Chi, ormai, non conosce The Banner Saga? Sbucato dal nulla tra i tanti titoli (di ottima fattura) proposti da Kickstarter, è riuscito in pochissimo tempo a conquistare i cuori del fan del genere TRPG (giochi di ruolo tattici), facendo loro versare quella lacrimuccia da un sapore un po’ retrò, un po’ vintage, al gusto di Tactis Ogre e Final Fantasy Tactis. Sebbene questo genere oggi sia diffuso e apprezzatissimo, anche grazie agli sforzi di Intelligent System con Fire Emblem e NIS con Disgaea, ciò che abbiamo sono titoli che si discostano per meccaniche da quelli che furono i grandi classici, abbracciando combattimenti e spostamenti più dinamici e veloci insieme a “sistemi di correzione” che ci permettono di aggiustare un eventuale errore di valutazione qualora dovessimo compiere un’azione poco ponderata. The Banner Saga, quindi, è un gioco vecchio stile che di sicuro farà la gioia dei più anziani, ma attraverso i suoi incredibili tratti è capace di farsi apprezzare anche da un pubblico più giovane e meno avvezzo a questo genere di strategici, presentando una trama, dei personaggi e una caratterizzazione estetica di prim’ordine, capace di incuriosire e catturare anche i giocatori che in genere sono attratti da altri generi (compreso chi vi scrive ndr).
Il mio intento, in quella che si potrebbe definire “quasi” una recensione di The Banner Saga Collection, è di mostrarvi la saga non titolo-per-titolo (visto che si tratta di una collezione comprendente i tuoi capitoli usciti), ma come si presenta nella sua interezza e nella sua essenza, trattando sì delle sue peculiarità che l’hanno resa grande, ma anche del messaggio che vuole trasmettere, con la speranza di riuscire in tale impresa.
In un universo che alla lontana (ma anche alla vicina, eh!) ricorda molto quanto visto nella famosa saga delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (o Game Of Thrones, per gli amici), ci ritroviamo coinvolti in un turbinio di eventi che fanno da antefatto alla disperata avventura che The Banner Saga Collection ci racconterà nell’arco dei suoi due capitoli (e il terzo che uscirà a breve). In un mondo dove la neve cade perenne, la morte degli dei sancisce l’inizio della fine, ed è ironico come il vestigio del cataclisma che sta per invadere il mondo sia possibile rinvenirlo nel Sole, da sempre portatore di vita, ottimismo e felicità. Nel cielo, l’astro si fermerà diventando a tutti gli effetti una presenza fissa durante la lunga epopea della nostra carovana. E così, la stella del buon augurio da sempre simbolo dell’inizio si fa portatrice di sciagura anticipando la fine dei tempi e risvegliando un’antica maledizione: quella dei Distruttori, esseri ricoperti da un’enorme armatura di metallo il cui unico scopo è, apparentemente, seminare la distruzione ovunque vadano, invadendo le terre direttamente al sud (quelle del mondo di gioco per intenderci), attentando alla vita di umani e Varl. Da allora, queste popolazioni hanno vissuto nel panico e nella più totale sopravvivenza, in una fuga e lotta continua contro questi aggressori metallici. Il nostro villaggio sarà proprio uno di questi che, di fronte all’avanzare dei metallici mietitori, decide di prendere le mosse e fuggire alla ricerca di un posto migliore dove cercare di prosperare, sebbene questa sia (e non involontariamente) tutt’altro che una parola azzeccata per la situazione.
Nell’oblio della disperazione e dell’angoscia, accentuati dai raggi di un sole spento che illumina il mondo di una luce morente, l’unico elemento di forza e di vigore è lo stendardo del villaggio riportante l’intera storia dello stesso, il cui rosso acceso si pone cromaticamente in contrasto con il mondo attorno a sé, ergendosi come un bastione a difesa della speranza e della vita sulle teste delle carovana, riflettendo un morale che suona come un ossimoro con l’atmosfera che il titolo vuole trasmettere al giocatore. Ed è così che inizia il viaggio di Rook e di sua figlia Alette, in compagnia del fido Iver, un Varl (giganti cornuti di natura ibrida uomo-animale).
