Quando si parla di horror giapponese nei videogiochi, la mente corre subito a titoli come Project Zero, con le sue macchine fotografiche capaci di intrappolare spiriti inquietanti, oppure a giochi più moderni come Ghostwire: Tokyo, che hanno cercato di rileggere il folklore nipponico in chiave urbana, sfruttando un’ambientazione contemporanea e l’immaginario legato agli spiriti. Questi titoli dimostrano come l’horror giapponese possa assumere forme diverse: da un lato la lentezza e l’oppressione, dall’altro l’azione e la spettacolarità. In questo panorama, l’arrivo di un nuovo capitolo della saga Silent Hill con un’impostazione simile sorprende e incuriosisce. La serie è sempre stata identificata con un horror psicologico, spesso con forti radici occidentali, tanto che il paragone più diretto rimane quello con Silent Hill 2, capace di raccontare il dolore e i traumi dei personaggi attraverso mostri simbolici. Per questo, all’annuncio di Silent Hill f, molti si sono chiesti se fosse giusto definire “Silent Hill” un gioco che non è ambientato a Silent Hill. La scelta è senza dubbio coraggiosa, ma allo stesso tempo coerente: Konami ha deciso di tornare in “casa”, abbracciando un immaginario giapponese che negli ultimi anni era stato accantonato, per dare nuova linfa a una saga che rischiava di ripetersi.

Ebisugaoka: una città sospesa
L’ambientazione di Silent Hill f è la fittizia città giapponese di Ebisugaoka, collocata negli anni ’60. Nonostante la distanza geografica e temporale dalla cittadina americana che ha dato nome alla serie, il feeling che trasmette è molto simile. Fin dai primi passi, Ebisugaoka appare come un luogo opprimente, sospeso tra vita e morte, con atmosfere che trasmettono disagio ancora prima che compaiano i mostri. Qui la nebbia, elemento iconico della saga, non è il protagonista assoluto: è la città stessa, con le sue strade vuote, le case che sembrano nascondere segreti, e l’aria pesante di un villaggio rurale intriso di superstizione, a evocare la stessa sensazione che ci fece innamorare di Silent Hill. È un’ambientazione che funziona perché unisce il senso di alienazione della serie a un nuovo immaginario culturale.
Il legame con l’horror giapponese è evidente: Pensiamo al manga Homunculus, in cui le deformità esteriori dei personaggi rappresentano i traumi interiori, o a missioni di Ghostwire: Tokyo dove anime sospese cercano pace in un mondo che non gli appartiene più. Silent Hill f prende in prestito queste suggestioni e le filtra attraverso la lente psicologica che da sempre contraddistingue la saga.

Direzione artistica e comparto tecnico
Uno degli elementi più forti del gioco è la direzione artistica. La fotografia è usata con consapevolezza: luci soffuse, inquadrature strette e giochi di ombre che amplificano la tensione. Ogni scorcio di Ebisugaoka sembra pensato per trasmettere inquietudine. I mostri rappresentano il punto più alto del lavoro creativo: distorti, inquietanti, grotteschi, incarnano il perfetto equilibrio tra tradizione giapponese e simbologia tipica di Silent Hill. Guardarli significa immergersi in un incubo che sembra prendere vita da leggende popolari e paure ancestrali.
Non tutto, però, è perfetto. Alcuni modelli facciali appaiono meno curati, soprattutto in certi dialoghi, e alcune animazioni risultano legnose, interrompendo l’immersione. È un difetto che pesa, perché l’atmosfera vive di dettagli, ma che non rovina l’esperienza complessiva. Il contributo dello scrittore Ryukishi07 è evidente: la narrazione non si limita ai mostri, ma si espande nei dialoghi, nelle omissioni e in ciò che resta non detto, mantenendo alta la tensione psicologica. A completare il quadro c’è il ritorno di Akira Yamaoka, capace ancora una volta di firmare una colonna sonora che alterna brani eterei e struggenti a sonorità disturbanti, sottolineando i momenti chiave con maestria.

