Non pensate troppo ai numeri, non stavolta, perché nonostante questo finale di stagione della The Dark Pictures Anthology presenti pochi decimali in meno rispetto agli ultimi due capitoli, ci troviamo senza dubbio di fronte al capitolo meglio riuscito della serie fin ora, anzi, azzarderemmo a dire che questa serie sia nata apposta per parlare di questa vicenda. Prima di entrare nel vivo della recensione di The Devil in Me, quarto titolo della serie di Supermassive Games e Bandai Namco, è doveroso fare un piccolo passo indietro e qualche precisazione riguardo il gioco: si tratta di un capitolo che per molti versi devia dai canoni che la serie stessa ha dettato durante questi quattro lunghi anni. Ma in che senso?
Un finale di stagione alternativo
Per prima cosa, partiamo dal fatto che anche The Devil in Me, come gli altri capitoli della serie, è stato ispirato da fatti realmente accaduti, tuttavia la differenza sostanziale dagli altri tre capitoli è il contesto: se Man of Medan, Little Hope e House of Ashes ci hanno indirizzato – a volte solo apparentemente – verso qualcosa di mistico o sovrannaturale, The Devil in Me è totalmente incentrato sulla realtà. La storia di Herman Webster Mudgett, poi conosciuto come H. H. Holmes, è tutt’altro che sovrannaturale: è reale, insanamente e tristemente raccapricciante.
Ma Supermassive Games per il gioco no ha preso spunto solamente dal Castello del primo serial killer americano, bensì ha cercato di ricostruire molto di più, a livello psicologico e a livello di comportamenti sociali. Parlando sempre di contesto e di dettagli, The Devil in Me è senza dubbio il capitolo più ricco e preciso della serie, grazie anche alla mole di documentazioni e informazioni riguardo al caso di Holmes. Come sarebbe un Holmes ai giorni nostri, dopo oltre 120 anni che hanno fatto il loro corso?
Le altre differenze dagli altri capitoli stanno in uno stile di gioco sempre esplorativo, ma più “giocato”, con un sistema di controllo più snello e rapido, più vicino agli action game, ma soprattutto con le parti video che sono state asciugate in termini di tempo. Ecco quindi che in alcune sezioni i nostri personaggi potranno scavalcare, arrampicarsi, risolvere degli enigmi ambientali o sfruttare alcuni oggetti presenti nei loro piccoli inventari personali.
Per il resto ci troviamo di fronte ad una classica avventura narrativa in stile Supermassive, con scelte da fare, relazioni tra i personaggi, quick time event a metterci i bastoni tra le ruote – ma potremo scegliere la difficoltà – e indizi da scovare (molto utili per capire noi stessi cosa sta accadendo, oltre che come collezionabili).
Come sempre sarà possibile intraprendere la partita in single player, giocando le varie scene per conto proprio, oppure vivere un’esperienza condivisa con un amico online, o ancora giocare passandovi il controller con la modalità Serata al Cinema. E il Curatore? Sempre lì, pronto a farci da guida, a commentare, e a darci consigli se glie lo permetteremo.
L’ultimo tentativo
The Devil in Me parte con un prologo molto particolare che vi faremo scoprire da soli, e che come spesso accade, è ambientato nel passato. La trama principale ai giorni nostri invece, vede una troupe televisiva di documentaristi che ricevere un invito molto generoso da una persona molto riservata, che risponde al nome di Du’ Met, per visitare una fedelissima ricostruzione del Castello di H. H. Holmes, il primo serial killer americano. Charlie Lonnit, il capo della troupe, non può lasciarsi sfuggire quest’occasione, dato che il programma di cui lui e il suo team si occupano tratta esattamente questi temi, e per una strana coincidenza il prossimo episodio dovrebbe trattare proprio il mattatore con la bombetta. Un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare, no? Dato che lo show non naviga in buone acque e deve essere risollevato, con questo che sarà l’ultimo tentativo, dove o la va o la spacca. A titolo del tutto gratuito viene loro offerta “un’esperienza autentica”, che cos’hanno da perdere?
Gli altri personaggi del cast sono Kate Wilder (interpretata da Jessie Buckley), ragazza che impersona il volto del programma, nonché laureata in psicologia criminale, Erin Keeman, assistente del suono, Mark Nestor alla fotografia, e per ultima Jamie Tiergan come factotum e tecnico elettricista.
