La saga di Atelier ha una storia molto lunga sulle spalle, nata nel 1997 con lo scopo di proporre al pubblico qualcosa di diverso dai soliti JRPG che andavano di voga in quel periodo. Focalizzato sull’alchimia e su una protagonista che veste il ruolo di alchimista, il sistema di gioco della saga targata Gust è incentrato tutto sull’esplorazione, raccolta di materiali e crafting compulsivo di oggetti.
Nonostante questa saga sia considerata molto di nicchia in Occidente, la trilogia di Atelier Ryza nata nel 2019 è riuscita nell’intento di conquistare buona parte di quel pubblico, con particolare merito all’ottimo successo dell’ultimo Atelier Ryza 3: Alchemist of the End & the Secret Key (trovate qui la recensione). Adesso spetta a Atelier Yumia: The Alchemist of Memories & the Envisioned Land dare conferma di questa tendenza in crescita. Ci sarà riuscito? Ecco la nostra recensione!
L’arte bandita dell’alchimia
In questo nuovo capitolo ambientato nel continente di Aladiss seguiamo l’epopea di Yumia Liessfeldt, un’alchimista intenzionata a scoprire la verità dietro al cataclisma che ha distrutto l’Impero Aladissiano, il cui evento ha reso l’arte dell’alchimia un autentico tabù per la gente, in quanto si dice sia connessa a tale disastro. La ragazza non verrà accolta inizialmente bene, per il fatto che è, appunto, un’alchimista: tuttavia gli verrà data la possibilità d’investigare la zona dove è approdata, accompagnata – sotto stretta sorveglianza – da due membri del team di ricerca di Aladiss, ovvero Isla e Viktor Von Duerer (sorella e fratello).
Senza dilungarci più in là con gli spoiler, già dall’incipit di Atelier Yumia si può percepire un taglio più cupo e oscuro rispetto al passato, a maggior ragione se lo paragoniamo all’avventura di Reisalin Stout nella trilogia di Atelier Ryza. La storia, infatti, mette spesso al centro di tutto il tema del ricordo, elemento che Yumia ritiene sia collegato ai flussi di mana presenti in questo mondo. Un tema trattato con una certa attenzione dagli sviluppatori, che si mostra coerente alle vicende del gioco. Ne sono un esempio i ricordi della gente di quell’impero prima della catastrofe, la cui volontà gli spinge a lottare per la sua ricostruzione.
Dovessimo trovare un’altra importante differenza tra Atelier Yumia e Atelier Ryza 3 (estesa tranquillamente anche all’intera trilogia) è proprio la protagonista principale. Se Reisalin Stout è una figura che fin da subito la vedi energica, solare e sprizzante di positività, Yumia Liessfeldt è invece il ritratto della compostezza, della malinconia, del dolore di un lutto avvenuto nel suo passato recente. Nonostante ciò, Yumia sa essere una figura più profonda e matura, che non si perde d’animo in quanto spinta dal desiderio di far luce sulle verità che cerca.
Una puntualizzazione doverosissima da dire è che Atelier Yumia non è localizzato in italiano, laddove invece ci sono la maggior parte delle principali lingue europee. Tralasciando il doppiaggio che rimane solo in giapponese (come da tradizione di Atelier), purtroppo l’assenza dell’italiano nei sottotitoli rappresenta un neo per quei giocatori e giocatrici che hanno poca dimestichezza con le varie lingue disponibili. Considerando inoltre la generosa mole di dialoghi scritti può influenzare la propria attenzione nel seguire con voglia le vicende del gioco.
Un Atelier più “dinamico” e più “farcito”
Il sitema di gioco di Atelier Yumia è un classico della saga JRPG di Gust, ma con alcune importanti variazioni. Principalmente dobbiamo esplorare il mondo e raccogliere materiali di ogni natura, destinati alla lavorazione nel consueto processo di Sintesi. Tale procedura influenzata dall’alchimia ci fa produrre oggetti di qualsiasi tipo, dai consumabili alle armi ed equipaggiamenti e così via.
I materiali da raccogliere sono tantissimi, ognuno con un indice di qualità in grado di conferire valori ed effetti maggiori alle produzioni ottenute. L’unica vera difficoltà è rappresentata dalla comprensione delle meccaniche di Sintesi, che per un novizio della saga possono risultare arzigogolate. Al solito serve prenderci tanto la mano affinché tutto diventi intuitivo, e il risultato finale darà comunque soddisfazione.
