Bandai Namco Studios Singapore e Kakehashi Games danno vita ad una nuova avventura incentrata sul mondo della carta: Hirogami. Non è la prima volta che grandi sviluppatori si divertono con gli origami e tutto il mondo che ne deriva: basti pensare alla serie di Terraria su PlayStation Vita, Hirogami sembra proprio intenzionato a percorrere la via sicura della nostalgia con modestia, cura ed attenzione. Quest’ultima affermazione si sposa certamente con il gameplay del prodotto propostoci, ma anche con le sue strutture e ambientazioni, nel bene e nel male. Indaghiamo maggiormente su ciò che ci ha trasmesso la favola “pieghevole” di Hirogami con la nostra recensione della versione PS5 del gioco.
Puoi davvero essere quello che vuoi?
Hiro, protagonista della nostra avventura, è un intrattenitore: il suo ruolo nella società degli origami, insomma, è quello di trasformarsi in varie forme al fine di far ridere le persone. Lo status di Hiro ha un suo significato nel momento in cui comprendiamo il suo carattere: timido, impreciso, poco avvezzo e propenso a prendere decisioni in maniera rapida e definitiva. Questa attitudine del protagonista emerge in maniera chiara ed evidente sin dai primissimi momenti di gioco, in quanto il titolo inizia con Hiro che, meditando nella foresta, si rifiuta di credere che il Contagio, la forza malvagia che devasta il mondo, sia arrivato fino alle porte del suo villaggio.
Quale può essere il ruolo di Hiro, intrattenitore sempre con un sorriso ma sostanzialmente privo di coraggio, in una simile situazione? Quello più improbabile. Il nostro eroe cartaceo è infatti stato graziato da un dono divino: un ventaglio magico. Questo ventaglio, che sarà la nostra principale arma nel corso dell’avventura, ha il potere di ostacolare il diffondersi del pericoloso Contagio e di aggiustare il mondo di gioco che lo stesso Contagio sta facendo a pezzi.
La trama di Hirogami, come avrete intuito, è estremamente semplice nel suo complesso: i livelli si susseguono senza particolari stravolgimenti e con un obbiettivo finale chiaro dall’inizio alla fine. L’aggiunta di questa quota di “romanzo di formazione”, se così vogliamo definirlo, conferisce alla trama uno sbocco di lieve profondità inaspettato che rende ancor più godibile e piena l’esperienza di gioco.

Una danza di aria e carta
Passando al gameplay, il titolo si suddivide su una serie di livelli che ricordano, per struttura, le grandi glorie del passato: in ogni stage cartaceo dobbiamo completare delle piccole missioni obbligatorie per il proseguimento dell’avventura, ma possiamo anche sbloccare degli achievements e raccogliere dei collezionabili. Il gioco può essere, di fatto, definito un platform 3D con sezioni di combattimento in tipico stile hack ‘n’ slash “lite”: il nostro Hiro ha infatti l’abilità di attaccare con il suo ventaglio (che, perdonate il gioco di parole, può essere man mano potenziato e arricchito con un ventaglio di opzioni non indifferente), ma non solo.
Grande abilità del nostro intrattenitore trasformista è, appunto, la sua capacità di trasformarsi in base alla situazione: possiamo diventare dei fogli di carta piatti per passare nelle fessure e farci trasportare dal vento, e, nel corso dell’avventura, avremo man mano modo di trasformarci in diversi animali origami, ognuno dotato di un’abilità unica che sarà più che necessaria per proseguire nell’avventura ed esplorare ogni anfratto dei vari livelli.
Questa feature è estremamente utile per due motivi: prima di tutto perché permette di apprezzare, con i suoi pregi e i suoi difetti, la struttura dei livelli e di soffermarsi sui vari ostacoli che il mondo di gioco presenta, secondo poi permette al titolo di ottenere indirettamente un’inaspettata longevità: grazie alle nuove trasformazioni, infatti, possiamo tornare nei vecchi livelli e scoprire dei punti prima inaccessibili (abbiamo adorato questo escamotage, in quanto si rifà molto intelligentemente a platform del passato come i titoli della serie di Spyro).

Un mondo profondo come un cartoncino
Parliamo ora di quelle che sono “le pieghe” del foglio di carta imbastito da Bandai: Hirogami è un gioco che si rifà tantissimo, come dicevamo precedentemente, ad un tipo di videogioco che funzionava perché eravamo consapevoli del limite tecnico che si portava dietro, un tipo di limite che oggi non ci sembra corretto considerare perdonabile. Parliamo di soluzioni di level design non sempre vincenti e di una telecamera che, diverse volte, non funziona come dovrebbe, rendendo l’esplorazione di alcune aree di gioco tutt’altro che spensierata e divertente.
Altra pecca importante riguarda la gestione delle cutscenes: queste sono pochissime, mal posizionate e mal gestite sul fronte delle animazioni, con la maggior parte delle situazioni tra le sezioni di gameplay puro che vengono scaglionate da dialoghi poveri nella struttura e da una staticità a schermo non facilmente misurabile con gli standard odierni. Ciò dimostra, pecca maggiore, la mancata consapevolezza del potenziale artistico del gioco, che, in fase di gameplay emerge con un mondo di gioco e delle animazioni in-game in stile stop-motion affascinanti e soddisfacenti alla vista. Il mondo cartaceo è spesso ripetitivo nei suoi schemi ed elementi, ma comunque bello da vedere e accogliente per una vasta gamma di giocatori.