Se c’è una cosa che adoro dello studio di sviluppo Dontnod Enteratainment è la loro versatilità: stiamo parlando delle menti dietro a progetti come Remember Me, Vampyr e il più blasonato Life is Strange. Anche se il gameplay cambia di volta in volta (nonostante gradualmente sembra che la strada dello studio rimanga sempre più quella delle avventure grafiche), ciò che splende per ognuna di queste opere è la trama, intreccio costruito ad opera d’arte sempre con un significato ben delineato. Tell Me Why non è da meno: ce lo aspettavamo già come una storia da vivere col cuore e il prodotto non si è tirato indietro. D’altra parte però, il gioco è anche una ripresa degli stilemi visti in Life is Strange, propone certamente qualcosa di diverso ma che in fondo cade un po’ nelle stesse dinamiche: proprio questo, che per molti fan della serie potrebbe rivelarsi un vantaggio, è stato una sorta di deterrente dal volerlo apprezzare per bene.
Il mondo stavolta ruota attorno a due gemelli, Alyson e Tyler, che dovranno fare i conti col passato (loro e della propria famiglia), con i cittadini di un paese sperduto nell’Alaska e, soprattutto, con le conseguenze della transizione da femmina a maschio che ha vissuto Tyler stesso.
Il giusto approccio
Come abbiamo detto, l’anima ludica di Tell Me Why è molto più vicina a Life is Strange che agli altri giochi della Dontnod: una grafica ben delineata ma abbastanza basilare funge da scenario per una storia che ha molto da raccontare. Come sempre, questo significa da un lato uno stile ben definito, dall’altro un limite ben impostato: non c’è infatti alcuna possibilità di riuscire ad immergersi in location realistiche o dettagli minuziosi, ma il tutto è invece più consegnato come una sorta di animazione. Se questo può rendervi l’esperienza amara, state tranquilli, come sempre la software house è riuscita a sfruttare questo stile in modo registicamente spettacolare, specialmente per quanto riguarda i panorami, posti dove uno dei due gemelli si potrà fermare ad ammirare fantastiche fotografie di paesaggi innevati, oltre che a riflettere.
Abbiamo definito questo stile limitante per una ragione: come capita spesso in questo genere di titoli, molte parti del gioco sono squisitamente rifinite, ma altre vengono tralasciate e creano piccole brutture un po’ fastidiose. Non si tratta di qualcosa che porta a un’esperienza negativa, anzi nemmeno influisce più di tanto, ma dei dettagli potevano essere sicuramente migliorati. Tornano infine i “classici” bug conosciuti nelle opere Dontnod, passando dall’accavallamento di alcuni dialoghi fino a delle inquadrature davvero mal gestite.
Quelli che invece entrano subito nel cuore dei giocatori sono gli enigmi: sebbene nelle precedenti opere non fossero preponderanti (anzi quasi assenti), questo tipo di giochi si presta molto bene per le suddette soluzioni, soprattutto quando richiedono più che un semplice calcolo matematico. Purtroppo, una quantità maggiore avrebbe reso ulteriore giustizia al genere, ma già trovare questi come sfida innalza il livello di difficoltà, non tanto per la semplice dicotomia tra successo e fallimento, ma proprio per farci mettere in moto le meningi. Per il resto il gioco punta molto sulla trama, sulle scelte che farete e su come gestirete il tutto: la cittadina in cui è ambientato il gioco è molto isolata, e un argomento “moderno” come quello di Tyler genera sicuramente molte chiacchiere. La cosa positiva è che Dontnod è riuscita però a gestire il tutto senza cadere in luoghi comuni o inutili paternalismi, ma anzi propone ed espone una storia vera, lo si sente fin da subito. Come sempre non può mancare l’approccio soprannaturale, nonostante qui sia molto diverso da Life is Strange. Alyson e Tyler infatti possono infatti scambiarsi dei pensieri mentalmente, oltre che rivivere alcuni dei loro ricordi una volta visitati i posti dove questi sono avvenuti: è davvero interessante vedere come interpretazione e memoria giochino un ruolo importante.
Vicino al baratro
La storia di Tell Me Why è uno spezzato di vita comune, proposto in un modo davvero unico: le tentazioni che la trama avrà proposto agli sceneggiatori per cadere in futili luoghi comuni sono davvero tante, ma in modo magistrale Dontnod ha evitato gli ostacoli rendendo ogni singolo personaggio vero, reale. Purtroppo questo genere di giochi funziona molto meglio verso la connotazione da thriller, e nelle prime ore il titolo non ingrana bene la marcia. Non è approcciabile inoltre se volete qualcosa di immediato: Tell Me Why richiede calma, lettura di ogni singolo scritto e ascolto di ogni riga di dialogo, i quali sono doppiati in inglese ma con sottotitoli italiani. La calma sarà l’arma che vi permetterà di scoprire ogni singolo dettaglio di tutti i personaggi del gioco, caratterizzati in modo impeccabile. Purtroppo, come spesso succede nei titoli che si trovano nel limbo tra un tripla A e un gioco a budget ridotto, si passa da interpretazioni da urlo (come i protagonisti) a volti poco espressivi, viaggiando ovviamente anche in momenti catastrofici dal punto di vista tecnico, ma sublimi nel loro lato artistico. Purtroppo tutto questo, spesso, richiede dei limiti imposti al giocatore, e Tell Me Why ne è la prova lampante: tolti gli enigmi sopra citati, il resto è un semplice scegliere il dialogo, prendere la strada che riteniamo giusta e vedere dove porta.
Siamo allora molto lontani da altri esponenti, evoluzioni dirette del vecchio genere delle avventure grafiche: se infatti Quantic Dreams ha provato ad implementare Quick Time Events e momenti di tensione dovuti da scelte con multiple conseguenze, o Telltale ha inserito delle fasi concitate che possono portare ad una conclusione della storia “forzata”, qui, con Tell Me Why, sembra proprio che gli sviluppatori vogliano che voi arriviate alla fine del gioco, il che l’esperienza alcune volte un po’ tediosa. Parliamo ovviamente di un “male” conosciuto, un qualcosa che dovrete sopportare per vivere una storia fatta di cuore, senza strumentalizzazioni di alcun tipo e con un piglio come sempre originale, unico.