A volte ritornano, in molti casi più di una volta e non a vanvera ho usato la parola “caso” e “ritorno”, perché questa volta parliamo di un’eccellenza nipponica che risponde al nome di The Silver Case, visual novel uscita agli albori sulla cara vecchia PlayStation 1 solo in lingua giapponese, per poi essere riproposta negli ultimi tempi in versione occidentale su PC e finalmente anche su PlayStation 4 dal 21 di aprile. Dietro al gioco, il visionario Goichi Suda (aka Suda51), che con il suo studio Grasshopper Manufacture cerca di riportarci indietro nel tempo, ma soprattutto di far recuperare al pubblico occidentale ciò che si erano persi con questa avventura. Si tratta infatti del titolo d’esordio dello studio, e che fa parte di una sorta di filone chiamato “Kill The Past”, che comprende titoli con temi e modalità molto simili, ma che non condividono alcuna sorta di storia. In circa 13 ore di gioco dunque ci ritroviamo a spulciare questa complessa ed intrigante trama, con tutti i pro ed i contro che volenti o nolenti il tempo passato ci farà sentire.
La prima versione di The Silver Case risale al 1999 e di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. Partendo dunque dal fatto che non si tratta di un remake, ma di una “semplice” remastered in HD atta a portare il gioco ad una nuova vita occidentale, non dovrete aspettarvi altro che lo stesso titolo che (se siete stati fortunati e conoscete il giapponese) avete giocato più di un decennio e mezzo fa. Oltre a questo è anche molto complicato giudicare il genere stesso del titolo, visto con gli occhi di un giocatore moderno: una visual novel datata, con avatar statici, finestre di testo lunghissime e piccole parti interattive, con una trama molto complessa da comprendere al primo tentativo. Procediamo però per gradi.
Siediti, abbiamo tempo
Come già accennato nella prefazione, The Silver Case non è proprio un gioco dalla longevità esigua, tutt’altro: si tratta infatti di un titolo che oggi potremmo da questo punto di vista definire “atipico”, in una realtà dove gran parte delle visual novel a stento raggiungono le 6 ore, se non meno. In questo specifico caso però, l’ago della bilancia oscilla vorticosamente e non si sa di preciso se verso il piatto dei pro o dei contro. Lo sviluppo e la narrazione infatti risultano estremamente lenti e se volete intraprendere tale avventura dovrete armarvi di buona pazienza, insieme ad una buona dose di volontà. Ricordo infatti che in questa versione occidentale l’unica lingua disponibile in alternativa al giapponese è l’inglese e nonostante l’ottimo lavoro di traduzione, non sempre lo svolgimento di tutte le fasi riuscirà ad essere cristallino. Rimane però il fatto che una volta immersi nel gioco, sarà difficile tirar fuori la testa e se si entra nel giusto mood non c’è testo troppo lungo che tenga (il doppiaggio invece, è completamente assente). La trama si svolge in un Giappone “alternativo” e distorto al punto giusto, in uno spazio urbano suddiviso in 24 distretti ordinati per lettere e numeri. Forte di temi seri e decisamente creepy/dark e maturo nei toni, The Silver Case ci metterà nei panni di “Akira” (nome che potremo cambiare a nostro piacimento all’inizio del gioco), membro delle forze speciali, per indagare su alcuni strani fatti dei quali non entreremo nel dettaglio.
Il paradosso dello ieri di oggi
Se sul piano dell’intrattenimento The Silver Case ci terrà felicemente occupati, sul piano della tecnica molte persone potrebbero spazientirsi non poco, in poco tempo. In questa versione in HD per PlayStation 4, ritroviamo tutti i difetti strutturali che in qualche modo avevano segnato la prima versione del ’99. Certo, la grafica è migliorata sul piano dei poligoni delle poche aree esplorabili (ma anche così non siamo di fronte a dei capolavori…), ma di salti di qualità veri e propri non ce ne sono. Al di là della soggettività e dei gusti riguardanti il piccolo mondo delle visual novel, alcune sezioni sono purtroppo state gestite oggettivamente male: prima di tutto le fasi interattive, incerte e poco chiare sia per quanto riguarda la gestione dei movimenti, sia per la selezione delle azioni, sia per alcuni bug riscontrati durante l’esperienza. Tediosa è anche la lentezza con la quale i testi compaiono su schermo nelle fasi dedicate, senza l’esistenza di un tasto o un modo per accelerare la scrittura di essi, con alcune pause (che sembrano di caricamento, ma che di caricamento non sono) tra una fase di testo e l’altra, o tra la comparsa su schermo delle immagini. Chiudendo il cerchio, questi piccoli intoppi sul lato tecnico vanno ad influire sulla longevità citata poco sopra e non nel modo che ci piace. Il rischio più grande che The Silver Case corre con questi piccoli difetti, sommati ad una trama importante e ad uno svolgimento lento, è di annoiare anche i giocatori che di visual novel ne hanno già giocate.
Caso chiuso
The Silver Case è dunque un gioco che mai come altri è sotto la lente di ingrandimento di un giudizio soggettivo, che visto con gli occhi di oggi in nessun caso brillerebbe di una luce universale. Questo al netto dei fatti che il lavoro di rimasterizzazione poteva essere svolto decisamente meglio, magari oltre a risolvere tutti i problemi citati, anche aggiungendo un doppiaggio o modificando il comparto sonoro (quest’ultimo alquanto superficiale in gran parte delle sezioni, ma molto accattivante nelle scene più concitate). Il voto che assegnerò dunque, è principalmente legato alla qualità del titolo intrinseca all’aspetto tecnico di oggi, unito al gioco di ieri. I bagliori più importanti e graditi si presentano comunque sotto forma di artworks e sceneggiatura, senza i quali il gioco non riuscirebbe a reggersi e grazie ai quali può ancora dire qualcosa.
Modus Operandi: questa recensione è stata redatta dopo aver completato l’avventura nella sua interezza utilizzando una PlayStation 4.