Oltre Death Stranding: alla scoperta di alcuni giochi atipici

Il multiplayer asincrono di Death Stranding è croce e delizia del nuovo titolo di Hideo Kojima, ma quanti altri titoli videoludici presentano meccaniche di gioco atipiche?

Gabriele Barducci
Di Gabriele Barducci Analisi Lettura da 9 minuti

Hideo Kojima nelle sue sparse dichiarazioni ha sempre lasciato intendere che Death Stranding sarebbe stato rivoluzionario, tanto che l’utenza non sarebbe stata affatto pronta per assorbire e comprendere tutto ciò.
Questa dichiarazione è stata in parte veritiera quanto gonfiata all’inverosimile; da una parte è riuscita ad anticipare le diverse semi-stroncature che ha ricevuto da diverse testate globali, non proprio bocciature, ma voti e considerazioni che non sono andati oltre l’appunto del lavoro sufficiente del director giapponese. Altri paesi e relative firme, come l’Italia, sono state molto più entusiaste di apprendere i segreti e le meccaniche di Death Stranding, in particolare l’inedita pazienza che il titolo richiede e la componente del multiplayer asincrono che si è rivelata la feature su cui la community ha speso più parole del previsto, apprezzando e lasciandosi trasportare dalla silenziosa complicità di altri giocatori in rete nel condividere e far evolvere le diverse mappe di gioco, contribuendo con la costruzione di particolare edifici o distribuzione di risorse per la costruzione di questi.

Una meccanica questa, sicuramente inedita e vincente, motivo per cui ci è parso giusto portare all’attenzione altrettanti titoli videoludici che sono riusciti e impressionare critica e pubblico con meccaniche di gioco o aspetti narrativi sicuramente fuori dagli standard.

Una precisazione doverosa: per approfondire alcuni aspetti, sarà necessario entrare nel territorio degli SPOILER per alcuni titoli in particolare. Siete avvertiti.

Virginia

Quello dei walking simulator è un genere che ha trovato linfa vitale fino a non poco tempo fa, vedendo una proliferazione interessante sotto il profilo di giovani e piccoli sviluppatori. Tra i tanti, un titolo sicuramente degno di nota è Virginia: Nella sua brevità, poco meno di dure ore, il giocatore interpreterà Anne Tarver una giovane recluta dell’FBI, onesta e rispettosa verso il proprio lavoro, tanto da avere a cuore nella propria memoria il giorno della cerimonia della consegna dei distintivi. Dal suo direttore riceve l’ordine di collaborare e, segretamente, indagare sulla sua partner Halperine, anch’essa agente del bureau che sembra però nascondere dei segreti. A far da sfondo, un caso di scomparsa di minore nella cittadina di Kingdom.

Tutte queste informazioni che rappresentano l’infarinatura generale del concept narrativo hanno una peculiarità unica, ovvero quelle di essere informazioni da assimilare, catalogare e interpretare da soli, perché il gioco, tolta l’incredibile ed emozionantissima colonna sonora, è praticamente muto. A questo si inserisce anche una narrazione prettamente cinematografica, strizzando l’occhio ai puzzle movie o, per ambientazione, al miglior Lynch di Twin Peaks.

The Witness

Jonathan Blow ci aveva già convinti con il suo Braid, ma tra i due abbiamo deciso di segnalare The Witness. Al netto della peculiare e chirurgica perfezione con cui l’autore ha confezionato questo puzzle game sino ai più piccoli dettagli, l’aspetto inedito e sorprendente è la fruizione di come il giocatore assorba le regole vitali su come muoversi su questa isola piena di enigmi. La nostra mente si modella alle necessità logiche dell’isola, fino a diventare tutt’uno con essa e poi il colpo di genio avviene a fine gioco, quando veniamo catapultati all’inizio, nella grotta da cui siamo usciti la prima volta e quando rimetteremo piede nella prima area per la seconda volta, il nostro cervello comincerà a guardare quell’area con occhi diversi, ragionando come vuole la logica dell’isola e scoprendo enigmi ambientali che al primissimo avvio ci era impossibile scoprire, sbloccando finali alternativi o simpatici easter-egg per aver raggiunto un livello di comprensione superiore.

