Return to Monkey Island – Recensione, la scoperta del segreto

Dopo trent'anni di attesa, finalmente Ron Gilbert ci regala un nuovo capitolo ufficiale con Return to Monkey Island, ecco la nostra recensione!

Gianluigi Crescenzi
Di Gianluigi Crescenzi - Deputy Editor Recensioni Lettura da 12 minuti
8.5
Return to Monkey Island

Trent’anni di attesa sono lunghi, molto lunghi, soprattutto se durante questa ci si è intrattenuti con qualcosa che, nonostante non porti lo stesso nome, non ha alle spalle lo stesso carisma, gli stessi creatori, o più semplicemente la stessa qualità. Return to Monkey Island è esattamente il titolo che tutti i fan di vecchia data stavano aspettando, dai più longevi fino a coloro che hanno scoperto i vecchi capitoli durante questo lungo periodo. Lucasfilm Games e Terrible Toybox, lo studio che vede a capo niente meno che Ron Gilbert in persona, hanno l’onore e l’onere di continuare in modo canonico la saga, coadiuvati dal publisher leader nel campo dei titoli indipendenti Devolver Digital. La leggendaria saga continua, e accanto a Gilbert troviamo anche Dave Grossman, che ha lavorato assieme a lui anche nella creazione dei primi due Monkey Island (l’unico assente del magico trio è Tim Schafer, attualmente impegnato con i suoi progetti personali). Le presentazioni per il titolo che non ha bisogno di presentazioni sono giunte al termine, ed è quindi l’ora di scoprire, finalmente, Return to Monkey Island nella nostra recensione.

Senza nasconderci dietro ad un dito, è alquanto palese che molto di ciò che è stato messo in pentola sia per una chiara “operazione nostalgia”, e va benissimo così. Stiamo parlando del seguito di pietre miliari storiche, i cui fan sono ormai cresciuti e maturati, col tempo che è passato non soltanto per loro, ma anche per la tecnologia, e anche per il nuovo modo di affrontare la comicità. Sono cambiate alcune chiavi di lettura, è cambiato l’approccio, sono cambiati gli standard, e in tutto dobbiamo aggiungere anche che questo titolo vuole – e deve – interfacciarsi anche ad un tipo di pubblico molto più giovane (o che quanto meno abbia recuperato e apprezzato i vecchi capitoli).

Una missione apparentemente molto complicata, che tuttavia sembra essere stata compiuta con successo. Sottolineo però in modo marcato che la mole di easter egg, citazioni e riferimenti ai vecchi giochi è mastodontica, ed è quindi consigliato un bel ripasso di essi prima di intraprendere quest’avventura.

Il segreto, ma quello segreto segreto!

Prendendoci a dir poco alla sprovvista, Return to Monkey Island ci si apre di fronte con un prologo/tutorial che volutamente e benevolmente tenta di ingannarci con palesi riferimenti a… qualcosa che vi lasceremo scoprire da soli. L’avventura vera e propria per la ricerca del segreto di Monkey Island inizia subito dopo il prologo, e ci vedrà cominciare dalla cara vecchia Mêlée Island, dove le cose sono molto cambiate dalla nostra ultima visita, tra cui anche il governatore e il trio dei capi pirati. Qui Guybrush Threepwood, il nostro protagonista di sempre, verrà subito a sapere che la sua nemesi, l’ora pirata fantasma zombie LeChuck, sta mettendo su una ciurma per raggiungere Monkey Island e appropriarsi del suo segreto. Non è chiaro se per ripicca o per destino, ma gli obiettivi dei due pirati coincideranno di nuovo. Ecco che quindi Guybrush cercherà in tutti i modi una nave sull’isola, e tenterà di nuovo di formare una ciurma per salpare. Ce la farà? La risposta la scoprirete giocando.

Il classico moderno

Seguendo la scia dei punta e clicca più moderni, abbandonando definitivamente lo SCUMM (non il bar, quello c’è ancora! ndr), dal punto di vista ludico Return to Monkey Island si è snellito al minimo, non solo suggerendo automaticamente due una o due opzioni di dialogo direttamente al puntamento del mouse su un personaggio, ma anche semplificando di molto l’inventario. Gli oggetti infatti saranno utilizzabili semplicemente selezionandoli e spostandoli sul punto d’interesse del fondale, e all’interno dell’inventario invece sarà possibile combinarli tra loro o analizzarli (analisi visiva o commentata). L’asciugamento delle meccaniche ha tagliato molto di ciò che ad oggi sarebbe considerato decisamente superfluo, come ad esempio è stato ridotto in modo drastico il numero di punti attivi o analizzabili sul fondale, così come il try and error a livello pratico è stato quasi del tutto annullato perché un simbolo di “stop” ci dirà direttamente che un oggetto non è utilizzabile su qualcosa prima ancora di cliccare.