Senza entrare nel vivo delle vicende, come è giusto che sia in questo tipo di recensioni, sappiate che The Devil in Me è molto probabilmente il capitolo che più riuscirà ad inquietarvi e ad impaurirvi. Chiaramente non parliamo di puro terrore, ma abbiamo comunque di fronte un titolo che riesce dove i predecessori hanno fallito: né in House of Ashes, e men che meno in Man of Medan avevamo mai avuto quella sensazione di angoscia, quel volersi trattenere prima di andare avanti, quel guardarci alle spalle per paura che qualcosa o qualcuno esca all’improvviso e ci colpisca; ebbene, per buona parte del gioco The Devil in Me ci riesce, almeno fino a quando non troveremo la nostra zona confort abituandoci al tutto.
Il più lo fa l’atmosfera, che sfrutta molto bene le fasi buie, la mancanza di luce, unite all’impossibilità di fuga, ma soprattutto ci mette di fronte ad una realtà ben peggiore di quelle che abbiamo visto in precedenza: se dobbiamo avere paura di qualcosa, quella è la cattiveria umana, quella che non conosce limiti. Per farla breve, le vibes che sentiremo saranno a metà tra quelle soffocanti di un’escape room e quelle perverse alla Saw l’Enigmista. Anche il ritmo dell’avventura è buono, rallenta e accelera di continuo, e cambia scena e/o location appena prima che si avverta una sensazione di monotonia.
Il Diavolo in Me
Come vi abbiamo accennato, tutti i personaggi avranno un inventario personale: ognuno potrò sfruttare degli oggetti che hanno di deafult, che permetteranno loro di intraprendere determinate azioni: questa feature, anche se carina, è fine a sé stessa, perché tutte queste azioni sono spesso obbligate, e a parte un paio di casi specifici non offrono nulla alla questione “varietà”. Contate inoltre, che alcuni oggetti sembrano essere lì proprio ad aspettare che vengano incontrate da quello specifico personaggio. Possiamo solo dire che, nella maggior parte dei casi, vanno a “giustificare” la risoluzione di alcuni semplici rompicapo. C’è da dire però che il possedere un oggetto diverso per far luce, specifico per ogni protagonista, è una cosa abbastanza stuzzicante e che è stata integrata in modo coerente.
Queste fasi un po’ più “giocate” in The Devil in Me si sono rivelate come un’arma a doppio taglio, che in alcuni casi ci sono sembrate perfettamente calzanti, mentre in altri dei meri riempitivi per allungare un po’ di più le scene. Interessante la nuova meccanica (che di sicuro troveremo nei prossimi capitoli con la nuova stagione), ma da limare.
Di interessante c’è anche un’altra novità: sono presenti all’interno dei vari scenari delle monete, o meglio, degli oboli, che potrete raccogliere oppure no. Non si tratta di un collezionabile, bensì di una vera e propria moneta in game che potrete spendere nel menù principale per acquistare i vari diorami che sbloccherete con l’avanzare dell’avventura, vedendo determinate scene.
Un consiglio vivissimo e valore aggiunto del gioco, è anche sfruttare la parte dei contenuti speciali che sbloccherete, perché oltre all’intervista a Jessie Buckley, ci sono anche un paio di video interessanti di uno dei personaggi secondari del gioco, ma soprattutto un corposo documentario su H. H. Holmes, sul Castello, e sulle sue vittime.
Architetto, muratore, designer… artista
Per chiudere, vogliamo dire che il comparto tecnico in un paio di occasioni si è dimostrato altalenante, ma si tratta di difetti minori risolvibili con una patch al day one. Dal punto di vista grafico The Devil in Me si è rivelato un titolo piuttosto controverso, dato che ha alternato momenti dove i dettagli a schermo erano ottimi, ad altri in cui alcune texture – specialmente ambientali – non sembravano proprio al top delle possibilità. Da elogiare invece il comparto sonoro per quanto riguarda il sound design, quindi effetti, rumori, registrazioni e via discorrendo, ma un po’ meno dal punto di vista del doppiaggio italiano, a volte non proprio conforme a ciò che sta accadendo a schermo (volume della voce alto quando si dovrebbe sussurrare per non farsi scoprire, oppure sensazioni incoerenti con le espressioni facciali).
Lode ancora più grande va fatta alla colonna sonora, parte integrante e non solo di contorno: spesso all’interno delle stanze, le scene saranno accompagnate da musica classica (ci saranno dei grammofoni che la riprodurranno), da sempre capace di incutere piacere e terrore, mentre la canzone finale del gioco – con chicca annessa – sarà una versione alternativa della sigla della Dark Pictures Anthology, A Conversation with Death, di cui non vi diremo nulla per non rovinarvi la sorpresa.