C’è chi i fantasmi li cattura con degli strani marchingegni e dei fucili protonici, c’è chi gli zombie li combatte sparandogli in faccia con una Magnum, e c’è chi invece ne scappa con una telecamera in braccio per utilizzare visuale notturna. Tanti altri horror ci hanno fatto tremare senza poter rispondere all’agguato del sovrannaturale, ma ora è arrivato Ghostwire: Tokyo, che vi farà combattere spettri e demoni della mitologia giapponese (e non solo) a colpi di potenti magie lanciate con strane pose delle mani, cosa che abbiamo fatto durante la recensione.
Il gioco di Tango Gameworks, supervisionato dal maestro Shinji Mikami, propone un’ambientazione horror e un sistema di gameplay davvero particolare, un qualcosa di fresco e innovativo che in sede di anteprima ci aveva emozionato e che, lungo tutta l’esperienza di gioco, ha fatto allo stesso modo.
Il mostro sotto al letto
Partiamo dalla base di questa recensione, in Ghostwire: Tokyo ricoprirete i panni di Akito, ragazzo che dopo un incidente si ritrova con all’interno l’anima di KK, un investigatore sovrannaturale dotato di una strana magia (che sembra quasi fondere delle arti marziali con una magia particolare e originale). Partendo da questo incipit, sia Akito che KK avranno a che fare con Hannya, un personaggio con una maschera omonima che ha in serbo degli strani piani.
Nel corso del gioco veniamo subito lanciati all’interno della trama, complice una voglia di raccontarla mentre si gioca, e non con noiose cutscene: quelle presenti però sono sicuramente ben dirette e ben strutturate. Parlando della fauna dei mostri presente nel gioco, in soldoni le tipologie che incontreremo non sono tante, ma le differenziazioni e il modo in cui si alterneranno, richiedono sempre approcci diversi e mescolati, e riescono nel corso dell’esperienza di Ghostwire: Tokyo a farci divertire durante gli scontri. Inoltre ci propongono anche una sfilza di creature che, piuttosto che puntare su mostri o spettri, prendono spunto dalla mitologia nipponica e mettono in campo creature che spesso raffigurano pentimenti e colpe, cose che possono cambiare lo spettro del morto da una semplice anima a una creatura da incubo. Proprio questi diventano quasi protagonisti indiscussi del gioco, capaci di farci sprofondare nel terrore più puro e unico, quello urbano: proprio per questo Ghostwire: Tokyo (punto focale della nostra recensione e della valutazione), riesce a tutti gli effetti ad essere innovativo e audace dove gli altri non sono riusciti.
Le varie creature potranno essere combattute con varie armi. Le prime, più classiche all’interno del gioco, saranno le tre mosse che permetteranno a Akito e KK di lanciare fasci di energia di diverso tipo (e colore): queste avranno funzioni di “tiro” diverse, dal colpo verde pensato per la raffica a quello blu orizzontale, fino a quello rosso che sarà potente, esplosivo e perforante. I due protagonisti potranno far uso anche di un arco magico, di una serie di talismani a mo’ di trappola e di un colpo corpo a corpo poco utile frontalmente, molto forte in stealth.
Il problema di questi attacchi è che, evolvendo nel corso del gioco grazie alle abilità, non cambiano più di tanto: potrete infatti potenziare danno, velocità o altro, ma alla fine questi rimarranno e questi vi porterete fino alla fine del gioco. Sarebbe stato interessante poter differenziare i vari attacchi con delle scelte ruolistiche, o magari trovare un sistema capace di farcene ottenere altri.
Tutto sommato però il gameplay si fa apprezzare, col combat system ben strutturato – addirittura fresco – e col mondo di gioco che propone mappe davvero ben studiate: non è molto interessante l’arena standard dove spesso vi troverete durante le boss fight e alcune sessioni di gioco (che sembra più che altro creata per evitare scontri grandi nel centro abitato più che per fini di design, anche se sarebbe stata eccezionale da vedere), ma di rimando tutta Tokyo è stupenda da esplorare in lungo, in largo e in verticale. Se infatti potrebbe non sembrare, il sistema di Tengu permette di salire sui tetti e vedere tutto dall’alto: questo apre un potenziale purtroppo non troppo esplorato dal gioco in sé, visto che alla fine ci andrete quasi sempre solo per spostarvi o, magari, per evitare scontri.