Questa filosofia di semplificazione, per forza di cose, ha contaminato anche l’enigmistica del gioco: se dovessimo fare – e dobbiamo – un confronto con i vecchi capitoli, la differenza di difficoltà tra i due è davvero molta, con questo Return to Monkey Island che a mani basse è senza dubbio il più facile della serie. Questo non accade solamente per l’intuibilità degli enigmi (giusto un paio di disattenzioni possono farvi perdere il filo e rallentare), ma anche perché come sempre più spesso sta capitando, in game è presente anche un libro in grado di darci suggerimenti, che può addirittura arrivare a darci la soluzione dell’enigma richiesto e sbloccarci. Aggiungiamoci poi che a inizio partita potremo anche scegliere di giocare una modalità più semplice dove gli enigmi sono semplificati e ridotti al minimo, e il quadro sarà completo. Questo non va certo a rovinare l’esperienza, sia chiaro, ma potrebbe in un certo senso deludere gli amanti delle sfide che si aspettavano pane per i loro denti alla Monkey Island 2, o addirittura alla Thimbleweed Park rimanendo in tema Gilbert. Gradevole infine la suddivisione del gioco in 5 parti (6 col preludio), che unita ai vari cambi di scenario aiuta a raggiungere senza forzature una longevità degna dei giochi di oggi.

Arte e prese di parte

Se avete seguito la storia del gioco fin dal suo annuncio, non potrà di certo esservi sfuggita la tempesta di insulti e di critiche verso l’aspetto grafico del gioco, che abbandona il cel shading di Curse, la pixel art dei primi due capitoli, e anche lo stile più prettamente “videogame” delle due Special Edition. Avvalendosi dello stile artistico di Rex Crowle, già famoso per Tearaway, la serie acquisisce quindi un’aspetto inedito, che senza giri di parole ha spiazzato i fan… prima ancora di giocare il gioco o vedere effettivamente il tutto in azione. Nessun errore poteva essere più grave.

Sinceramente, tale scelta stilistica ha spiazzato anche chi vi scrive, ma per fortuna mi sono ben visto da dare pareri affrettatati, perché Return to Monkey Island è a dir poco squisito alla vista. Certo, potrebbe risultare insolito o a volte stonato (ad esempio sulle mappe), ma tutto il resto – e credetemi – il resto ha assunto un aspetto gradevolissimo, che nonostante diverso dai precedenti ci ha fatti colpire in pieno volto dalla malinconia alla vista di determinati luoghi o personaggi.

L’unica cosa che, forse, potrebbe in un certo senso mancare, è lo stacco tra il comico e il serioso. Mi spiego meglio: molto della comicità della serie stava nel fatto che a livello di grafica tutto veniva ricreato per richiamare il “realistico”, cosa che con la comicità strampalata delle situazioni e di alcuni aspetti in particolare, andava a creare una contrapposizione che era essa stessa comicità. Nel caso di quest’ultimo capitolo lo stacco viene meno, e il tipo di comicità che otteniamo da Gilbert e Grossmann è esattamente quella che ci aspettiamo dalla grafica. Vi tranquillizziamo però, perché ribadiamo che il lavoro artistico è stato eccellente.

Diario di un pirata di vecchia data

Infine, ma non per importanza, è giusto dedicare una piccola parte all’aspetto malinconico del gioco, che come dicevamo in apertura di recensione è uno dei punti focali di Return to Monkey Island. Per tutta l’avventura, oltre a seguire le vicende e a fare nuove conoscenze, sarete letteralmente sommersi da riferimenti, citazioni, incontri, oggetti, meccaniche, e situazioni simili ai videogiochi passati della serie, una vera e propria lettera d’amore ai fan. La cosa sorprendente è il modo in cui tutto questo è stato riplasmato e costruito in modo coerente con la storia che stiamo vivendo insieme a Guybrush (e non solo). E se volete mettervi in competizione con voi stessi? Niente paura! Perché Gilbert ha pensato anche a questo.

All’inizio del gioco troverete un album di carte vuoto da riempire, carte che troverete sparse per i vari fondali di gioco. Semplici collezionabili? No! Un grande quiz, con ogni carta rappresenterà una domanda diversa alla quale potremo rispondere quando vogliamo. Le domande riguardano non solo Return to Monkey Island, ma anche il resto dei titoli della serie! Un bel modo di mettere alla prova sia la nostra memoria, sia il nostro malinconico affetto verso la saga. Attenzione a non sbagliare però! Altrimenti la carta verrà distrutta. Trovarle tutte e rispondere alle domande può rivelarsi un piacevole passatempo, un break del tutto facoltativo tra un enigma e l’altro.

Chiudiamo la recensione parlando del comparto audio di Return to Monkey Island, che riprende alcune delle voci che abbiamo avuto il piacere di ascoltare nelle Special Edition, con Dominic Armato in pole position nel ruolo di Guybrush. Il livello del doppiaggio è ottimo, e tutti i personaggi, vecchi e nuovi, sono stati caratterizzati al meglio. Anche la colonna sonora si attesta su grandi livelli, nonostante a conti fatti riesca a lasciare meno “l’impronta” rispetto ad esempio al tema principale di MI2. Calzante, piacevole, e con qualche sprazzo “galvanizzante” che non guasta mai.

Return to Monkey Island
8.5
Voto 8.5
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Deputy Editor
Classe 90, invecchia bene tanto quanto il vino, anche se preferisce un buon Whisky. Ama l'introspezione, l'interpretazione e l'investigazione, e a volte tende a scavare molto più del necessario. Inguaribile romantico, amante della musica e cantante in erba, si destreggia tra hack n'slash, soulslike, punta e clicca e... praticamente qualsiasi altro tipo di gioco.