare meccanismi che aprono le porte o dirigere fasci di luce da sculture a forma di parabola per entrare in una sorta di “modalità oscura” sarà una sfida a volte semplice, a volte ardua.
“Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno”
Il comparto tecnico di The Sojourn non è ovviamente il punto più alto di questa produzione, ma nemmeno vuole esserlo. Il titolo utilizza l’Unreal Engine 4 con uno stile artistico ineccepibile, con colori e tonalità a metà strada tra un disegno a pastello e uno ad acquarello, con una pulizia dell’immagine generale davvero di buona fattura. Nel corso del gioco non abbiamo mai riscontrato nessun tipo di problema tecnico che ha minato la nostra avventura (la versione testata è quella PlayStation 4). Ad accompagnare questa bellissima tela in movimento è la presenza di una colonna sonora che mai ostacola il pensiero del giocatore, anzi, lo rilassa proprio come farebbe un brano di musica classica in una sessione di studio. Nel complesso il lavoro svolto da Shifting Tides a livello globale risulta ottimo sebbene alcuni giocatori potrebbero notare alcune somiglianze di natura sia tecnica che artistica ad altri titoli del genere o affini (Rime, The Witness, giusto per citarne un paio).