Paura dell’oceano sconfinato? Voglia di scoprire un pianeta alieno infestato da mostri di ogni genere? Subnautica: Below Zero è il titolo che analizziamo oggi in sede di recensione, e che guarda caso risulta perfetto per le vostre esigenze. Il nuovo titolo prodotto da Unknown Worlds Entertainment e uscito lo scorso 14 maggio è il seguito del primo Subnautica, un indie uscito nel 2018 capace di crearsi inaspettatamente una community enorme nel corso di un brevissimo periodo.
Siamo sinceri, di survival in ambiente sottomarino non ne esistono così tanti, al contrario di decine e decine di altri titoli che richiamano altre ambientazioni: The Long Dark, The Forest, Rust, Stranded Deep, e potremmo continuare a lungo. Avere modo di sopravvivere in un ambiente ostile come quello marino (e alieno) non è mai stata una meccanica molto sfruttata dagli sviluppatori in questi ultimi anni. Quindi dopo un primo titolo di grande successo, ecco un suo sequel, ma a temperatura zero. In aggiunta alle normali dinamiche di gioco è stata inserita la temperatura corporea: poiché il mondo in cui ci troveremo a esplorare sarà gelido e inospitale anche in superficie, non potevamo immaginarci qualcosa di più mortale. Abbiamo avuto modo di provare questo titolo su Xbox Series S in cui (teoricamente) non solo si promettevano caricamenti più veloci, ma anche una presenza vagamente maggiore di dettagli. Senza indugiare ulteriormente, entriamo nel dettaglio della nostra recensione di Subnautica: Below Zero e scopriamo cosa ci ha particolarmente convinto.
Un gelido (mortale) inverno
Gli eventi di Subnautica: Below Zero si svolgono in un habitat estremo, che mette in discussione le nostra capacità di sopravvivenza in modo molto rapido. Come avevamo già specificato nell’introduzione, l’aggiunta della temperatura corporea aggiunge una difficoltà in più rispetto al primo titolo: se sott’acqua bisogna tenere lo sguardo sull’ossigeno a disposizione, in superficie è altrettanto importante evitare di morire di congelamento. Il pianeta ci ostacola pienamente scatenando tempeste, pioggia, neve. In buona sostanza ritrovarsi in pericolo di morte anche solo camminando non è poi così difficile, soprattutto se non abbiamo un posto in cui ripararci nell’arco di qualche minuto. Parlando di grandi ostacoli della natura, sarebbe veramente sciocco non includere qualcosa di silenzioso e non mortale ma capace di disorientarci in mare aperto: l’oscurità e la notte.
Riprendere la mano con l’ambientazione e le meccaniche di Subnautica è stato fondamentale, soprattutto nelle prime due ore. Vi mentiremmo se non vi dicessimo che ritrovarsi in mare aperto, nel buio più totale, è tra le esperienze che ci ha più traumatizzato in quanto la maggior parte delle zone diventa inesplorabile. Da questo punto di vista il gioco ci ha terrorizzato, facendo arrivare la notte in modo quasi improvviso e quasi mortale, soprattutto quando si è almeno a mille metri dalla “safe zone” e dalla propria cabina. Quando questo accade non c’è barriera corallina aliena che ci indichi la strada: siamo abbandonati a noi stessi col terrore di incontrare mostri pronti a sbranarci. Però, tolto questo elemento, l’esplorazione e la creazione di oggetti utili sono veramente due fattori ben ideati e calibrati all’interno del gioco. Esplorare è profondamente affascinante, soprattutto perché si hanno sempre delle task da svolgere oppure perché si è alla ricerca di zone nuove in cui trovare approvvigionamenti o scorte di cibo e acqua.
Dispersività e terrore sotto zero
Però parlando anche ai meno esperti del genere survival (e magari ancora meno di Subnautica), dobbiamo avvertirvi che perdersi e ritrovarsi a vagare totalmente a caso non è raro. Nella nostra longeva esperienza è risultato evidente che il livello di dispersività dell’ambiente è abbastanza alto, anche e soprattutto in verticale. La soluzione è lasciare continuamente dei segnali per avere dei vaghi punti di riferimento, ma il gioco non ce lo consente più di tanto. Spesso ci siamo inoltrati in mare aperto nella modalità storia che dovrebbe essere la più equilibrata, almeno due ore sono state di pura paura in ambiente sottomarino senza sapere dove stavamo cercando di andare. In effetti se si vuole esplorare in modo più libero e anche più sicuro, per godersi l’ambiente oceanico alieno senza dover fare qualcosa in particolare, vi basterà giocare in modalità creativa per settare tutto secondo le vostre esigenze. Se volete esplorare la mappa e osservare la natura in modo più rilassato, dovete assolutamente provarla.
La colonna sonora in aggiunta a tutto ciò che abbiamo detto, è la vera e propria ciliegina sulla torta. Infida quanto tutto Subnautica: Below Zero, cambia ritmo in modo improvviso e cerca di metterci pressione una volta che ci ritroviamo da soli in mare aperto. Letteralmente da brividi, come in realtà lo è tutto il prodotto di Unknown Worlds Entertainment, che ci ha fatto rimanere con un occhio chiuso e uno aperto più di una volta, e che ci ha fatto sentire il cuore in gola quando ci siamo trovati nelle profondità e i mostri ci hanno veramente tormentato (anche una volta finito il gioco). La fauna e la flora sono minacciose e spettacolari al punto giusto, proprio come nel primo capitolo. Abbiamo imparato a odiare e amare Subnautica anche questa volta, convinti che una buona dose di masochismo accompagni chiunque si voglia terrorizzare in tal modo.
Per quanto riguarda il lato tecnico, dobbiamo dire che abbiamo provato il videogame su Xbox Series S e forse è proprio qui che troviamo una piccola pecca da segnalarvi. Onestamente non solo avremmo immaginato una grafica leggermente migliorata ma anche dei caricamenti molto più veloci; al pari di grandi titoli che pesano anche di più, il prodotto impiega più del previsto nei caricamenti iniziali e giocando su next gen è qualcosa a cui non siamo più così tanto abituati. Una piccola precisazione che ci sembrava giusto sottolineare, pur ritenendo che nella sua interezza Subnautica: Below Zero sia un prodotto fenomenale.