Dopo una lunga – e per certi versi travagliata – attesa, si è infine conclusa Suburra, la serie cult che ci racconta gli intrallazzi che hanno consegnato Roma al “sangue” della corruzione. Aureliano e Spadino al confronto finale con Samurai, Manfredi, tra Chiesa e Politica per mettere le mani su “Mafia Capitale”. Non aspettativi un resoconto dei fatti: la storia (nelle sue atrocità) è stata tutt’altra cosa. Qui si tratta solo di spettacolo, farà piangere, ma anche sorridere; chi vincerà la “guerra” dei quartieri?
Reduci dal finale della seconda stagione di Suburra, con alcuni personaggi che se ne vanno (Gabriele, il figlio del poliziotto, si suicida davanti ai suoi “amici” e Livia Adami) e altri che ritornano (Manfredi, il capo degli Zingari fratello di Spadino esce dal coma), abbiamo visto in anteprima l’ultima stagione di Suburra per 6 episodi da 45/50 minuti. La durata è complessivamente inferiore rispetto alle precedenti, segnale di una veloce saturazione di idee? Chissà. Senza strafare, gli sceneggiatori hanno preferito concludere con un centrato di azione – senza dilungarsi in troppi particolari – per offrire uno spettacolo completo, comunque all’altezza delle precedenti stagioni.
Staticità narrativa e caratteriale
Il focus di quest’ultima stagione di Suburra è incentrata sui protagonisti che restano ancorati (nel bene e nel male) ai loro personaggi. Non c’è una vera evoluzione dei ruoli, né un netto cambiamento di rotta (come, per esempio, accade a Genny Savastano e Ciro di Marzio in Gomorra). Solamente uno di loro farà un percorso più completo, un cammino nel male che lo porterà a fare qualsiasi cosa pur di arrivare al potere. Di certo le emozioni non mancano, ma in realtà sono quelle sensazioni che ci aspettavamo di provare, nulla di più. Ciò che si avverte sempre meno è la tensione (che invece dovrebbe crescere), forse perché le scene clou si ripetono in una modalità sempre similare, senza particolari colpi di scena (quelli che sembrano esserlo finiscono per rivelarsi un po’ scontati) ad attenderci.
Ci troviamo nel pieno della scalata di Aureliano Adami (Alessandro Borghi) e Alberto “Spadino” Anacleti (Giacomo Ferrara) per conquistare il potere sulla Roma di “Mafia Capitale” – sullo sfondo della “guerra” per gli appalti del Porto Turistico di Ostia -, quella “manovrata” da criminali (ora anche quelli di Roma Nord), politici – rappresentati dall’arrivista Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro) – e persone influenti del Vaticano (Sara Monaschi, interpretata da Claudia Gerini). Sullo sfondo resta l’ombra di Samurai (Francesco Acquaroli) e dei Siciliani (i Badali), con la rinnovata concorrenza e sete di vendetta di Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi), piacevole ritorno sia per la narrativa che per la bravura del suo interprete nel calarsi all’interno di un personaggio così particolare.
Un “cattivo” come lui, così carismatico, accetterebbe mai di farsi comandare dal fratello più piccolo una volta uscito dal coma? Staremo a vedere. Ogni dialogo che coinvolge Manfredi diventa un dipinto di quello che rappresenta la sua Famiglia di origine Sinti a Roma: potere. Lo vedremo anche esibirsi in una curiosa interpretazione canora che – pur nella crudeltà delle parole che vengono pronunciate – vi farà anche sorridere. Lo spirito quasi tragicomico del personaggio (anche nelle situazioni più amare) lo rende il non-protagonista più trascinante della serie. Arriverete a odiare il suo personaggio per le azioni che compirà, sicuramente lo amerete per la maestria di come è stato portato in scena dal suo interprete. Gli scambi di minacce (esplicite o velate) tra lui, Aureliano e Spadino sono sempre crudi, diretti, ma anche un po’ grotteschi, il che non guasta. Il rapporto di Manfredi con il fratello (non considerato come degno erede al “trono” degli Anacleti) viene approfondito, si deteriora sempre di più, fino a esplodere, con conseguenze drammatiche per tutti.
La “famiglia” Sinti degli Anacleti viene rappresentata in modo davvero scenografico (sia per gli arredamenti della villa che per i costumi) e pittoresco, mostrando un’indole crudele e spietata, ma con delle regole, un codice di comportamento che influirà sul destino di Spadino e Aureliano. I due soci/amici sono accompagnati sempre di più dalle rispettive compagne di vita, Angelica Sale (Carlotta Antonelli) e Nadia (Federica Sabatini) – che qui avranno un vero ruolo da protagoniste -, le quali saranno messe praticamente sullo stesso piano nella “gerarchia” del potere e diverranno sempre più influenti nelle scelte dei rispettivi uomini. La moglie Sinti di Alberto Anacleti, figlia di un altro boss della “famiglia”, è incinta del futuro erede e nutre un perenne sentimento di sofferenza perché a conoscenza della natura omosessuale del marito. La sorprendente interpretazione della Antonelli è una delle note positive della stagione, una conferma per noi. Riesce a mostrare la voglia di Angelica di essere felice e serena, lontana dal malaffare, nella consapevolezza però di avere dentro di sé un carattere più duro del suo ragazzo. Questo la costringerà a prendersi responsabilità enormi.
Mentre tutto questo sembra convincere, quello che regge meno è l’attendibilità dei fatti. Sappiamo che si tratta di spettacolo, la realtà è una questione da magistratura. In Suburra, però, per larghi tratti viene a mancare proprio il senso della realtà. Ci eravamo già accorti nelle precedenti stagioni che i protagonisti avevano la capacità di entrare senza alcun problema nelle abitazioni (basi) di soci/nemici senza che questi se ne accorgessero. Sembrava quasi che avessero le chiavi di tutta Roma, un particolare che continua a ripetersi. In questa stagione diventa addirittura un gioco da ragazzi spostare cadaveri in luoghi simbolo davvero improbabili da raggiungere con un sacco nero in spalla. Inoltre nessuno arriva a credere che certi scaltri malavitosi con anni di esperienza arrivino a cadere in trappole tanto banali quanto scontate. Altri colpi di scena da definire “importanti” sanno poi davvero di già visto. Le motivazioni che portano a decisioni drastiche (soprattutto nel finale di stagione) non sempre vengono giustificate e spiegate e anzi, certe scelte risultano davvero difficili da comprendere e finiscono per emozionare meno proprio perché immotivate.
Le numerose scene di azione presenti in questa terza stagione di Suburra (tra sparatorie e inseguimenti) sono ben realizzate, anche se c’è qualche esplosione di troppo da action-movie di serie B. Borghi è capace di celarsi perfettamente dentro la tensione dei conflitti a fuoco, si veste bene nel ruolo del duro da uccidere (un po’ troppo alla John McClane di Bruce Willis, appunto) di Aureliano Adami. Si muove sempre di persona – caratteristica che rimane tale in tutta la serie -, il che lo rende una sorta di giustiziere/vendicatore solitario che poco si concilia con il suo ruolo da boss. Questo suo lato ingestibile avrà conseguenze decisive sull’esito della scalata al potere. Chi vincerà?