Il mistero, il non detto, la fusione tra una storia di fantascienza e l’esoterismo fiabesco di una leggenda. Questi sono gli elementi cardini che c’introdurranno a Jett: The Far Shore, gioco di cui oggi vi proponiamo la nostra recensione. Fin dalle primissime voci in merito a questo progetto, gli appassionati di settore hanno vociferato fra loro, cercando d’inquadrare quella che sarebbe stata la visione di Superbrothers. Le immagini e i video, infatti, hanno gettato le basi degli elementi sopracitati, aprendo le danze all’immaginazione di un lavoro che pareva facilmente decifrabile, pur nella sua fuggevole identità. I tentativi di imbrigliare il tutto nei cardini di opere preesistenti hanno continuato ad alimentare l’interesse generale, ampliando le possibilità di un titolo che a conti fatti, forse, avrebbe meritato un sostegno migliore. L’anima da epopea c’era, la voglia di raccontare qualcosa di dettagliato anche, con un piglio artistico più marcato a condire il tutto. É stato il resto a non convincerci troppo, costringendo anche a un attento riesame di quello in cui si sperava.
Una trama che oscilla tra esoterismo, fantascienza ed esplorazione
Uno strano e indefinito vociare si espande tutto intorno, dicono qualcosa e le linee di dialogo cominciano a delineare una strada pronta a prendere gradualmente forma. Una tenda si scosta, lo fa in modo impercettibile, e tutto prende finalmente colore e forma. Gli occhi sono quelli di Mei, la protagonista del titolo, colei che il giocatore muove. Alcune persone sono riunite lì davanti, parlano una strana lingua, accennano qualcosa, tutto appare stranamente esoterico nel suo porsi, estremamente religioso. Mei è stata scelta, deve partire, deve andarsene dal suo pianeta di origine ed esplorare lo spazio profondo. Mei ha una missione, salvare il suo popolo tramite questo viaggio e tutto ciò che vi troverà.
Questo è l’incipt nonché principale carburante a muovere gli interi sviluppi del titolo. Il tema del viaggio, in Jett: The Far Shore si rivela centralissimo fin dai suoi primissimi istanti, introducendo una serie di dinamiche che abbiamo affrontato anche nella recensione di No Man’s Sky. Qui però il tutto assume una chiave di lettura molto più profonda e pesante, ancorandosi direttamente con la cultura del mondo rappresentato e con la narrazione. Partire significa sì lanciarsi alla scoperta di territori nuovi con risorse nuove, ma anche ricercare un modo per salvare il proprio popolo. Questa dinamica diventa ben chiara immediatamente attraverso lo stile del mondo che circonda Mei, con una preponderanza di personaggi che le si approcciano riponendo in lei speranza e curiosità. L’anima oscura e misteriosa del titolo si palesa anche nei momenti precedenti a questo viaggio, quando si ha la possibilità di dare un’occhiata fuggevole al suo pianeta, alla sua architettura e ai suoi abitanti. La disperazione è quasi palpabile tutta intorno.
Dunque un’introduzione senza dubbio curiosa e grandiosa, pronta ad aprire la strada di un titolo che, purtroppo, si perde passo passo nel suo avanzare. In seguito a un breve tutorial in cui si apprendono i rudimenti intorno alla guida dei cosiddetti Jett (il tutorial su questi mezzi specifici è ammorbato dai dialoghi esplicativi attraverso cui si apprendono le basi, dialoghi impossibili da evitare) e agli ultimi saluti a un mondo in rovina e sul baratro, tutto cambia, evolvendo in un cammino estremamente altalenante nel suo incedere. Trascorrono mille anni e la protagonista con il suo equipaggio raggiunge finalmente il pianeta designato, il luogo centrale nelle loro sacre scritture. E’ a partire da questo momento che tutto cambia.
Lentezza legnosa
Il problema di fondo con Jett: The Far Shore non si spiega tanto nella sia storia quanto, come leggerete più avanti nella recensione, nella sua struttura di gioco. La narrativa, in effetti, non potrebbe neanche considerarsi scritta male o negativa in toto, anche perché in alcuni frangenti arriva a sfiorare sviluppi e tematiche estremamente delicate e interessanti. Questo inevitabilmente sfaccetta i suoi personaggi attraverso segmenti profondi e attenti, pronti ad ampliare l’esperienza di gioco complessiva. Il negativo esce fuori soprattutto quando ci si ritrova ad affrontare alcuni segmenti di gioco estremamente lenti, legnosi e finanche macchinosi, con missioni che fanno della ripetitività un’incognita considerevolmente ingombrante. A risentirne certamente è il game design, il quale traballa continuamente fra le mani e la pazienza di chi sta giocando, magari incuriosito da tutto il resto.
Qui si parla di veri e propri momenti obbligatori in cui ci si deve mettere ad analizzare flora e fauna locali, ad esempio, al fine di far progredire la la storia stessa. Anche perché il gioco a livello di gameplay si pone in due maniere differenti: da una parte si devono esplorare a piedi i vari luoghi presenti in-game (incappando anche in particolari puzzle da risolvere) e dall’altra bisogna muoversi con il Jett (queste specifiche fasi di gioco risultano nell’immediato le più interessanti, anche se con alcune limitazioni nelle varie aree che possono infastidire).
Se non fosse per le varie scelte di design e struttura che il titolo si porta dietro, Jett: The Far Shore potrebbe anche risultare una storia memorabile, dato che dal punto di vista artistico restituisce alcune sensazioni degne di nota, figlie di un’ispirazione palese. Basta guardare alcuni suoi scorci o immergersi nella colonna sonora per comprendere il valore di un progetto che forse avrebbe meritato più attenzione dal punto di vista tecnico. E’ l’innovazione a mancare, soprattutto in un’idea che destò fascino ed interesse iniziali, per poi restituire qualcos’altro. Un pacchetto incartato bene ma privo di una sua sostanza alla base, delineato da una freddezza fin troppo tratteggiata e da una linearismo pronto a mettere in dubbio anche l’ultimo barlume di libertà che il gioco pare offrire.