Shovel Knight Dig è uno di quei pochissimi titoli indie di cui smaniavamo di parlarvi in recensione. Non tanto perché l’opera si presenta con un gameplay sorprendentemente divertente e una direzione artistica ottima, ma perché negli ultimi anni lo sviluppatore Yatch Club Games si è rivelato essere tanto produttivo quanto originale. Fu proprio con il primissimo Shovel Knight che il team è riuscito a farsi subito un nome nell’enorme scenario di produzioni indie, e il più recente – e altrettanto ottimo – Cyber Shadow ne ha affermato l’autorialità.
Per questo motivo, quando Shovel Knight Dig venne annunciato per la prima volta, mostrandosi come una rielaborazione ben curata del gameplay e del level design del “predecessore”, non abbiamo fatto altro che attenderlo con ansia. Il tempo necessario per giungere sul mercato, prima su Switch, PC e Apple Arcade, è più che bastato a Yatch Club Games e Nitrome per confezionare un’opera di tutto rispetto e da cui non riusciamo più a staccarci.
Le premesse narrative sono particolarmente semplici, ancor più del primo capitolo, e hanno il mero compito di dare il giusto incipit per contestualizzare l’avventura: Shovel Knight sta riposando davanti un falò, in piena notte, quando il furbo Drill Knight gli ruba tutto il bottino e scava un’enorme voragine nel terreno, in cui si rifugia. Armato della sua iconica pala, il cavaliere si lancia così in questo pozzo senza fondo per recuperare i suoi averi e sconfiggere il nuovo antagonista.
Sebbene da una parte l’elemento narrativo possa sembrare una cosa da poco, una mera scusa per dare un senso alle azioni del protagonista, da un’altra parte riconosciamo come alcune situazioni, determinati dialoghi e specifici personaggi, connettano Shovel Knight Dig al primo gioco dell’eroe con la pala. Inizialmente è difficile capire in che momento della storia gli eventi abbiano luogo, ma le scene conclusive gettano luce sulla reale natura del titolo, aprendo un mondo di possibilità per eventuali prossime avventure.
Il level design come protagonista del gameplay
Se la storia si presenta meno articolata rispetto a quanto già visto in Treasure Trove, il gameplay non si presenta decisamente più complesso (non semplice, attenzione). Shovel Knight Dig è un titolo dai comandi e meccaniche ridotte rispetto al primo capitolo, ma vi faremo un esempio: se prima bisognava muovere in basso la levetta per schiacciare la pala a terra in stile Ducktales, adesso l’azione sarà automatica. Nei primi minuti di gioco, potrebbe sembrare che questa differenza non abbia un grande impatto sul gameplay, ma ci siamo dovuti ricredere.
Il vero protagonista dell’impianto ludico di Shovel Knight Dig non è il cavaliere blu, bensì il mondo che lo circonda, l’intero level design. La differenza tra il primo capitolo e questo è che si abbandona il platforming alla Mega Man e ci si avvicina di più a delle dinamiche roguelite in stile Spelunky. I livelli non sono generati proceduralmente, e ogni schermata unisce dei modelli pre-realizzati dagli sviluppatori, offrendo una casualità che risulta sempre ben studiata.
Questo significa che dopo molte ore di gioco è possibile cominciare a riconoscere alcuni scenari e quindi muoversi tra di essi sarà molto più rapido. Ciò non cambia che il fattore casualità è un elemento sempre costante e non potremo mai davvero sapere cosa ci capiterà davanti. Calarsi nelle profondità della fossa richiede così l’attenzione costante dell’utente, che dovrà utilizzare tutte le sue capacità, tecniche e strumenti a disposizione per raggiungere il fondo e combattere il boss.
Tra le variabili ci sono anche le reliquie e i potenziamenti di Shovel Knight che potremo acquistare presso venditori che possono trovarsi o in zone nascoste nei livelli o sulla superficie. Starà al giocatore determinare quali sono gli oggetti di cui ha bisogno, conscio sia del tipo di avversità che si sta preparando ad affrontare, sia delle sue skill contro determinati ostacoli. Potremo aumentare la vita massima, potenziare i movimenti e gli attacchi del protagonista, ottenere gli strumenti che dettavano le regole del gameplay del primo gioco.
