Nel corso di questi ultimi anni abbiamo assistito a un tanto improvviso quanto apprezzato proliferale d’esperienze ludiche spiccatamente JRPG. Tra grandi opere e piccole produzioni indie, non sarebbe sbagliato affermare che l’intero genere abbia vissuto – e stia vivendo tutt’ora – una rinascita dalle proverbiali ceneri in cui era andato quasi dimenticato. Di titoli da poter prendere come esempio in tal senso ve ne sarebbero a decine, basti pensare allo strepitoso Persona 5 di Atlus o, ancora, all’apprezzatissimo Dragon Quest XI targato Square Enix, ma quest’oggi i nostri riflettori sono totalmente rivolti verso The Caligula Effect: Overdose. L’originale The Caligula Effect, uscito in Europa nel maggio 2018, si presentò al pubblico con numerose problematiche rivelatesi purtroppo capaci di far cadere velocemente la produzione nel dimenticatoio. Nonostante ciò, però, con il passare dei mesi venne a crearsi una nutrita schiera di fan che videro del buono in ciò che Aquaria portò alla luce, una nicchia d’utenti sufficientemente ampia da spingere il team di sviluppo a ritornare sui suoi passi con una versione rivista e corretta della sua creatura originale. The Caligula Effect: Overdose punta insomma a ridare splendore a una serie che sembrava essersi arenata già dopo il primo capitolo, il tutto tramite vari ritocchi ludici e contenuti aggiuntivi pensati per ampliarne e approfondirne ancor di più il comparto narrativo. Noi di Game Legends abbiamo potuto giocare con largo anticipo alla versione Nintendo Switch dell’opera studiandone attentamente ogni caratteristica e oggi, finalmente, siamo pronti a darvi il nostro giudizio finale a riguardo.
La tana del Bianconiglio
All’interno di un istituto scolastico come tanti, il nostro alter-ego digitale sta assistendo all’incontro con i nuovi studenti, come da consuetudine. Nel pieno dell’evento, però, alcuni dei ragazzi attorno a noi cominciano a mostrare strane deformazioni, quasi come se vi fosse un’interferenza che rende irriconoscibili i loro volti. Presi dal panico e visibilmente terrorizzati, fuggiamo in tutta fretta solo per venire fermati da Aria, una strana creaturina dall’aspetto vagamente umano che si autodefinisce una virtualdoll. La ragazza, notando il nostro comportamento anomalo, capisce immediatamente che abbiamo svelato l’inganno del mondo in cui ci troviamo, una capacità che solo pochi eletti possiedono. Quello che ci circonda non è il mondo reale, bensì un universo virtuale pensato per fuggire dagli orrori di una vita fatta di rimpianti e dolore, un Eden dove tutte le anime in pena possono trovare rifugio. Mobius – questo è il nome con cui l’ambiente virtuale viene nominato – è controllato da Mu, altra virtualdoll che ha deciso d’impegnarsi nella realizzazione di un pianeta dei sogni sempre più perfetto, un luogo dove nessuno sentirà mai alcun dolore. Eppure, con il passare del tempo quel sogno è andato distorcendosi sempre più e ora, per quanto Mu continui a offrire un idilliaco senso di totale libertà e spensieratezza a chiunque decida di entrare in Mobius, ogni nuovo arrivato viene privato di tutte le sue emozioni negative, perdendo inoltre la consapevolezza di trovarsi in nulla più che una simulazione e costretto a vivere un’eterna vita studentesca. Neanche il tempo di raccapezzarci su quanto appena raccontatoci che eccoci raggiunti immediatamente da un altro gruppo di “studenti” risvegliatisi dal sogno oramai tramutatosi in incubo, i quali ormai da settimane lottano segretamente per cercare di trovare una via d’uscita dalla prigione virtuale in cui sono rinchiusi. Dopo qualche veloce convenevole, anche noi veniamo quindi invitati ad entrare nel Go-Home Club per unire le forze e trovare un modo per poter tornare finalmente a casa.
Per quanto l’incipit narrativo non sia tra i più originali che si siano mai visti, The Caligula Effect: Overdose mette in campo una sceneggiatura decisamente intrigante e stracolma d’interessanti spunti su cui ragionare che andrà arricchendosi soprattutto nella seconda metà di gioco, quando ci verrà data l’opportunità di scoprire nel dettaglio il passato dei compagni che ci accompagneranno in questo difficoltoso viaggio. L’avventura prosegue piacevolmente dall’inizio fino alla fine riuscendo anche a offrire qualche colpo di scena ben assestato, ma purtroppo va perdendosi in un cast semplicemente disastroso. Non fraintendeteci, i membri principali del Go-Home Club sono sfaccettati, carismatici e ben diversificati tra loro, alleati preziosi nei confronti dei quali proveremo sincera empatia e con cui potremo stringere un forte legame d’amicizia a seconda di quanto tempo decideremo di dedicare a ognuno di loro, il tutto all’interno di un sistema d’incontri non dissimile da quello visto in Persona 5. Ciò che non convince, purtroppo, sono tutti gli altri membri reclutabili. Per cercare di aggiungere un po’ di carne al fuoco, Aquaria ha infatti deciso d’inserire in-game oltre cinquecento personaggi da aggiungere al proprio team, membri secondari che nonostante vengano descritti come individui a tutto tondo con una propria storia, ben presto si riveleranno essere semplici comparse prive di spessore che verranno dimenticate molto presto. In questo caso, insomma, si è data più attenzione alla quantità che alla qualità, un’infelice scelta logistica tradottasi in un’enorme occasione sprecata. Detto questo, non bisogna comunque dimenticare che The Caligula Effect: Overdose presenta diverse novità narrative rispetto al capitolo originale, varie aggiunte che contribuiscono a dare maggior spessore all’intera produzione. Tra nuovi membri – fortunatamente ben sviluppati – con cui arricchire il Go-Home Club, finali inediti, nuove ambientazioni esplorabili, la presenza della Forbidden Musician Route e l’aggiunta di una protagonista femminile, è impossibile non denotare un apprezzabile sforzo portato avanti dal team per offrire un’esperienza intrigante anche a tutti coloro che già ebbero modo di godersi The Caligula Effect.
