In una società odierna in cui si cerca inesorabilmente e giustamente di livellare dopo anni e anni di battaglie civili il ruolo della donna, la cara vecchia Walt Disney non rimane certo a guardare e decide di produrre a sua volta un film per rivendicare con forza questo pensiero, unendosi al vigoroso coro che ha fatto tremare Hollywood. Come soggetto per veicolare questo messaggio di audacia tutto al femminile, troviamo un’opera creata dalla scrittrice statunitense Madeleine L’Engle nel lontano 1960. L’inno di forza dedicato alle giovani ragazze di tutto il mondo è infatti basato sul suo libro più famoso: Nelle pieghe del tempo.
Per questa particolare occasione, il colosso cinematografico affida ad Ava DuVernay il compito di trasporre su pellicola un classico senza tempo che ha segnato un’intera generazione di americani. Una donna afroamericana che ha iniziato la sua carriera dietro la macchina da presa nei suoi trenta è prima di tutto un simbolo che perfettamente si adatta per il contesto che andrà a raccontare. Dopo una serie di successi dovuti ai suoi temi impegnati, la regista si mette per la prima volta alla prova con un budget veramente importante e con un pubblico di livello mondiale.
Sono passati quattro anni ormai da quando il padre della giovane Meg Murry è scomparso dalla circolazione durante uno dei suoi studi riguardanti i viaggi spazio-temporali. Rimasta sola con la madre ed il fratello minore, la ragazza prodigio cresciuta in una famiglia di geni, trova difficoltà nell’integrarsi a scuola e tende ad isolarsi il più delle volte.
Quando incontrerà per la prima volta le tre signore, interpretate da Oprah Winfrey, Reese Witherspoon e Mindy Kaling, inizierà il suo mistico viaggio alla ricerca del padre ai confini dell’universo. Tra viaggi interdimensionali su pianeti sconosciuti e prove di coraggio e perspicacia, la triste adolescente guadagnerà lentamente confidenza in se stessa e troverà la forza per riportare tutti a casa a modo suo.
Nelle pieghe del tempo è il perfetto esempio di come i buoni propositi non sempre bastino per realizzare un buon prodotto. La morale motivazionale secondo cui chiunque trovi la sua strada possa realizzarsi, diventa troppo prevaricante rispetto all’avventura che dovrebbe raccontare. Nonostante la retorica sia in parte corretta, il modo con il quale questa viene espressa è fin troppo palese e leva spazio a quella parte di intrattenimento che usualmente è fondamentale nel cinema per non tediare lo spettatore.
Lo sviluppo della trama è lento ed eccessivamente incentrato sulla figura delle tre mentori durante la prima parte del lungometraggio. Solo quando la nostra protagonista inizierà ad affrontare i suoi demoni interiori da sola si inizierà a intravedere qualcosa di interessante. La narrazione, esageratamente introspettiva ed emotiva, viene parzialmente coperta da un utilizzo smodato degli effetti speciali visivamente accattivanti, ma fini ad una narrazione debole di base. Il risultato finale è quello di una favola moderna con del potenziale che poteva sicuramente essere sfruttato in modo migliore visti gli elementi di partenza decisamente validi sotto tutti i punti di vista.