Gameplay: tra azione e introspezione
Sul fronte del gameplay, Silent Hill f mostra la sua doppia anima. Da un lato, mantiene lo spirito della serie, con esplorazione, enigmi e atmosfera opprimente. Dall’altro, introduce elementi più dinamici, come combattimenti ravvicinati, parry e un sistema di stamina che cambia radicalmente l’approccio agli scontri. La protagonista, Hinako Shimizu, non è un soldato né un poliziotto, ma una studentessa. La sua vulnerabilità contrasta con le azioni che è costretta a compiere, creando un effetto straniante: vederla affrontare creature mostruose con fermezza suscita empatia, ma al tempo stesso sembra stonare con la sua natura.
A rendere più profondo il sistema di battaglia c’è la meccanica della concentrazione, rappresentata da una serie di fiori che compaiono sopra la barra della vita. Una volta caricata, questa abilità permette di rallentare il tempo, effettuare contrattacchi precisi o aumentare i danni inflitti ai nemici. È un’aggiunta che arricchisce le possibilità strategiche, costringendo il giocatore a decidere quando e come sfruttarla, soprattutto nelle situazioni più disperate.
Hinako dispone inoltre di due tipologie di attacco: leggeri e pesanti. I primi consumano meno stamina e sono più rapidi, ideali per gestire i nemici più deboli o creare aperture. I secondi, invece, sono più lenti e richiedono più energia, ma garantiscono un danno superiore, utilissimo contro le creature più resistenti. Questa doppia scelta contribuisce a dare varietà agli scontri, pur mantenendo un ritmo che non rinnega la tensione survival della serie. L’inserimento della stamina rimane l’elemento più controverso. Da un lato aggiunge tensione, costringendo a gestire le energie e a valutare ogni attacco. Dall’altro, ricorda troppo i soulslike, allontanandosi dal ritmo più compassato della serie. Alcune sezioni, poi, obbligano a eliminare tutti i nemici per proseguire, spezzando l’atmosfera e rendendo l’azione troppo predominante.

Esplorazione e sistema di progressione
La città di Ebisugaoka è costruita come un luogo da esplorare con calma, pieno di segreti e percorsi secondari. In certi momenti diventa quasi labirintica, e la mappa, che segna i percorsi già battuti, si rivela essenziale per non perdersi. È un’aggiunta che rende l’esplorazione più accessibile senza togliere la sensazione di smarrimento tipica della serie.
Il sistema degli altari è una delle novità più interessanti. Questi punti non servono solo per salvare la partita, ma permettono anche di spendere i “doni” raccolti per ottenere oggetti e potenziamenti. È un’idea che fonde il passato della saga con meccaniche più moderne, rendendo la progressione più varia e coinvolgente.
Il diario di Hinako è forse l’elemento narrativo più riuscito. Pagina dopo pagina, il giocatore scopre pensieri, riflessioni e paure della protagonista. È uno strumento che arricchisce enormemente la trama e che avremmo voluto avere anche in versione fisica, da collezione.

Enigmi e difficoltà
Gli enigmi sono sempre stati parte integrante dell’esperienza di Silent Hill, e Silent Hill f non fa eccezione. Puzzle ambientali, enigmi logici e situazioni che costringono a riflettere mantengono alta l’attenzione. Interessante la possibilità di regolare la difficoltà separatamente per combattimenti ed enigmi. Questo permette a ciascun giocatore di adattare l’esperienza al proprio stile, rendendola più accessibile senza sacrificare la profondità. Suggeriamo di mantenere almeno gli enigmi a difficoltà media: ridurli troppo rischia di impoverire un aspetto fondamentale del gioco, che contribuisce a creare tensione e immersione.
Hinako Shimizu non è la tipica eroina. Vive all’ombra di una sorella più amata e rispettata, e il suo rapporto con la famiglia è complicato: non è forte né sicura di sé, ma è proprio questa sua fragilità a renderla unica e vicina ai giocatori. Silent Hill f riesce così a proporre una protagonista diversa dagli standard, capace di rappresentare un nuovo tipo di introspezione. Non è un capitolo numerato, ma un tassello che amplia la saga in una direzione diversa, pur mantenendo intatto lo spirito originale.