The Life of Chuck Recensione, danzare fino alla fine del mondo

Ecco la nostra recensione di The Life of Chuck di Mike Flanagan, una piccola, luminosa meditazione sull'esistenza.

Francesca Leonardi
Di
Francesca Leonardi
Appassionata di film in tutte le sue forme. Perché accontentarsi di vivere una sola vita quando il cinema ti permette di viverne infinite?
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Lettura da 6 minuti
the life of chuck
8.5 Ottimo
The Life of Chuck

The Life of Chuck è uno di quei film che arrivano in punta di piedi e finiscono per sorprenderti nel profondo. Ti aspetti un racconto in stile Stephen King, magari con un tocco di inquietudine o con un mistero oscuro pronto a emergere, ma Mike Flanagan, che di King ha già adattato con successo opere come Doctor Sleep e Gerald’s Game, qui cambia completamente registro. Abbandona l’horror, o meglio, lo trasforma in qualcos’altro: un dramma esistenziale, poetico, a tratti spirituale, che parla di vita, di tempo e della bellezza di esistere, anche solo per un istante.

Una struttura narrativa originale

La struttura è insolita e affascinante: il film inizia dalla fine e va a ritroso. In un mondo che sembra sgretolarsi, tra blackout, cieli che collassano e una realtà che perde consistenza, la gente inizia a vedere cartelloni pubblicitari che ringraziano un certo “Chuck” per la sua vita. È un inizio misterioso, surreale, ma col tempo scopriamo che quel collasso non è tanto cosmico, quanto umano: il mondo che si spegne è il mondo interiore del protagonista, Charles Krantz, che sta morendo. Da lì, il film risale lentamente verso l’adolescenza e infine l’infanzia di Chuck, ricomponendo i frammenti di una vita ordinaria ma luminosa, fatta di momenti piccoli, di amori, di perdite, di ricordi che diventano, a loro modo, eterni.

 

Flanagan riesce in un’impresa rara: trasformare l’ordinario in qualcosa di universale. E lo fa con mezzi sorprendentemente limitati; il film è costato appena 5 milioni di dollari, una cifra minuscola nel panorama hollywoodiano, specialmente per un’opera con ambizione visiva e filosofica. Tuttavia, il risultato è tutt’altro che povero: con intelligenza e sensibilità, il regista sfrutta le location, la luce, i volti degli attori e un uso raffinato del montaggio per costruire un racconto che sembra immenso pur restando intimo. È la dimostrazione che il cinema non ha bisogno di grandi budget per essere grande: ha bisogno di visione, di empatia e di un punto di vista sincero.

Tom Hiddleston e un cast di grande sensibilità

A incarnare Chuck troviamo un magnifico Tom Hiddleston, qui in una delle prove più misurate e toccanti della sua carriera. Lontano dai ruoli iconici e teatrali che lo hanno reso celebre, Hiddleston regala un’interpretazione fatta di silenzi e sfumature: un sorriso appena accennato, uno sguardo che si perde nel vuoto, un gesto che tradisce un’intera vita di emozioni trattenute. Intorno a lui, il cast di supporto è discreto ma efficace: Mark Hamill offre un’interpretazione sorprendentemente sobria, mentre Karen Gillan riesce a dare leggerezza a momenti che altrimenti rischierebbero di essere troppo pesanti.

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La scena del ballo quale momento di pura catarsi

Uno dei momenti più belli e già iconici del film è sicuramente la scena del ballo in strada: una folla si abbandona a un’improvvisa esplosione di gioia, come se l’universo intero, per un attimo, si concedesse il lusso di danzare prima della fine. È un passaggio che racchiude il senso stesso del film: la consapevolezza che, anche quando tutto sembra svanire, la vita resta un dono da celebrare. È una scena di pura catarsi, in cui Flanagan riesce a comunicare ciò che le parole non possono dire; nonostante sia costruita con semplicità, la scena risulta essere potentissima.

Certo, non tutto fila alla perfezione. Il ritmo, in alcuni momenti, tende a dilatarsi, e il tono riflessivo del film può apparire troppo indulgente o “zuccheroso” per chi preferisce storie più asciutte, ma questa lentezza è anche parte del suo fascino: The Life of Chuck non ha fretta di arrivare da nessuna parte, perché ciò che conta non è la meta, ma il viaggio, e, soprattutto, lo sguardo con cui lo si compie.

Una carezza che rimane nel tempo

Flanagan dimostra un coraggio raro: quello di credere nella delicatezza. In un’epoca in cui il cinema è dominato dal rumore e dall’eccesso, sceglie di raccontare il silenzio, la malinconia, la gratitudine. E riesce a farlo con un equilibrio sorprendente, senza mai scadere nel sentimentalismo gratuito. È un film che parla di morte, sì, ma lo fa per celebrare la vita.

Alla fine della visione resta addosso una sensazione dolce e persistente, come una carezza o un ricordo d’infanzia che non vuoi lasciar andare. The Life of Chuck è una piccola, luminosa meditazione sull’esistenza, un film che con pochissimi mezzi riesce a toccare corde profonde e universali. È una lettera d’amore alla vita nella sua forma più fragile e forse proprio per questo, nella sua imperfezione, si avvicina alla verità.

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The Life of Chuck
Ottimo 8.5
Voto 8.5
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