Incuriositi? Esterrefatti? Questo è solo l’intro di una storia che è tutt’altro, come avete avuto modo di capire, che una scampagnata tra i malinconici boschi di un “nord” (che poi sarebbe un “sud”) fatto di miti e leggende, sacre rocce raffiguranti dei e pericolose taighe. In questo scenario avvilente e angosciante, però, trovano posto la speranza e il coraggio, la volontà di prendere le armi e di affrontare il male che affligge il mondo: è proprio così che inizia The Banner Saga 2. Il secondo capitolo si presenta come un vero e proprio seguito di The Banner Saga, riprendendo la storia dove il primo capitolo si era fermato. Sotto lo stesso sole che emana raggi luminosi dal gelido calore, lo spirito dei personaggi muta sensibilmente. Attenzione, però: ciò che cambia non sono i toni del titolo, ma l’animo dei protagonisti, vibrante grazie rinnovato vigore. Quel senso di malinconia e tragica quiete, che ha pervaso il mondo fino a questo punto, continuerà a coprire tutta la terra sulla quale le avventure degli eroi prendono le mosse e si sviluppano, con la stessa leggerezza con la quale la neve cade dal cielo e come un velo delicato ricopre il mondo. Ovviamente tutto questo ha un prezzo. Le fiammate dell’anima si pagano con il sangue di un crudo sacrifico che fa ripiombare i nostri personaggi nell’incubo di un mondo che muore giorno dopo giorno, con la consapevolezza di essere gli unici in grado di placare l’ira della morte incombente su di essi. The Banner Saga 2 non si tradisce ed anzi, non fa che rincarare la nefanda dose di dramma che come un pesante fardello batte senza sosta sui protagonisti e su tutto ciò che li circonda.
Se avete l’affanno solo leggendo questo diluvio torrenziale di parole, sappiate che The Banner Saga è più di un gioco: è una vera e propria esperienza. La difficoltà della sopravvivenza peserà sul vostro cuore così come sulle vostre mani che stringeranno il controller e sarete solamente voi i responsabili del destino della carovana. Oltre ad un gameplay decisamente classico nel battle system, ma con alcune chicche di cui discorreremo dopo, l’interazione con i nostri nomadi guerrieri avverrà attraverso accampamenti nei quali potremo equipaggiare gli eroi, definire le loro statistiche, interagire con essi prendendo parte a dialoghi ben scritti e soprattutto ben disegnati che impreziosiranno il legame che stringeremo con ognuno di essi. In questi campi, adibiti al riposo dopo giorni di cammino seguendo il filone della trama, dovranno alloggiare anche diversi personaggi NPC che la carovana raccoglierà per strada. Vittime dei Distruttori, guerrieri vogliosi di combattere, famiglie fuggite a causa della rovina dei propri villaggi e così via si aggregheranno estendendo la lunga, stanca fila indiana e con essa anche il vermiglio stendardo che li sovrasta. Ed è proprio qui che entra in gioco la sensazione più oscura e triste del gioco: il fattore psicologico del giocatore. Dovremo scegliere e dovremo farlo bene: decidere di accettare dei viandanti significherebbe salvarli da morte certa in un mondo che li ha velocemente resi prede, ma potrebbe causare un consumo sempre più veloce delle provviste necessarie per la sopravvivenza dei nostri, al contrario respingerli li condannerà a morte certa, ma salverebbe l’equilibrio sottile dell’economia che permette al gruppo di continuare il viaggio, lasciando però sulla coscienza del giocatore un non poco leggero senso di colpa, sebbene ciò renda l’immedesimazione davvero profonda e riuscita.