Potenziale sprecato
Sotto un profilo prettamente ludico, è indubbio che la colonna portante di The Caligula Effect: Overdose si riassuma in un sistema di combattimento decisamente interessante e fuori dagli schemi a cui siamo abituati. Mentre ci muoveremo nei labirintici stage rappresentanti le diverse ambientazioni esplorabili, con un massimo di altri tre compagni che andranno a formare il nostro team, incontreremo vari nemici che ci attaccheranno a vista; esiste però la possibilità di sferrare un attacco preventivo utile per ottenere un leggero vantaggio all’inizio dello scontro. Una volta iniziata la battaglia, verremmo messi innanzi all’innovativo “Imaginary Chain”, una peculiare idea alla base del combat-system capace d’offrire un profondo connotato strategico a ogni battaglia. Ogni qualvolta sceglieremo un attacco da compiere – il tutto all’interno di una struttura di combattimento a turni – potremo infatti vedere anticipatamente non solo gli effetti dei nostri attacchi e la percentuale di successo degli stessi, bensì anche il modo in cui il nemico reagirà di volta in volta alle nostre azioni. In questo modo, l’utente di turno avrà sempre un chiaro quadro degli eventi da poter sfruttare a proprio vantaggio per studiare la situazione e cercare di capovolgere lo scontro a proprio favore. In tal senso, i giocatori più navigati e attenti potranno giocare d’astuzia attaccando e difendendosi al momento giusto per dar vita a devastanti combo con cui massacrare il proprio avversario. Inoltre, non bisogna poi dimenticare che ogni mossa effettuabile, sia essa offensiva o difensiva, andrà a consumare una certa dose di MP – ricaricabili sprecando un turno che però potrebbe venire sapientemente usato dal nemico per incastrarvi in una qualche letale combo – da una barra che dovrete sempre tenere sott’occhio, pena il rischio di rimanere scoperti nei momenti più cruciali dello scontro.
Sfortunatamente, una struttura ludica tanto interessante non è stata accompagnata da una varietà di situazioni minimamente sufficiente. I nemici affrontabili si distinguono infatti in pochissime tipologie – le quali, tra l’altro, appaiono tutte generalmente similari tra loro – mentre le mappe esplorabili altro non sono che lunghi labirinti di corridoi tutti uguali tra loro in cui l’interazione ambientale e ridotta ai minimi termini. Bastano poche ore per vedere tutto ciò che il titolo ha da offrire, con una ridondanza generale dell’intera esperienza che a lungo andare diverrà davvero snervante. Certo, è possibile aumentare di livello e sbloccare nuove abilità utili per cercare di diversificare un poco il gameplay, così come saranno presenti diversi oggetti equipaggiabili con i quali migliorare le statistiche di ogni personaggio, ma ciò non basta a mascherare gli evidenti limiti di una produzione priva del giusto coraggio che le avrebbe permesso di spiccare il volo all’interno di un’industria che oggigiorno sforna piccole perle senza concedere al pubblico un attimo di respiro. Peggio ancora, per quanto le missioni opzionali legate ai membri principali del Go-Home Club meritino di essere godute, tutte le altre si sono rivelate deboli riempitivi pensati unicamente per allungare il brodo, un infinito ripetersi ciclico d’eventi che stancheranno molto velocemente. Neanche sotto un profilo più propriamente tecnico il titolo riesce a offrire qualche motivo per cui gioie, il tutto a causa di un comparto grafico che, per quanto migliorato rispetto al capitolo originale, su Nintendo Switch continua a mostrare tutta la sua arretratezza. Texture slavate, ambientazioni vuote, effetti mediocri, conta poligonale appena sufficiente e animazioni legnose vanno racchiudendosi in un prodotto che scontenterà pesantemente tutti coloro che da un videogioco richiedono un certo livello qualitativo anche sotto un profilo più propriamente visivo. Di contro la portabilità della console ibrida targata Nintendo si è rivelata essere una piacevole presenza – per quanto l’esperienza sia afflitta da un frame-rate piuttosto ballerino – e il lavoro fatto in termini di character design si è rivelato decisamente convincente, ma ciò non basta a nascondere le gravi carenze tecniche che affliggono la produzione. Di ottimo livello si è invece rivelato essere il doppiaggio giapponese – affiancato unicamente da una localizzazione inglese dei sottotitoli –, seguito di pari passo da una soundtrack dalle piacevoli tracce.