Preghiere, lavoro e intrighi religiosi. Rosewood Abbey è stato per noi come un fulmine a ciel sereno, e non soltanto perché la nostra prova si è rivelata molto divertente, ma soprattutto per l’originalità che essa trasuda copiosa, anche già dalla copertina. Il gioco di ruolo creato da Kalumn per The Roliest e pubblicato in Italia da Grumpy Bear, è un’esperienza elegante e riflessiva, capace di offrire suspense storica e introspezione psicologica. Il titolo come fonte di ispirazione principale ha niente meno che Il nome della rosa di Umberto Eco, ma anche la serie televisiva Cadfael.
Tra monaci e “oscuri segreti”
Al centro delle vicende di Rosewood Abbey c’è l’investigazione monastica, dove le voci, la superstizione e la ricerca della verità si intrecciano in un crescendo narrativo appagante. I giocatori vestiranno i panni dei Fratres Herodoti, studiosi dediti alla verità in un’abbazia medievale dove le dicerie possono plasmare la realtà stessa. Qui, l’Abbazia di Palissandro è descritta come una enclave monastica ai piedi delle Alpi tra XII e XIII secolo. Il manuale ci fa immergere in un’atmosfera storico‑sociale molto curata, dove la dimensione religiosa si affianca alla superstizione popolare, ma con coerenza narrativa. C’è da sottolineare che in Rosewood Abbey non c’è nulla di sovrannaturale, ma solo interpretazioni errate del quotidiano. I membri e il villaggio circostante rappresentano un mondo credente che si scontra con i monaci razionali, creando tensioni sociali, morali e narrative credibili e d’impatto.

La meccanica principale è il sistema “Rumor Mill”, in italiano Giro di Voci, dove le dicerie, le ossessioni e i deliri emergono e crescono nel corso delle sessioni: non si cerca la verità oggettiva, ma quella che sposta l’azione e le conseguenze drammatiche della stenografia medievale. Il gioco si basa dichiaratamente (con tanto di permesso dell’autore) su un hack di Brindlewood Bay, con un sistema che permette ai giocatori – e al game master, chiamato “Cantore” – di creare insieme il mistero passo dopo passo, rendendo ogni campagna diversa dalle altre. La semplicità è un punto di forza, anche se alcune meccaniche potrebbero risultare inizialmente indigeste ai giocatori novizi. In ogni caso, il gioco è accessibile, focalizzato sulla narrativa, e diverse chicche sparse qua e là.
Da usare come la Bibbia
Nonostante sia in formato tascabile e totalmente in bianco e nero al suo interno, il manuale di Rosewood Abbey fa la sua scintillante figura: questo non solo grazie ad una grottesca copertina, che mette subito le cose in chiaro, ma anche a delle splendide illustrazioni a tema all’interno, che ci accompagnano tra le varie pagine e ci scrutano ad ogni inizio capitolo.
Il manuale dedica spazio alle routine (con tanto di schemi), alle mosse del Cantore, alle linee guida per gestire ritmo e tono, e ai suggerimenti su come modulare le voci e le credenze. L’ampio “Replay” che si trova nelle prime 90 pagine del manuale svolge anche la funzione di esempio pratico di conduzione. Con questo i giocatori avranno da subito molto più chiaro come si svolge il tutto, comprese le interazioni tra i Confratelli e il Cantore. Non sottovalutiamo anche che la storia che viene narrata in queste pagine, è anche molto umana e divertente.
I creatori ci hanno inoltre dato un importante strumento da sfruttare: la modularità. Questa consente di trasformare le campagne a vostro piacimento, che le preferiate brevi e intense, o magari più lunghe, dove l’abbazia e il villaggio acquistano man mano più profondità. C’è in ogni caso da dire che per questi motivi, Rosewood Abbey sarebbe un po’ “sprecato” per una sessione one-shot, dato che la costruzione dell’ambientazione e il vero corpo delle vicende devono ben attecchire, e si possono perdere alcune dinamiche del Giro di Voci. Nonostante quindi le one-shot siano un’opzione considerabile, consigliamo di sfruttarlo al meglio con campagne più lunghe, più o meno tra le 4 e le 8 sessioni.
Nella parte finale del manuale è presente anche una sezione dedicata ai materiali: non parliamo solamente della lista di quelli da procurarsi (con tanto di QR Code), ma anche dei Misteri predefiniti da risolvere, che potrete scegliere voi stessi se inserire o meno all’interno della vostra campagna (cosa molto consigliata, specialmente il Mistero introduttivo).
Dall’alba al calar del sole
Se c’è una cosa che abbiamo particolarmente apprezzato di Rosewood Abbey, è che eccelle nel costruire tensione narrativa tramite le dicerie e i riti morali dei personaggi. Gli archi narrativi che si sviluppano col Giro di Voci – e ne avete chiara prova nel replay – possono trascinare i monaci verso l’accusa di eresia, sanità o colpevolezza, con conseguenze sociali e personali veramente grandi. La progressiva escalation tra sospetti, accuse e delirio, accompagna scelte drammatiche e personali, con un ritmo che porta ad alternare momenti di calma, indagine e riflessione. Insomma, tutti elementi tipici del gotico sobrio e intellettuale, dove l’orrore è nella mente e nel pregiudizio, non nel soprannaturale. Queste escalation e queste possibilità infinite, dato che tutto dipenderà dalla narrazione condivisa, porta un alto tasso di rigiocabilità a Rosewood Abbey. Dopo tutto il fatto che il finale dei vari Misteri non sia prestabilito, rende ogni sessione praticamente unica e differente in base alle scelte dei giocatori.