Il combat system in toto è comunque uno dei più appaganti degli ultimi videogiochi usciti, e la variazione richiesta tra i vari attacchi per risultare efficaci è un’ottima sfida da portarsi a casa. Per terminare la trama di gioco infine non sarà vitale aver potenziato tutto al massimo, d’altronde gestire i vari attacchi vi renderà abbastanza forti contro i nemici al punto da non farvi accorgere nemmeno delle migliorie ancora da sbloccare.
Storie di fantasmi
Ghostwire: Tokyo propone una trama principale di media lunghezza (a noi in sede di recensione ha richiesto tra le 10 e le 12 ore): questa non annoia mai, propone spunti interessanti ma così come inizia velocemente, finisce altrettanto. Non parliamo della durata generale, ma del finale del gioco, molto rapido e indolore: nonostante l’intreccio si dipani molto bene nel corso della storia, le ultime scene sono frettolose, e questo fa perdere un po’ il filo e rende il tutto anticlimatico, e probabilmente un ritmo meno serrato nelle ultime fasi avrebbe giovato. Così come per l’intreccio, anche le boss fight finali e il modo in cui si propongono, non sono così brillanti.
Le secondarie invece, che potrebbero occuparvi almeno altrettanto tempo, sono differenziate di molto e ogni storia propone spunti interessanti legati all’ideologica dell’aldilà e dello spiritismo nel mondo nipponico. È quindi interessante vedere uno spettro di una ragazza pianista da salvare (aguzzando l’ingegno) o quello di alcune persone bloccate in un luogo nefasto. Forse avrebbe funzionato di più inserire qualche segreto sparso nell’open world, cosa che viene decisamente messa quasi a zero in favore delle missioni (primarie e secondarie), che riescono comunque a portare a casa il compito. Insomma di certo il gioco non vi farà perdere troppo tempo tra misteri da svelare oltre che nelle missioni, e questo è un po’ un peccato vista la fantastica ambientazione ricreata dal team.
Per quanto riguarda lo shop, il gioco propone una valuta in-game collezionabile nel corso della vostra avventura, che vi permetterà di comprare oggetti utili (come quelli per catturare gli spiriti) e anche del cibo: il sistema del cibo, che comunque differenzia i vari piatti come solo in Giappone sanno fare, alla fine si riduce a semplici “pozioni” per curarvi, una cosa divertente per gli occhi ma non per il gameplay. L’estetica, d’altro canto, è così ben curata da farvi perdere minuti e minuti ad osservare ogni dettaglio: persino nello shop (e dove potrete dare alcuni oggetti in cambio di soldi) troverete vestiti, musiche, contenuti e quant’altro, tutto facoltativo ma comunque piacevole da vedere.
Tecnicamente Ghostwire: Tokyo brilla, con una grafica impressionante che mai ci ha stancato in sede di recensione. Provato su PlayStation 5, il titolo ha un dettaglio stupendo in ogni angolo della città e ogni parte del gioco è una boccata d’aria fresca per gli occhi (sia in termini di gameplay che di estetica). La cura nella caratterizzazione dei personaggi, degli attacchi e delle location è maniacale, un lavoro minuzioso degno di un videogioco di qualità, e persino nel modo in cui sono stati riprodotti gli stretti vicoli di Tokyo si vede quanto l’obiettivo di Tango Gameworks sia stato quello di regalare una città realistica e immersiva. Talvolta ci sono dei leggeri cali di frame rate, nulla di irrisolvibile al day one, ma per il resto fila liscio e diverte, dall’inizio alla fine, grazie anche al doppiaggio giapponese ben fatto e alla localizzazione italiana di gran qualità.
Rimane un po’ l’amaro in bocca per tutte le occasioni non colte sia nell’ambito del RPG, sia per la trama sbrigativa nel finale, ma sono tutti dettagli che potranno essere recuperati e migliorati nel prossimo capitolo, qualora ci sarà (sarebbe interessante scoprire il passato di KK e il suo lavoro prima di tutto questo). Per il resto, Ghostwire: Tokyo è un’avventura interessante, non troppo impegnativa in termini di tempistiche ma con un buon grado di difficoltà, che propone un’ambientazione originale e un combat system innovativo e dinamico, sicuramente adrenalinico e dannatamente divertente.