Quando il gioco riesce a trascinare a livello emotivo il proprio fruitore, è riuscito per metà nel suo intento, e The Banner Saga lo fa tremendamente bene attraverso quelli che sono i suoi punti di forza più impattanti. Narrazione e disegni sono i due tratti distintivi di questo capolavoro indipendente. Partendo proprio da questi ultimi, non possiamo che esibirci in un forte e sentito applauso nei confronti degli artisti che, grazie ad uno stile quasi disneyano, sono riusciti nell’impresa di caratterizzare esteticamente le ambientazioni creando spettacolari colpi d’occhio, e disegnando i suoi abitanti con animazioni costruite a regola d’arte che impreziosiscono ulteriormente i momenti di interazione tra i personaggi e combattimenti. Grazie ad una direzione artistica ispiratissima, possiamo definire tranquillamente The Banner Saga come un quadro in un movimento, una monumentale opera d’arte capace di incantare ad ogni paesaggio e dimostrare una cura per i dettagli di altissimo livello, che veramente nulla ha da invidiare alle produzioni di più grande budget. La seconda delle due componenti più importanti del titolo è sicuramente la storia. Coinvolgente e sempre pervasa da un alone di mistero (soprattutto nelle battute iniziali), si presenterà subito di grande spessore e profondità, soprattutto nei dialoghi e nella caratterizzazione dei personaggi, dove le nostre scelte saranno di vitale importanza per gli eventi, che potranno cambiare a seconda della strada che avremo deciso di percorrere. Questo, e ciò suona più come un sollievo, non andrà a minare la sopravvivenza dei personaggi principali e funzionali allo svolgimento della trama, che risulteranno invece nient’altro che feriti nel caso in cui dovessero avere la peggio in uno scontro.
Avviandoci verso la conclusione di questa analisi che vede protagonisti i due The Banner Saga, non possiamo non menzionare il battle system (come già annunciato all’inizio). Purtroppo, mi sento di dover ammettere di aver avuto di fronte un elemento capace di creare una spaccatura: da un lato, il sistema di combattimento è sicuramente riuscito e insieme a qualche chicca interessante è capace di rendere profonde anche banali meccaniche, ma dall’altro lato non sono riuscito a godere appieno dello stesso. A livello di meccaniche il titolo è sicuramente valido: oltre ad abilità con diversi poteri, come quello di sfruttare il grosso corpo di un Varl per scagliare via un nemico o utilizzare una lancia per superare le difese nemiche, sono presenti statistiche in grado di modificare il nostro approccio alla battaglia come la volontà (in grado di potenziare i nostri attacchi e il movimento sulla mappa) e la presenza di due barre per ogni unità: lo scudo e la vita. Non sarà semplice gestire l’assalto, i nemici più corazzati defletteranno facilmente diversi tipi attacchi e si renderà necessario dover abbassare lo scudo per poter pensare di abbattere grossi nemici come i Distruttori, esentando dalla capacità di frecce e lance, o abilità di sorta, di penetrare al di là delle difese avversarie. A rendere più profondo il combat system vi è anche la possibilità di equipaggiare oggetti dal menù principale. Questa componente ruolistica incidere molto negli scontri, aumentando statistiche e creando build appropriate che permettono ad un personaggio di esprimere tutto il suo potenziale in battaglia. Nella sua complessità, però, il battle system risulta piuttosto classico e lento, soprattutto se comparato alle produzioni a cui ci siamo abituati negli ultimi tempi, e ciò lo rende lento e meno fruibile, sebbene sia perfettamente in grado di trasmettere quella pesantezza e quella lentezza che per tutto il gioco il titolo ha cercato di imprimere nell’animo del giocatore, e che si esprime anche in quei movimenti lenti dei corpi ricurvi in marcia che compongono la grande carovana.
The Banner Saga è a tutti gli effetti un’opera, esteticamente meravigliosa ed emotivamente coinvolgente, capace di incantare e sorprendere con le sue peculiarità che manifestano una cura ed una qualità che negli ultimi anni sta diventando cosa sempre più diffusa. Se a tutto ciò di cui abbiamo discusso fino ad ora, aggiungiamo una più che eccellente colonna sonora, che descrive più che bene quanto avviene su schermo, allora possiamo che inchinarci davanti all’enorme lavoro fatto da Stoic, che si è affidata alle cure (e alle donazioni) dei baker su Kickstarter, trampolino che ha reso possibile la realizzazione di tutte e tre i capitoli della saga. The Banner Saga è a tutti gli effetti – e qui mi ripeto – un’esperienza che tutti i giocatori dovrebbero fare, una favola che oltre a narrare le vicende degli eroi, ad un livello extra-ludico ci insegna come la qualità non sia semplicemente appannaggio delle grandi software house e che il duro lavoro riesca sempre a ripagare.