Remedy Entertainment: lo sviluppo e l’anima di un gioco

La storia di un marchio che ha fatto scuola nel mondo video-ludico: Remedy Entertainment, uno dei team di sviluppo più longevi del mondo.

Tiziano Sbrozzi
Di Tiziano Sbrozzi - Senior Editor GL Originals Lettura da 7 minuti

Creare videgiochi: un sogno per tanti, un lusso per pochi. Lo sanno bene i ragazzi di Remedy Entertainment che dal lontano diciotto agosto del ’95 sognano e fanno sognare milioni di giocatori in tutto il mondo. Il quartier generale di questa azienda sorge ben ventitré anni fa a Espoo, in Finlandia e non si è mai mosso da lì. Tanti sono stati i successi di questo straordinario gruppo: dagli esordi in cui lavorava come consulente per altre case di produzione fin a divenire il primo vero studio di sviluppo finlandese a produrre e commercializzare titoli propri; con Death Rally, che ebbe uno sviluppo travagliato, il gruppo si ritrovò tra le mani quello che sarebbe divenuto un classico delle corse allo sfascio più eccitanti di sempre. Nel 1997, il gruppo lavorò perfino ad un benchmarking tool, ovvero un sistema di calcolo che permette di misurare diversi tipi di azioni nel campo informatico: in quel caso si trattava di un programma che misurava la performance di altri programmi utili allo sviluppo di videogiochi. Il gruppo passò così alla ribalta in campo videoludico e non solo, al punto che una casa non da poco, la allora Lucas Arts, citò in giudizio la Remedy, accusandola di aver copiato il loro logo:

Il cambio, il dolore, il proiettile, il risveglio

La compagnia decise comunque di cambiare il logo in quanto a detta loro non rappresentava più l’azienda, e nel 1999 presentò al mondo un nuovo logo a tema “punto interrogativo”. Neanche a farlo apposta, ecco arrivare sul mercato mondiale, un titolo che avrebbe fatto la storia del videogioco: Max Payne, sebbene prima di chiamarsi così ebbe diversi nomi ed alcuni di loro vennero registrati pagando la bellezza di $20,000 (ventimila). Per lo sviluppo di questo monumentale titolo, l’allora direttore dei lavori Petri Järvilehto pretese che il sistema definito bullet-time e la tecnica dello slow-motion fossero i cardini chiave del gameplay e decise di affidarla al giocatore come una risorsa da spendere a suo rischio; grazie alla loro esperienza in campo di programmazione, Remedy creò il suo proprio motore grafico per far girare il gioco: gli elementi che furono inseriti nel gioco, vennero presi a piene mani da film che hanno uno stampo crime fiction o noir. Il gruppo volle inoltre inserire una grafica fotorealistica, un pensiero che fu ostacolato fortemente dal team artistico che però si convinse che per raccontare una storia così gonfia di dettagli come quella di Max era fondamentale una grafica simile. Vennero raccolte migliaia di prove, elementi descrittivi e fotografie grazie all’aiuto del New York Police Department che fornì al gruppo una consulenza mai vista prima in campo videoludico. Finalmente, dopo due rinvii e tanta attesa, Max Payne dimostrò al mondo come un action game potesse narrare una storia originale e ricca di pathos: il titolo vendette oltre sette milioni di copie, un record ancora oggi per il suo genere.

Rimasta senza fondi per produrre una versione console del gioco, Rockstar Games comprò i diritti del titolo per $10 milioni e dopo un successo anche su console, venne lasciato in mano a Remedy lo sviluppo del secondo capitolo della saga. Sebbene il secondo capitolo riscosse un successo di critica pazzesca, vendette poco nei negozi; Remedy non fu direttamente coinvolta nello sviluppo del terzo capitolo ma prestò la sua consulenza a Rockstar Games per la fine dei lavori. Chiusa una porta si apre un portone ed ecco che un nuovo successo sta per presentarsi sulla rotaia del destino di Remedy Entertainment che, grazie alla partnership con Microsoft ed alla decisione di diversificare il proprio portfolio, decise di lavorare ad un progetto ambizioso: ispirati dalla serie Twin Peaks e con più di una citazione riconducibile al Re del brivido Stephen King, il gruppo tirò fuori quella perla che noi conosciamo come Alan Wake. Il titolo vendette assieme ad un piccolo spin off sviluppato solo per il mercato online di Xbox oltre i quattro milioni e mezzo di copie. Microsoft non fu comunque interessata a sviluppare Alan Wake 2 ma continuò a lavorare attivamente con Remedy per un altro progetto.

Quantum Break è stato un titolo che ha saputo unire lo “stra” allo “ordinario”, risultando il titolo più venduto nella storia della Microsoft Xbox One fin dalla sua uscita. Dopo il progetto, il team si dedicò a diversi successi per mobile, un mercato in forte crescita che gli portò diversi proventi davvero cospicui. In arrivo a breve (precisamente il 27 di agosto su PlayStation 4, Xbox One e PC) c’è Control, titolo che espande l’universo di Quantum Break e che probabilmente sarà l’ennesimo successo videoludico di questa “fine generazione”.

Filosoficamente, Remedy Entertainment ha da sempre preferito un approccio che coinvolgesse il grande pubblico, con un personaggio principale forte, carismatico e con un appeal da vero protagonista assoluto. Il team ha da sempre lavorato in modo che il giocatore si sentisse immerso in un mondo vivo, capace di renderlo protagonista dell’avventura. I sogni, come dicevo all’inizio di quest’avventura tra lo storico ed il narrato, sono elementi effimeri ma potenti tanto quanto le persone che li immaginano. La presenza nel panorama moderno di una casa di produzione che ha oltre vent’anni, è un chiaro segno di come, se si lavora sotto una guida che sa quello che fa, si possano superare anche gli ostacoli più duri, e sebbene Remedy non è stata immune ai colpi bassi del mercato ha sempre saputo reagire come uno dei suoi personaggi: stringendo i denti e rialzandosi.

L’ultimo colpo fu come il punto esclamativo a chiusura di quello che era successo. Allentai la presa sul grilletto. Era tutto finito.  

Max Payne

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Senior Editor
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.