Barbie – Recensione del film più patinato dell’anno

Barbie è il film che racconta le vicende della bambola più famosa del mondo: vi accompagniamo in questo viaggio/gioco con la nostra recensione.

Tiziano Sbrozzi
Di Tiziano Sbrozzi - Senior Editor Recensioni Lettura da 7 minuti
4.5
Barbie

Barbie non ha certo bisogno di presentazioni. Il 9 marzo del 1959 la Mattel commercializza in pompa magna l’idea della signora Ruth Handler, creando la prima bambola sulle fattezze di una donna: il successo fu clamoroso fin dal primo anno, e fece la fortuna della signora Handler e dell’azienda. Oggi, Warner Bros. affida alla regista Greta Gerwig, l’obbiettivo di rendere Margot Robbie e Ryan Gosling i Barbie e Ken in carne e ossa che tutto il mondo celebrerà. Vediamo come è andato il film con la nostra recensione senza spoiler.

Lei è Barbie. Lui solo Ken.

Barbie (Margot Robbie) vive a Barbie Land, nella sua Villa da Sogno di Barbie: ogni giorno è il “giorno perfetto” nel quale si alza, saluta le vicine di casa (anche loro Barbie ma in diverse versioni), fa la doccia, si veste, fa colazione ed esce con la sua Chevrolet Corvette C1 decapottabile anni ’50, rigorosamente rosa (per gli amanti del green, tranquilli: l’auto non ha il motore, del resto è l’auto di una bambola).

La giornata di Barbie prosegue con appuntamenti vari, un saluto a Ken (Ryan Gosling) in spiaggia e una serata all’insegna del divertimento con tutto il paese, per poi culminare con un pigiama party a tema ragazze. Tutto sembra scorrere divinamente, fin quando qualcosa non cambia nella vita perfetta della nostra “Barbie Stereotipo” (sapete, quella che quando vi dicono “pensa a una Barbie” vi viene in mente all’istante? Ecco, lei è lo stereotipo): la protagonista inizia ad avere brutti pensieri depressivi e di colpo i suoi piedi non sono più perfetti per i tacchi ma piatti.

Ci fermiamo qui sulla trama, dandovi modo di scoprire il resto al cinema, così da non rovinarvi sorprese e colpi di scena. La trama generale del film è abbastanza semplice quanto complessa: da un lato c’è della critica al mondo moderno, inizialmente velata e poi palesata, dall’altro lato invece si evince una sorta di manifesto alla rivendicazione dei diritti delle donne, sciatto e volutamente femminista (nel senso che non riesce neanche ad essere femminista nel modo giusto, come vorrebbe). Ken è ridotto a macchietta della scena, non considerato da Barbie, il giocattolo si sente inutile e privo di significato, e questo crea un profondo contrasto nel film.

Puoi essere tutto quello che vuoi

Barbie invita le donne a pensare di poter essere tutto quello che vogliono: il messaggio, per quanto forte e importante possa essere, viene schiacciato nella banalità e nello stereotipo (curioso come questa parola sia ricorrente) del “non mi serve un uomo per vivere”, ideologia ammissibile ma sessista e di parte. Margot Robbie è, come sempre, unica: la sua capacità di sorridere e piangere allo stesso tempo è qualcosa di eccezionale, l’attrice interpreta la bambola alla perfezione (e non che ci fossero dubbi in tal senso).

Ryan Gosling interpreta un ruolo duale e complesso, introverso in molti sensi e difficilissimo, per quanto a prima vista invece possa apparire sobrio e facile: Ken di fatto vive per coronare il suo sogno d’amore e condivisione con Barbie, sogno utopistico a quanto pare, che porta il personaggio a struggersi dentro, in una caleidoscopica spirale di autodistruzione unita alla scoperta di un patriarcato distopico e sbagliato, per quanto non attinente con la natura dell’anti-eroe che abbiamo di fronte.

Il film di Greta Gerwig ha più buchi di trama di un panciotto insidiato dalle tarme: parte in un modo, poi muta verso una direzione di critica al mondo reale, e infine si rivela essere l’emancipazione banale di una donna che non sa esattamente cosa vuole dalla vita ma che, con la sua forza, lo realizzerà. Cosa? Non si sa!

Barbie è costellato di battute talvolta divertenti, talvolta ridicole e sciocche, volte a spezzare il tema che di base suona come un manifesto femminista che tenta di colpire il mondo maschile, con scarsi risultati di fondo.

Tranquilli è solo un gioco

Barbie in fin dei conti è un giocattolo fatto per essere venduto, e questo conta, quanto meno per la Mattel. L’azienda ha prodotto il film e non si è certo risparmiata alle battute su sé stessa, dimostrando di essere capace di ridersi addosso (purché venga pagata). Al netto dei problemi di trama, fatti di personaggi inspiegabili come Allan, che sembra essere unico e senza un significato specifico, una voce fuori campo che non sappiamo chi sia, e tanto altro, Barbie non convince minimamente.

Artisticamente parlando il film è ottimale: scene e materiali di scena riproducono fedelissimamente il perfetto scenario da gioco che qualsiasi bambina avrebbe sognato da piccola: la Casa da Sogno rosa, l’auto rosa, la piscina finta con gonfiabili, e perfino il frigorifero, con tanto di adesivo a riprodurre il cibo e solo l’anta dello sportello ricca di elementi mobili. L’idea del gioco a Barbie Land è fedelmente riprodotta e si respira come aria di fondo.

Tuttavia lo script non ha bisogno di essere plausibile, è chiaro, stiamo parlando di Barbie, eppure da un lato il film fa di tutto per prendersi sul serio, dall’altro ci troviamo di fronte a barche di carta e razzi spaziali disegnati per poi farci su una battuta, come se lo spettatore non avesse gli strumenti per discernere quanto sta accadendo. Barbie sembra tre film separati, messi insieme solo dal titolo e senza una logica coerente, al punto che inizia con una storia, ce ne racconta un’altra nel mezzo e termina nella maniera più assurda che si possa pensare.

Dimenticherete la pellicola il giorno dopo averla vista o al massimo ricorderete che sì, nel 2023 uscì anche un film su di lei, ma probabilmente se vi chiedessero di cosa parla, non sapreste rispondere.

Barbie
4.5
Voto 4.5
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Senior Editor
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.