C’era una volta uno studio polacco, 7Levels, che nel 2018 provò a conquistare i giocatori di Nintendo Switch con un action-platformer oscuro e un po’ legnoso, Castle of Heart. Nonostante qualche scricchiolio tecnico, il titolo riuscì a vendere oltre 300.000 copie, segno che l’idea aveva colpito nel segno: dopotutto un cavaliere maledetto che si sgretola pezzo dopo pezzo mentre combatte, non si vede tutti i giorni. Oggi quello stesso cavaliere torna con un lifting completo, sotto il nome di Castle of Heart: Retold, e con un’ambizione più grande: scrollarsi di dosso la fama di “giochino da Switch” e proporsi come avventura oscura e definitiva su PlayStation 5, Xbox Series X|S, PC e ovviamente ancora Switch. Vedremo a breve se ci sarà riuscito in questa recensione, senza spoiler.
Una maledizione da favola
La storia è quella che tutti conosciamo – cavaliere, damigella, cattivone con poteri oscuri – ma rielaborata con un tocco slavo che le dona un’aria più inedita. Svaran, il nostro eroe, sfida lo stregone di turno (che per non farsi mancare nulla lavora anche per il dio malvagio Chernobog) e finisce trasformato in pietra. Al centro della vicenda c’è Mira, sacerdotessa della dea Mokosh e fiamma del protagonista, che ovviamente viene rapita.
La novità di questa versione è che i ragazzi di 7Levels hanno buttato via i vecchi copioni: dialoghi riscritti, cutscene rifatte da zero, finali alternativi. Insomma, la solita storia del “salvare la ragazza”, sì, ma raccontata con una dose extra di pathos mitologico e un po’ meno banalità. Si poteva fare di meglio sotto questo punto di vista? Forse, ma essendo questo il più banale dei pretesti, che milita nei giochi 2D a scorrimento orizzontale da decenni (Super Mario, Prince of Persia e inserite voi un titolo in cui un eroe deve salvare una principessa a caso…) possiamo dire che, quanto meno, hanno fatto del loro meglio senza scadere troppo nel banale.
Gameplay di pietra… letteralmente
E qui viene il bello: Castle of Heart: Retold non è solo un classico platform d’azione 2D in cui salti, meni e sopravvivi. Il twist è che Svaran si sta letteralmente sbriciolando mentre giochi. Se non mantiene viva la tua frenesia omicida, il povero cavaliere inizia a perdere pezzi – prima un braccio (ciao ciao armi secondarie), poi gambe, e alla fine polvere. Un’idea geniale, che trasforma la corsa tra un nemico e l’altro in una questione di sopravvivenza.
Il viaggio si snoda attraverso quattro ambientazioni ispirate al folklore slavo, popolate da ghoul, chort e altre creature che non sembrano esattamente pronte a invitarti a cena. Ad aiutarci, un arsenale piuttosto vario che va dalle armi medievali classiche a soluzioni più “creativamente improvvisate” come torce o giavellotti. Il ritmo di gioco è un mix curioso tra hack’n’slash e runner a tempo: fermarsi troppo a guardare il panorama non è esattamente consigliato, a meno che tu non abbia un debole per trasformarti in una statua decorativa.
Luci, ombre e qualche scricchiolio
Il restyling si vede eccome: le nuove animazioni, l’illuminazione migliorata e una colonna sonora remixata fanno finalmente respirare l’atmosfera cupa e medievale che il gioco cercava già nel 2018. Anche il sistema di combattimento è più scorrevole e meno “legno massello”, pur mantenendo quel tocco di rigidità che ti ricorda di essere in armatura completa e non in un corso di parkour. Certo, non tutto fila liscio: i controlli, seppur migliorati, restano un po’ macchinosi, soprattutto nelle sezioni di platforming che richiedono precisione chirurgica. Alcuni salti sbagliati sembrano più colpa dell’inerzia di Svaran che del giocatore, e i momenti che dovrebbero trasmettere adrenalina finiscono a volte per sembrare più un test di pazienza. La colonna sonora, poi, nonostante il remix, tende a ripetersi fino a diventare un po’ ossessiva – più martello pneumatico che orchestra epica.
Castle of Heart: Retold è uno di quei titoli che non riesci a odiare: magari ti fa brontolare quando sbagli l’ennesimo salto per colpa di un cavaliere pesante come un tir, ma allo stesso tempo ti tiene lì, catturato dall’originalità della sua meccanica e dall’ambientazione poco battuta nel mondo videoludico. È cupo, è mitologico, è un po’ macchinoso, ma resta affascinante. Non sarà il Dark Souls dei platform né il nuovo classico immortale del genere, ma è senza dubbio un passo avanti rispetto al titolo originale. In fondo, trasformare un cavaliere maledetto in una statua di pietra resta un’idea brillante, ed è bello che, almeno in questa edizione, quella statua abbia imparato a muoversi un po’ meglio.

