Confesso che negli ultimi anni, ogni volta che sento la parola “soulslike”, il mio livello di attenzione si abbassa. Il mercato ne è saturo, ogni mese sembra uscirne uno nuovo, e spesso ci troviamo davanti a fotocopie sbiadite dei giganti del genere. Ma qualcosa in Wuchang: Fallen Feathers mi ha colpito fin dal primo trailer: la protagonista, l’ambientazione storica cinese contaminata dal folklore, la tensione tra realtà e mito. L’ho seguito con un misto di scetticismo e curiosità, e adesso che l’ho provato a fondo, posso dire che sì, Wuchang ha un’identità tutta sua. E merita attenzione.
Un mondo decadente e malato
Il gioco è ambientato nella regione di Shu, durante la fine della dinastia Ming. Un’epoca già tragica di suo, ma che qui diventa apocalittica per via del morbo chiamato Feathering, che deforma uomini e animali in creature mostruose. Bai Wuchang, la protagonista, è un’ex pirata affetta dal morbo, alla ricerca di risposte sul suo passato e una possibile salvezza. L’ispirazione estetica pesca a piene mani dal folklore cinese (in particolare il Shan Hai Jing) e da siti archeologici come Sanxingdui, con un risultato visivo e culturale che riesce a essere insieme affascinante e inquietante.
Gli ambienti sono evocativi: templi avvolti dalla nebbia, villaggi decadenti, distese innevate in rovina. La direzione artistica è chiaramente uno dei punti forti del titolo, con un ottimo uso delle luci e una palette cromatica fredda e opprimente. Il comparto audio fa la sua parte, grazie alla colonna sonora firmata da Anti-General, che mescola strumenti tradizionali cinesi con suoni elettronici e chitarre distorte, creando un’atmosfera costante di tensione e mistero.
Il cuore di Wuchang è il suo combat system, che prende le distanze da molti soulslike moderni incentrati su parry e gestione della stamina per proporre un ritmo basato sulla schivata perfetta. Ogni volta che si evita un attacco all’ultimo secondo, si accumula Skyborn Might, una risorsa che permette di sferrare colpi devastanti. Il sistema obbliga il giocatore a rimanere aggressivo, reattivo, sempre in movimento. Non c’è spazio per chi vuole giocare sulla difensiva: parate e blocchi sono disponibili solo con specifiche armi e richiedono abilità dedicate.
Personalmente, ho trovato il sistema estremamente appagante quando funziona. Dopo un po’ di pratica, entrare nel ritmo di schivata-attacco-potenza diventa una danza mortale che premia il tempismo e la precisione. Ma attenzione: se si sbaglia anche solo di mezzo secondo, si viene puniti duramente. È un sistema meno flessibile di quello di altri titoli del genere, e per alcuni potrà risultare frustrante. Ma quando lo si padroneggia, regala momenti davvero intensi.
Il gioco offre oltre 20 armi divise in cinque categorie, ciascuna con moveset unici. A questo si aggiungono 40 incantesimi (anche se non tutti immediatamente disponibili), che consentono build più ibride e versatili. Tuttavia, il focus rimane chiaramente sul corpo a corpo. Le magie sono utili, ma sembrano pensate più come supporto che come alternativa centrale.

Disciplina e rischio
La crescita del personaggio ruota intorno a un classico sistema a punti esperienza, con risorse da recuperare dopo ogni morte e potenziamenti da assegnare. Il Quick Draw, cioè il passaggio rapido tra due armi principali, permette anche durante i combattimenti di adattarsi al nemico, cambiando stile e attacchi speciali. Il level design è di tipo semi-open: ci sono aree con percorsi alternativi, scorciatoie e boss opzionali, ma la struttura resta guidata. C’è un hub centrale, lo Shu Sanctum, da cui si parte verso le diverse zone del mondo. L’esplorazione è premiata con equipaggiamenti, potenziamenti e lore, ma senza eccessivi enigmi o puzzle ambientali. È un gioco d’azione, prima di tutto.
La storia di Wuchang è volutamente criptica. Non ci sono cinematiche elaborate o lunghi dialoghi: tutto passa per frammenti, testi, dialoghi con NPC e soprattutto l’osservazione del mondo circostante. Alcuni momenti sono potenti, ma si perdono in una narrazione a tratti eccessivamente ellittica. Le scelte morali influenzano il finale e determinano lo sviluppo di alcune missioni, ma non sempre è chiaro quale impatto avranno nel lungo termine. Pur senza brillare, la scrittura riesce comunque a evocare un mondo coerente e malinconico, in cui ogni rovina racconta una storia e ogni creatura è una metafora della decadenza.
Dal punto di vista tecnico, Wuchang si difende bene. Basato su Unreal Engine 5, durante le nostre sessioni non abbiamo riscontrato grossi problemi, al netto di qualche animazione non perfettamente rifinita o piccoli bug visivi, comprensibili per una produzione AA come questa. Le bossfight sono ben disegnate e offrono sfide sempre diverse, con pattern che mettono alla prova la capacità del giocatore di leggere il nemico e reagire in tempo. Alcuni incontri, però, soffrono di un problema comune al genere: il rischio di trasformarsi in esercizi di pazienza più che in prove di abilità.
La durata si attesta sulle 40-60 ore, a seconda dell’approccio e del livello di esplorazione. La presenza di più finali, missioni secondarie e percorsi alternativi offre una buona rigiocabilità, anche se non rivoluzionaria. I contenuti endgame sembrano limitati, ma Leenzee ha promesso aggiornamenti futuri, quindi vedremo. Insomma, Wuchang: Fallen Feathers è un gioco che ci ha sorpresi. Non è perfetto, non è rivoluzionario, ma ha qualcosa da dire. Il combat system, centrato su una schivata perfetta e aggressiva, dona un ritmo unico alle battaglie. L’ambientazione, ispirata al folklore e alla storia cinese, è affascinante e originale. La protagonista è carismatica, pur senza bisogno di troppe parole, ed è proprio questo silenzio, questa danza oscura tra violenza e bellezza, che ci ha colpito.