In genere le storie legate alla figura dell’autostoppista sono spesso intrise di sangue. Nel film degli anni ’80 The Hitcher, per esempio, Rutger Hauer ha recitato nel ruolo di un autostoppista assassino che ha lasciato una scia di corpi durante tutto il corso della pellicola. Hitchhiker: A Mystery Game non si allontana da tale presupposto narrativo, che vede nuovamente coinvolto un autostoppista, anche se in questo caso non è colui che chiederà il passaggio ad essere ambiguo ma, come vedrete lungo questa recensione, tutto ciò che lo circonda.
Non è importante la destinazione…
Il gioco è diviso in cinque capitoli e ognuno ci vedrà fare l’autostop nel veicolo di un guidatore diverso in un’ambientazione diversa. Il gioco però svela subito le sue carte facendoci capire che qualcosa nella realtà che ci circonda non quadra. Il personaggio che impersoniamo, chiamato dai guidatori “Copernico”, non ha idea di dove sia diretto, come se ci fosse qualcosa che gli impedisce di ricordarlo. L’unica cosa presente nella borsa che il personaggio ha portato con se è un singolo spazzolino da denti, il quale di certo non aiuta a comprendere chi siamo, da dove veniamo e dove siamo diretti.
Nei corso dei cinque capitoli dovremo mettere insieme i pezzi di come questo viaggio ha avuto inizio e, per fare ciò, dovremo parlare con i cinque enigmatici compagni di viaggio protagonisti degli altrettanti capitoli. Inoltre dovremo interagire con vari oggetti presenti all’interno delle autovetture, come fotografie o altri oggetti specifici, oltre a risolvere alcuni semplici enigmi occasionali. Vivremo l’intera esperienza attraverso gli occhi del protagonista e saremo noi a scegliere quali risposte dare durante le conversazioni attraverso le opzioni di dialogo, quando richiesto. Altre azioni, come abbassare il finestrino o prendere a calci una lattina, non sono funzionali in alcun modo per far progredire la storia e sono lì giusto per rendere l’esperienza il quanto più interattiva possibile visto che, per tutta l’avventura, il nostro personaggio starà seduto e potremo solo guardarci attorno. Altre azioni, come aprire un vano portaoggetti quando richiesto, attiveranno invece l’evento successivo.
Gli enigmi di ogni capitolo sono basati sul guidatore protagonista di turno e su ciò che dovrebbe rappresentare. Ad esempio Hops, un uomo anziano un po’ confuso e smemorato, sarà il guidatore protagonista del secondo capitolo e assieme a lui attraverseremo strade di periferia che sembrano tutte uguali, forse per riflettere la sua debole memoria. Né gli enigmi né i minigiochi in Hitchhiker: A Mystery Game sono particolarmente ostici da affrontare, ma dato che per la maggior parte del tempo saremo confinati in un’auto e non potremo mai spostarci, i tentativi di cambiare lo scenario e includere un po’ d’interattività sono molto graditi e aiutano a mantenere l’esperienza più vivace. I conducenti sembrano sapere troppo di noi e il mondo non pare del tutto reale. Alcuni eventi soprannaturali, come quando interagiremo con la voce di una radio, trasformano ambientazioni apparentemente ordinarie in qualcosa di particolarmente inquietante in un batter d’occhio.
Dopo aver terminato ogni capitolo, saremo ricompensati con una foto che attiverà una breve sequenza di flashback che ci darà un assaggio di un ricordo recuperato dal passato del nostro personaggio. Ogni viaggio include anche uno o più filmati in 2D, i quali sono rappresentazioni visive di alcuni racconti del guidatore protagonista del capitolo. Piuttosto che riferirsi direttamente al nostro viaggio, tuttavia, il più delle volte si tratterà di strane vignette animate che raccontano storie astratte, molte delle quali sembrano a dir poco fuori posto all’interno della narrazione, nonostante la peculiare natura onirica dell’intera esperienza. Uno dei filmati in questione, per esempio, racconta di uno strano mondo che si cela dietro una fessura alla fine di una scala mobile in un centro commerciale. Per quanto le storie in questione siano interessanti, sembrano più che altro dei riempitivi per far durare il più possibile il titolo, la cui longevità si assesta attorno alle due ore.
…ma il viaggio
Sebbene il protagonista stesso non parli mai, ciascuno dei piloti è completamente doppiato e gli attori generalmente offrono prestazioni solide, seppur non eccezionali. L’unica eccezione è quella del coltivatore di uvetta Vern, il primo conducente che incontreremo, i cui toni setosi e rochi sono incredibilmente rilassanti da ascoltare. In effetti, la maggior parte del gioco è rilassante da giocare mentre i fantastici monologhi postmoderni si riversano sui vari passaggi che scorceremo oltre i finestrini. I monologhi messi in bocca ai conducenti sono ricchi di spunti filosofici interessanti e rendono il titolo privo di tempi morti.
Nonostante non particolarmente dettagliata e legata a uno stile vicino al cartoon, la grafica appare pulita e di buona qualità, in particolare le diverse ambientazioni che attraverseremo. Dalle assolate autostrade di campagna alle strade urbane più tranquille, lo scenario che ci si parerà innanzi dipinge un quadro evocativo delle gioie del viaggio. I modelli dei personaggi, d’altro canto, risultano parecchio rigidi, specialmente nelle loro espressioni facciali e per ciò che concerne la sincronizzazione labiale. A parte la recitazione vocale, il suono principale che accompagnerà l’esperienza è il lieve ronzio del motore dell’auto, intervallato da occasionali riff musicali in quei momenti in cui i dialoghi dovessero concentrarsi su dettagli particolarmente drammatici o misteriosi.
Le note dolenti arrivano nel capitolo finale. Arrivati qui, infatti, c’erano molti filoni narrativi che dovevano essere legati insieme. Sfortunatamente, il finale risulta molto brusco e inaspettato, piuttosto che soddisfacente. Anche se appare chiaro cosa sia successo e perché ci trovassimo in una tale situazione, il capitolo conclusivo non fa abbastanza per intrecciare tutto in modo gratificante e molti elementi di trama sembrano lasciati lì a morire (come, per esempio, la misteriosa voce alla radio). Una volta sbloccati nuovi capitoli, sarà possibile rigiocare quelli già affrontati in qualsiasi ordine, così da poter tornare sui nostri passi e scegliere diverse opzioni di dialogo, anche se non sembrano esserci finali alternativi o percorsi di ramificazione sostanzialmente diversi a seconda delle nostre scelte.
Hitchhiker: A Mistery Game è in definitiva un gioco incentrato su storia e narrativa. e, conseguentemente, non adatto a chiunque non fosse interessato a produzioni basate su tali elementi. Il gameplay, infatti, non è sicuramente l’obiettivo principale della dinamica di gioco e offre persino meno rispetto ai più classici “walking simulator”, visto che qui nemmeno cammineremo e staremo seduti per tutto il tempo. Nonostante ciò, l’opera di Mad About Pandas offre una storia intrigante immersa in paesaggi carichi di fascino, il tutto intervallato da interessanti discorsi filosofici. La componente tecnica non all’avanguardia, alcune fasi posizionate all’interno del gioco unicamente per allungare il brodo e, soprattutto, un finale affrettato e deludente impediscono però a Hitchhiker: A Mistery Game di brillare, relegando ad essere un titolo sufficiente ma non indimenticabile.