Negli ultimi sette anni, The Last of Us è stato il simbolo e il volto di Sony e PlayStation. Si potrebbe dire il contrario oppure mettere sulla bilancia il valore di tale affermazione, ma in un modo o nell’altro, nell’ultimo ciclo di vita di PlayStation 3 l’uscita di The Last of Us segnò un monito importante per l’industria quanto per il pubblico: la prima si vide arrivare sul mercato, ormai a fine generazione, un titolo che spingeva al massimo delle prestazioni, coniugando un gameplay solido e amalgamato perfettamente con la storia raccontata, il pubblico invece aveva ricevuto un monito importate, la necessità di possedere una PlayStation 3 se si voleva vivere le avventure di Joel ed Ellie.
Un fenomeno planetario
The Last of Us è uno di quei titoli che ti entrano nelle vene, ti si attaccano sulle mani come lo sporco sotto le unghie a cui fatichiamo a prestare attenzione e pulircelo via. I ragazzi di Naughty Dog avevano mostrano gran carisma nelle avventure di Nathan Drake con la trilogia di Uncharted, e The Last of Us si è palesato come il classico esame di maturità.
Non si trattava più di un Uncharted con gli zombie, bensì di una storia che puntava tutto il suo cuore su personaggi veri e propri, anti-eroi e non più modelli di eroismo, in un modo ormai consumato da un’infezione che ha trasformato la maggior parte degli esseri umani in mostri famelici.
Un uomo che è stato padre e ha visto la morte della figlia coincidere con l’inizio della pandemia. Il gioco dunque si svolge in media res, con un prologo efficace e diluito perfettamente in quelle che saranno le corde emotive del titolo. Sappiamo sin da subito a cosa andremo incontro, non sarà mai una storia di vincitori o vinti, ma solo di povere anime perse, costrette ormai a sopravvivere in un mondo senza regole e pregno di violenza.
A Joel dunque si affianca Ellie, ragazzina immune al virus. Forse lei potrebbe essere la salvezza dell’umanità; le Luci, un gruppo rivoltoso, ha bisogno di lei per sintetizzare un vaccino, ma il lungo viaggio che affronteranno i due sarà occasione per conoscersi, vomitarsi addosso il proprio dolore e aggrapparsi l’uno all’altro evitando i classici cliché tipici del genere. Joel osserva Ellie. Lei non è sua figlia, ma sente il dovere di difenderla. Il finale di The Last of Us è la coronazione dell’egoismo umano, una sconfitta emotiva che non si rimarginerà mai.
Fuori dalla console
Poche sono le storie che riescono ad avere un impatto emotivo così predominante sul giocatore. O meglio, pochi sono i giochi che riescono a veicolare così tante emozioni da smuovere la voglia di giocare un sequel non per le meccaniche di gioco, bensì per immergersi ancora una volta in un mondo tanto macabro e morto, quanto affascinante per la cornice narrativa che ha ricevuto. Cio che ha contraddistinto The Last of Us è proprio la forza prorompente di andare oltre quel “lo giuro” finale e far vivere i personaggi nel nostro cuore e nella nostra mente.
Quante altre persone avranno storto il naso all’annuncio di The Last of Us Parte 2? Tante, scrivente compreso, ma avendo già completato il secondo capitolo, mi rimangio senza alcun problema ogni tipo di dubbio. Naughty Dog oltre a confezionare un titolo emotivamente pazzesco sul lato della storia, sembra aver preservato idillicamente quella sensazione di sospensione nel tempo del finale. Joel ed Ellie alla fine del primo capitolo, continuavano a vivere al di fuori della console di gioco. Tutti noi volevamo un sequel, quanto non lo volevamo. The Last of Us Parte 2 preserva perfettamente lo spirito, lo scheletro e le sfumature di personaggi che se sono rievocati a distanza di anni e anni, avranno avuto il loro motivo per rimanere scolpiti in ognuno di noi.
The Last of Us: un prodotto crossmediale
Notizia non di molto tempo fa è che HBO ha stretto un accordo con Naughty Dog per portare le avventure di Joel ed Ellie in formato televisivo. Per ora sappiamo ben poco, se non che in questa fase di preproduzione molti nomi che hanno siglato il successo della serie tv Chernobyl sono entrati a pieno regime in questo progetto.
Previsioni è difficile farne: come sempre il passaggio di un brand videoludico in altre cornici, quali cinematografiche o televisive, non sempre ha buoni risultati. Il recente The Witcher di Netflix ha convinto abbastanza, ma il fandom dietro The Last of Us sarà molto più esigente.
Questo perché ciò che ha contraddistinto il successo del gioco è anche l’evoluzione dei personaggi, che cresce progressivamente senza troppe celebrazioni, ma riuscendo a rapire l’attenzione del giocatore. Come già detto, The Last of Us è forse uno dei pochi giochi che riesce a coniugare necessità narrative ad altre di gameplay, ma alla fine di questa grande storia, ci si sente totalmente svuotati di ogni sogno o speranza, tanto da abbracciare ormai quel mondo, abitato da queste persone.
DLC come Left Behind, dove impersoneremo Ellie un paio di settimane prima dell’incontro con Joel, mostrano quanto il background dei personaggi principali siano il vero fulcro del successo del titolo. Ognuno ha perso qualcosa e lasciarsela dietro è quanto di più necessario per vivere nel nuovo mondo.
La violenza, la rabbia e la vendetta sono più temibili degli infetti fuori le mura di casa. La Terra non è mai stata un posto così pericoloso, tra predoni e persone in cerca di vendetta.