Cosa ci resta dopo la chiusura di Visceral Games

Patrizio Coccia
Di Patrizio Coccia GL Originals Lettura da 7 minuti

Durante questi giorni si è scritta una delle pagine più nere del mondo dei videogiochi: Visceral Games chiude ufficialmente i battenti. La casa di sviluppo, precedentemente conosciuta come EA Redwood Shores, era una delle software house più longeve di EA, poiché fondata nel lontano 1998. Neanche a dirlo questa notizia è stata una vera e propria bastonata per moltissimi fan, il motivo? Per chi non conoscesse Visceral Games vi diciamo solamente che sono stati i creatori dell’intera saga di Dead Space, Dante’s Inferno, Il Padrino e tanti altri, dunque il rimanerci delusi oltre che sorpresi è assolutamente giustificato. In questo editoriale andremo a parlarvi non solo delle grandi cose fatte da questo studio, ma anche ad analizzare i motivi di questa improvvisa chiusura e quali saranno i possibili scenari che si andranno a diramare per il futuro.

Partiamo dalla basi. Negli ultimi anni ormai il concetto del videogame è ruotato intorno al dover dare con continuità agli utenti esperienze multiplayer. Questo modello di business, oltre ad essere meno dispendioso in fatto di risorse spese, è anche il più redditizio, poiché un multiplayer con continui DLC a pagamento o microtransazioni consente un guadagno economico costante. Proprio per questo sempre più publisher, soprattutto quelli importanti, hanno deciso di seguire questa filosofia aziendale, lasciando dunque perdere l’idea di sviluppare avventure singleplayer e dediche all’avventura. Il mercato purtroppo ha parlato chiaro e quando succedono cose come la chiusura di un importante casa di sviluppo, non possiamo certo rimanere ad osservare impassibili un panorama che, per come stanno andato le cose, predilige un futuro fatto da giochi orientati alla “massa”, passatemi il termine, piuttosto che titoli magari per certi versi più intimi e che lascino davvero qualcosa ai giocatori.

L’ultimo esempio è proprio sullo sfortunato Star Wars dei Visceral Games: il titolo venne annunciato nel 2014 sotto il comando di Amy Hennig, ex dipendente Naughty Dog che ha lavorato su giochi del calibro di Legacy of Kain, Jak and Dexter, Uncharted. Le premesse che il videogame facesse sognare i fan del brand c’erano tutte e, nel 2016, fu anche mostrato un gameplay all’E3 2016. E’ incredibile pensare come in un solo anno siano cambiate le cose, con Electronic Arts che annuncia che il progetto continuerà ma che subirà anche dei pesanti cambiamenti di design, avvicinandosi dunque alle richieste di mercato. Questa decisione è stata presa dopo aver ottenuto il feedback da diversi giocatori presi come campioni. Per quanto si potrebbe stare a discutere davvero tanto su questo modello di mercato, è davvero ingiusto pensare che i Visceral Games abbiano chiuso per questo motivo.

I Visceral Games stavano sicuramente ottenendo una flessione preoccupante: dopo l’eccellente Dante’s Inferno nel 2011,la software house ha avuto il coraggio di osare con il primo capitolo di Dead Space, titolo che ancora oggi viene ricordato come uno dei giochi horror più spaventosi di sempre. Il secondo capitolo abbiamo scoperto da poco che costò la bellezza di 60 milioni, raggiunse solamente 4 milioni di copie vendute e, molto di questo fatturato, fu ottenuto solo dopo alcuni cambi di prezzo consistenti. Ecco dunque la scelta di far virare la saga su un gameplay più action che, a rigor di logica, avrebbe dovuto dare nuova verga alla serie. Purtroppo in questo caso mai scelta fu più errata, andando dunque a segnare la fine non solo alle terrificanti avventure di Isaac Clarke, ma anche della casa di sviluppo stessa.

Da quel momento Visceral Games è stata sempre più relegata a progetti minori e fallimentari come Battlefield Hardline o Army of Two. Dopo tempo di anonimato ritorna la grande occasione con l’arrivo di un brand come Star Wars fra le mani e, dalle ultime notizie emerse in queste settimane, sembra che l’intero progetto fosse totalmente allo sbando. Quindi il problema non era solo la natura single player e troppo lineare dell’opera, ma anche che la produzione del gioco era ben più arretrata del previsto. Nonostante questo il Game Director di God of War, Cory Barlog, ha difeso la chiusura del team, elogiando i titoli single player e dicendo che si può usare grande creatività anche in una narrazione lineare. Sicuramente EA ha dimostrato con questa decisione di avere un modello di business totalmente incentrato al guadagno, guardando al videogioco come servizio e non come puro intrattenimento. L’obiettivo è quello di guadagnare, senza se e senza ma, inserendo quanti più modi per spremere l’utente, andando dunque incontro ad un futuro fatto di giochi copia e incolla con pochi cambiamenti sotto l’aspetto delle meccaniche.

Senza ombra di dubbio possiamo dire che, nonostante la visione drammatica appena descritta, il 2017 è stato un anno fantastico sotto il punto di vista delle release e, a quanto pare, il 2018 lo sarà altrettanto. Fin quando ci saranno case di sviluppo come Square Enix, Bethesda, Naughty Dog, CD Project Red e tante altre, il mercato dei single player è ben al sicuro, con prodotti all’altezza che non solo emozionano ma che, in un certo senso, gratificano i giocatori. Dire che abbiamo bisogno più di case come Visceral Games è un eufemismo, poiché è inevitabile che ci siano player che cercano ed hanno bisogno di un altro tipo di esperienza. Il mercato per fortuna è amplio e vario ma, sinceramente, vedere publisher che puntano maggiorente ai servizi chiudere un progetto come Star Wars, perché lineare e troppo incentrato sulla narrazione, per poi vederlo trasformare magari in un surrogato di Star Wars Battlefront è qualcosa che fa davvero male al cuore. Quello che ci resta di Visceral Games è il chiaro esempio che gli studi di sviluppo possono, e in alcuni casi devono, sbagliare. L’insuccesso clamoroso della saga di Dead Space sicuramente è stata una batosta inaspettata per EA, ma relegare la software house sempre più ai margini della compagnia non è stato il modo giusto per ridar fiducia a un team che aveva perso quello smalto di un tempo.

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Patrizio non era ancora nato quando entrarono in casa la Super Nintendo e Super Mario Bros. Pochissimi anni dopo, insieme a lui, arrivò anche la Play Station, e fu tutta un'altra storia. Aveva 4 anni quando a malapena riusciva a tenere il controller tra le mani, ma non mollò più la presa, imparando a giocare a tutti i generi. Appassionato di musica rap, film fantasy, e con un passato da writer, predilige indiscutibilmente i giochi di ruolo, fortemente affezionato alla serie di Kingdom Hearts di cui conserva l'intera collezione, spin-off inclusi.