Se diciamo Chuck Lorre, probabilmente vi verranno in mente alcune sitcom di successo come Due Uomini e Mezzo e The Big Bang Theory. Qualcun altro, invece potrebbe associare al suo nome una piccola perla del catalogo Netflix, di cui il celebre produttore statunitense è ideatore e produttore: come si evince dal titolo di questa nostra recensione, parliamo naturalmente de Il metodo Kominsky. Per chi non ne avesse sentito parlare (e nel caso, vi suggeriamo di recuperare immediatamente le prime due stagioni su Netflix), ecco qualche informazione. Si tratta di una serie incentrata sulle vicende di un anziano signore, Sandy Kominsky, che dopo una breve parentesi da attore ha deciso di mettere a frutto la sua esperienza aprendo una scuola di recitazione a Los Angeles – il tutto affiancato dall’amico e manager Norman Newlander -, nella quale insegna con un suo particolare metodo. Assieme, i due si ritrovano ad affrontare con spirito i problemi relativi alla loro età, dal lutto all’impotenza, malattie e acciacchi vari, ma anche relazioni sentimentali e familiari. Il tutto con tantissima ironia, che strappa sempre una risata (anche se talvolta dal gusto dolceamaro).
Non dimentichiamoci il cast d’eccezione: Sandy è infatti interpretato da Michael Douglas e Norman da Alan Arkin. Nel cast, che ritroviamo nella terza stagione, vediamo anche Sarah Baker nei panni di Mindy Kominsky, figlia del protagonista, oltre a Lisa Edelstein e Haley Joel Osment, rispettivamente figlia e nipote di Norman. Nel corso delle stagioni si sono susseguite anche varie guest star importanti tra cui Danny De Vito e Bob Odenkirk (e per quanto riguarda questo aspetto non resteremo delusi neanche nella terza stagione, con un’apparizione degna di nota). Noi di Game Legends abbiamo avuto modo di vedere in anteprima la terza stagione del Metodo Kominsky: ecco cosa ne pensiamo.
Ancora una volta, la perdita
La scena di apertura, mostrata già nel trailer ufficiale Netflix, rivela un’amara perdita, quella di Norman. Ed è proprio su tale perdita – e tutto ciò che ne consegue – che si incentra la narrazione: la sofferenza di Sandy per la dipartita del suo migliore amico e l’avidità della figlia e del nipote di Norman, ovviamente il tutto sempre affrontato con una vena comica e tanta ironia. La mancanza dell’anziano manager interpretato da Alan Arkin, prima cooprotagonista delle gag più divertenti, si sente in ogni singola scena, facendo immedesimare lo spettatore nel senso di perdita avvertito da Sandy, che proseguirà per tutto il corso delle puntate. Eppure Norman si ritroverà in tanti dettagli, che continueranno a ricordarcelo costantemente, fino alla fine. L’assenza del personaggio di Alan Arkin verrà in parte alleggerita, per quanto concerne i battibecchi cui eravamo affezionati, dalla presenza dell’ex moglie di Sandy (Kathleen Turner), la quale sarà cooprotagonista con Sandy di alcuni dialoghi esilaranti.
Altra tematica affrontata in questa stagione è quella della fiducia, sia all’interno delle relazioni che nella gestione del denaro. Questi due aspetti si intrecceranno spesso nella vicenda, sia per quanto riguarda il rapporto fra Mindy – la figlia di Sandy – e l’anziano compagno, sia riguardo la figlia e il nipote di Norman, dei quali l’anziano manager non si fidava per nulla in quanto eredi. Sandy si ritroverà al centro di due questioni spinose, che affronterà sempre tentando di onorare (e accontentare) la memoria del migliore amico, col risultato di strappare parecchie risate, ma anche di far riflettere.
Infine, questa terza stagione de Il Metodo Kominsky mette in scena un’altra tematica importante, e anche commovente: la realizzazione personale dei propri sogni e delle proprie aspirazioni. Nelle precedenti stagioni era un tasto che si toccava talvolta, in modo amaro, come accettazione finale, nella vecchiaia, del corso degli eventi che si sono susseguiti fino a quel punto della vita. Qui invece il tema è affrontato con ottimismo, come una chance che si può presentare in qualsiasi momento e che bisogna essere pronti a cogliere. Vediamo due prospettive diverse della questione, ma che finiscono allo stesso modo, questa volta felicemente, lasciando sullo spettatore un sorriso… e magari una lacrima. In definitiva, Chuck Lorre ci regala un’altra stagione del suo dramedy che non ci ha deluso. L’assenza di Norman poteva essere difficile da gestire, invece è diventata spunto e filo conduttore per affrontare tematiche importanti e far riflettere su queste, mantenendo intatto l’umorismo che contraddistingue la serie.