The Life of Chuck è uno di quei film che arrivano in punta di piedi e finiscono per sorprenderti nel profondo. Ti aspetti un racconto in stile Stephen King, magari con un tocco di inquietudine o con un mistero oscuro pronto a emergere, ma Mike Flanagan, che di King ha già adattato con successo opere come Doctor Sleep e Gerald’s Game, qui cambia completamente registro. Abbandona l’horror, o meglio, lo trasforma in qualcos’altro: un dramma esistenziale, poetico, a tratti spirituale, che parla di vita, di tempo e della bellezza di esistere, anche solo per un istante.
Una struttura narrativa originale
La struttura è insolita e affascinante: il film inizia dalla fine e va a ritroso. In un mondo che sembra sgretolarsi, tra blackout, cieli che collassano e una realtà che perde consistenza, la gente inizia a vedere cartelloni pubblicitari che ringraziano un certo “Chuck” per la sua vita. È un inizio misterioso, surreale, ma col tempo scopriamo che quel collasso non è tanto cosmico, quanto umano: il mondo che si spegne è il mondo interiore del protagonista, Charles Krantz, che sta morendo. Da lì, il film risale lentamente verso l’adolescenza e infine l’infanzia di Chuck, ricomponendo i frammenti di una vita ordinaria ma luminosa, fatta di momenti piccoli, di amori, di perdite, di ricordi che diventano, a loro modo, eterni.
Flanagan riesce in un’impresa rara: trasformare l’ordinario in qualcosa di universale. E lo fa con mezzi sorprendentemente limitati; il film è costato appena 5 milioni di dollari, una cifra minuscola nel panorama hollywoodiano, specialmente per un’opera con ambizione visiva e filosofica. Tuttavia, il risultato è tutt’altro che povero: con intelligenza e sensibilità, il regista sfrutta le location, la luce, i volti degli attori e un uso raffinato del montaggio per costruire un racconto che sembra immenso pur restando intimo. È la dimostrazione che il cinema non ha bisogno di grandi budget per essere grande: ha bisogno di visione, di empatia e di un punto di vista sincero.
Tom Hiddleston e un cast di grande sensibilità
A incarnare Chuck troviamo un magnifico Tom Hiddleston, qui in una delle prove più misurate e toccanti della sua carriera. Lontano dai ruoli iconici e teatrali che lo hanno reso celebre, Hiddleston regala un’interpretazione fatta di silenzi e sfumature: un sorriso appena accennato, uno sguardo che si perde nel vuoto, un gesto che tradisce un’intera vita di emozioni trattenute. Intorno a lui, il cast di supporto è discreto ma efficace: Mark Hamill offre un’interpretazione sorprendentemente sobria, mentre Karen Gillan riesce a dare leggerezza a momenti che altrimenti rischierebbero di essere troppo pesanti.
La scena del ballo quale momento di pura catarsi
Uno dei momenti più belli e già iconici del film è sicuramente la scena del ballo in strada: una folla si abbandona a un’improvvisa esplosione di gioia, come se l’universo intero, per un attimo, si concedesse il lusso di danzare prima della fine. È un passaggio che racchiude il senso stesso del film: la consapevolezza che, anche quando tutto sembra svanire, la vita resta un dono da celebrare. È una scena di pura catarsi, in cui Flanagan riesce a comunicare ciò che le parole non possono dire; nonostante sia costruita con semplicità, la scena risulta essere potentissima.
Certo, non tutto fila alla perfezione. Il ritmo, in alcuni momenti, tende a dilatarsi, e il tono riflessivo del film può apparire troppo indulgente o “zuccheroso” per chi preferisce storie più asciutte, ma questa lentezza è anche parte del suo fascino: The Life of Chuck non ha fretta di arrivare da nessuna parte, perché ciò che conta non è la meta, ma il viaggio, e, soprattutto, lo sguardo con cui lo si compie.
Una carezza che rimane nel tempo
Flanagan dimostra un coraggio raro: quello di credere nella delicatezza. In un’epoca in cui il cinema è dominato dal rumore e dall’eccesso, sceglie di raccontare il silenzio, la malinconia, la gratitudine. E riesce a farlo con un equilibrio sorprendente, senza mai scadere nel sentimentalismo gratuito. È un film che parla di morte, sì, ma lo fa per celebrare la vita.
Alla fine della visione resta addosso una sensazione dolce e persistente, come una carezza o un ricordo d’infanzia che non vuoi lasciar andare. The Life of Chuck è una piccola, luminosa meditazione sull’esistenza, un film che con pochissimi mezzi riesce a toccare corde profonde e universali. È una lettera d’amore alla vita nella sua forma più fragile e forse proprio per questo, nella sua imperfezione, si avvicina alla verità.