Journey

Chi non ha giocato Journey a ridosso del 2020? Speriamo che siate in tanti ad aver assaporato i silenzi e la sabbia – come la neve – di questo titolo magnifico. La peculiarità è già nel titolo, Journey, viaggio. Saremo un particolare essere che avrà come scopo quello di raggiungere la cima illuminata di una montagna. Niente di più semplicistico, un protagonista e un obiettivo lontano. Non potremo fare altro che muoverci in queste terre desolate, aride e vaste e ogni tanto troveremo altri nostri simili. Basteranno pochi secondi per capire la feature che ha reso questo titolo magnifico: gli altri esseri non saranno NPC, bensì altri giocatori connessi alla nostra stessa sessione. Potremo dunque arrivare a fine viaggio assieme, ma comunicare sarà impossibile, se non attirare l’attenzione con dei suoi distinti. Il resto sarà tacita comunicazione e complicità per arrivare alla fine del viaggio, stanchi, stremati, ma consapevoli di aver vissuto sulla propria pelle un’esperienza unica e spettacolare.

Shadow of the Colossus

SHADOW OF THE COLOSSUS

Esattamente come per Journey, chi non ha giocato oggi a Shadow of the Colossus? Nonostante l’età, il recente remake è servito per far conoscere anche alle nuove generazioni questo incredibile capolavoro. C’è da dire che il titolo non presenta particolari meccaniche: l’idea di affrontare un gioco con un determinato numero di colossi da uccidere potrebbe essere un buon punto a favore, ma il titolo trova quel suo valore atipico nell’aspetto drammaturgico. Soltanto nel finale scopriremo che tutto ciò che abbiamo fatto è stato un incredibile errore. Ritornare nella terra dei colossi per una seconda run, equivale a percepire maggiormente il senso di disperazione di questa crociata, sentirsi male e accasciarsi a terra come il nostro protagonista per ogni goccia di quel sangue nero che sgorgherà dai colossi e che verrà assorbito dal nostro (anti) eroe. Shadow of the Colossus è quanto di più vicino possa avvicinarsi alla vera esperienza videoludica più straziante che sia mai esistita. Un titolo che difficilmente rigiocherete senza sentire il peso delle vostre azioni per ogni colosso abbattuto.

SUPERHOT

Torniamo su lidi più consoni e divertenti: SUPERHOT aveva alla base un concept semplicistico: il tempo di gioco scorrerà solo quando il nostro personaggio si muoverà. Da una base del genere è uscito fuori un titolo che tutt’ora vive di una linfa vitale che sembra non esaurirsi, anche grazie alle recenti declinazioni in salsa VR, la particolarità di questo titolo attira ancora milioni di giocatori, provando e riprovando centinaia di modi per concludere i diversi livelli e uscirne indenni. Un titolo davvero inesauribile per quanto riguarda la sua longevità.

Hotline Miami

Dalla Svezia con furore, o almeno nessuno si sarebbe mai aspettato l’impatto che il titolo dei giovani Jonatan Söderström e dall’artista Dennis Wedin potesse avere sull’intera industria videoludica, tanto da arrivare a creare diversi cloni. Miami, anni ’80, una telefono che suona e una carneficina da eseguire. Il resto è musica martellante, sangue a litri, una difficoltà brutale e uno stile invidiabile. Attingendo dal miglior Scorsese, i due fortunati capitoli di Hotline Miami riescono a contestualizzare ogni cosa vista e ogni azione effettuata. Con un gameplay estremamente appagante per quanto molto severo, dopo aver lasciato alle nostre spalle decine di cadaveri, la fine del livello coincide anche con il nostro percorso a ritrovo, facendoci inevitabilmente ragionare sulla carneficina appena eseguita. Perché l’abbiamo fatto? Cosa ci sta succedendo? Neanche il tempo di metabolizzare che ecco squillare il telefono: un’altra carneficina attende.

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