La parte più rilassante di Atelier Yumia, quella legata alla personalizzazione della propria casa, vi terrà occupato una buona parte del tempo. Produrre mobili, accampamenti, banchi da lavoro adibiti all’alchimia, o anche atelier di vario stile, richiederà al solito i materiali necessari alla costruzione. Una volta fatti, possiamo posizionarli come vogliamo a seconda delle esigenze, creando il proprio spazio su cui eseguire tutti i lavori alchemici. E nel mondo di gioco ci sono diverse zone dove poter abbellire con un nuovo stabile o altre cose entro un perimetro stabilito.
A proposito dell’esplorazione, Atelier Yumia presenta un mondo aperto leggermente più ricco dell’ultimo Atelier Ryza 3. Oltre a visitare i vari luoghi dove raccogliere i materiali destinati alle nostre Sintesi, c’imbatteremo spesso in alcune sezioni di minigiochi che ci danno modo di ottenere ricompense utili alla progressione. Ad esempio possiamo trovare dei bauli protetti da sigilli arcani, stanze chiuse con una serratura speciale, oppure antichi reliquiari da attivare in un certo modo e tanto altro.
Ci sono poi delle zone pervase da una nebbia magica, chiamate “Manabound Areas”, il cui quantitativo di mana presente nell’aria è talmente alto da privare gradualmente l’energia a Yumia. Questa non è correlata alla salute della ragazza, ma alle sue capacità fuori dalla lotta. Indicata da una percentuale, l’energia consente alla protagonista di effettuare un triplo salto su qualsiasi parete verticale (accentuando la verticalità durante l’esplorazione), attutire le cadute dalle grandi altezze, ricavare materiali specifici e completare alcuni meccanismi di Sintesi. Le “Manabound Areas” vanno quindi ripulite, così da facilitare il compito di esplorare le suddette zone alla ricerca di segreti.
Sul fronte del combattimento il gioco propone un sistema in tempo reale, con meccaniche ATB e tre personaggi attivi sul campo di battaglia. Ogni personaggio può sferrare un determinato numero di attacchi sui nemici, dando vita a concatenazioni di mosse in grado di massimizzare l’efficienza dei danni inflitti. Esaurite le cariche di una specifica mossa, bisogna attendere che la “barra” si riempi a sufficienza per rieseguirla ancora una volta. Possiamo inoltre cambiare l’attuale controllo di un personaggio con uno degli altri due attivi in modo da gestire gli scontri nel miglior modo possibile.
A sostegno della squadra ci sono gli oggetti da battaglia prodotti dalla Sintesi, con cui possiamo curare i PV dei personaggi o, alternativamente alle mosse possedute da ciascun membro, usarli come strumenti offensivi dai danni elementali, perfetti per colpire le debolezze dei nemici aumentando la conta dei danni inflitti.
Un importante cambiamento introdotto da Atelier Yumia è sulla modalità di difesa nei combattimenti, che rispetto alle ultime uscite della saga dona al gioco un pizzico di dinamismo in più. Possiamo sempre utilizzare la parata con il giusto tempismo per prevenire i danni subiti, ma abbiamo a disposizione anche le schivate all’indietro o laterali per fuggire dal raggio d’azione di un attacco nemico.
L’impressione generale è quella di un sistema di combattimento che, nonostante uno stile votato sulla strategia e sulla gestione, appare meno statico degli altri capitoli, i cui movimenti sono più liberi rimanendo comunque circoscritti sul bersaglio. Il ritmo dell’azione resta sempre alto e con poche pause. Bisogna stare costantemente vigili su tutto ciò che succede, cambiando il controllo del personaggio giocante in battaglia quando necessario e sfruttando ogni mezzo a disposizione nei tempi giusti.
C’è della bellezza, anche se non tutto è oro ciò che luccica…
Gli Atelier non hanno mai avuto una resa tecnica magistrale, sebbene si lasciano giocare tranquillamente. Tuttavia, il vero punto forte della saga è l’estetica dei personaggi e anche Atelier Yumia non è da meno. Se da un lato Yumia, i compagni e alcuni antagonisti sono ben realizzati sia stilisticamente che caratterialmente, dall’altro le ambientazioni sono sì altrettanto belle da vedere, ma gli elementi scenici che compongono quel mondo mostrano il fianco a delle texture non tanto ottimali, quasi come se fossero ferme a qualche generazione fa. Anche la qualità delle ombre non è esattamente al top, anzi rappresentano l’elemento visivo meno curato della produzione.
Rimane un peccato che non ci sia una totale armonia visiva, che non sia stata messa la medesima attenzione data ai personaggi sugli elementi scenici. Ad ogni modo, per la maggior parte degli appassionati di Atelier questo fattore non è mai stato un indice così strettamente prioritario, a differenza del cast dei personaggi dove invece conta più di ogni altra cosa. Se non altro gli avrebbe fatto fare un salto di qualità in più.