Dinamica assai interessante è la mutabilità degli scenari, che possono essere modificati sia dal protagonista – quindi usando la pala per scavare a terra o lateralmente – sia dai nemici. Alcune creature potranno infatti interagire con l’ambiente che li circonda in modi sempre originali e mai scontati: magari scavare su un blocco creerà un nuovo percorso per un flusso d’acqua, offrendo ai nemici la possibilità di muoversi in modo differente o attaccarci sfruttando l’elettricità; ancora, rimuovendo delle superfici spinose possiamo crearci un passaggio per ottenere un tesoro o per schivare un colpo avversario.
Altro elemento che abbiamo apprezzato è il fatto che ogni morte ci farà perdere parte del bottino ottenuto durante la discesa, dividendolo in tre sacchi che potremo poi ritrovare durante la partita successiva, in perfetto stile souls-like ma che riprende in modo diretto quanto fatto dal primo Shovel Knight, in termini di punibilità.
L’opera esorta poi il giocatore a muoversi con una certa rapidità e a non perdere troppo tempo dietro un particolare ostacolo facendo arrivare un enorme scavatore che elimina sul colpo il nostro eroe. Anche questo ci fa capire quanta attenzione sia stata riposta nel cercare di equilibrare l’impianto ludico in ogni sfaccettatura possibile, e possiamo dire con grande ammirazione che Yatch Club Games e Nitrome sono riusciti pienamente nel confezionare un titolo curato letteralmente in ogni dettaglio.
La capacità decisionale è la vera sfida di Shovel Knight Dig, ed elemento che più ci ha convinti in fase di recensione. Sebbene anche nel primo capitolo della serie era importante valutare l’ambiente circostante per decidere il modo migliore per procedere, in questo titolo diventa ancor di più parte integrale del gameplay. Mescolando la necessità di prendere decisioni rapidamente al fattore casualità, capiamo subito come Shovel Knight Dig sia un titolo dalla grandissima rigiocabilità, giustificando anche il rilascio su mobile tramite Apple Arcade, e con cui si possono passare tantissime ore nel cercare di raggiungere il furbo Drill Knight utilizzando approcci sempre differenti. Sia che siate amanti delle speedrun, sia che preferiate un approccio più cauto, Shovel Knight Dig riuscirà a tenervi incollati allo schermo senza problemi.
A riprova di come l’autorialità di Yatch Club Games si sia ormai affermata c’è anche l’intero comparto grafico con relativa direzione artistica. Se il primo Shovel Knight ci aveva convinto con una pixel art perfettamente malinconica, questo capitolo segue una direzione leggermente differente: la grafica in stile NES viene abbandonata a favore di immagini più definite e dai colori altamente più vivaci, che a nostro avviso sono ottimi per un titolo così frenetico e lontano dal platforming in stile Mega Man.
Nonostante la scelta di dare più definizione ai personaggi e al mondo di gioco, il risultato finale rende fede all’universo narrativo e alle ambientazioni atipiche creato da Yatch Club Games. Adesso possiamo addirittura comprendere meglio le fattezze di alcuni cavalieri o anche dei nemici, che magari prima avevano dalla loro troppi pochi pixel.
Stesso discorso per l’impianto sonoro e l’intera soundtrack: gli amanti di colonne sonore che si rifanno ai classici del passato che si solidificano nella nostra testa ameranno Shovel Knight Dig, e in fase di recensione non possiamo che elogiare un impianto audio sopraffino. Anche in questo caso, il tocco dello sviluppatore si fa sentire, dato che ogni brano del gioco ci ricorderà in un attimo tutte quelle meravigliose canzoni che hanno contribuito a rendere il primo Shovel Knight un esempio di piccolo capolavoro indie.
Un piccolo difetto può però essere trovato nella quantità effettiva di canzoni, conseguenza di pochi livelli contraddistinti, che ne comporta una certa ripetitività soprattutto per la primissima fase dato che sarà quella che giocheremo più spesso. Siamo davvero sorpresi di poter dire che Shovel Knight Dig non ha davvero dei problemi in nessun ambito. Potremmo puntare il dito contro un frame rate che molto raramente diventa instabile (soprattutto nelle boss fight dove ci sono molti elementi a schermo) oppure nella totale assenza del supporto all’amiibo di Shovel Knight, che ampliava davvero di molto il primo capitolo, seppure non lo riteniamo davvero di vitale importanza.