Il titolo di questa recensione ha una duplice valenza: se da un lato il gioco davvero ci catapulta all’inferno, dall’altro giocarlo un po’ è stato il mio inferno personale. Premesso che il gioco, dalla forte componente horror, punta molto sull’atmosfera disegnata dagli sviluppatori, grandi intoppi e un generale volo di Icaro minano gravemente questo titolo che, fatto con cognizione di causa, sarebbe potuto diventare un qualcosa di macabro, tetro e cupo al punto giusto da farne parlare bene. Al contrario, quando il detto il troppo stroppia diventa un modo di vivere, nascono titoli come Agony.
Un viaggio infernale
Nel gioco controlleremo un martire condannato all’Inferno che, come unico modo di scappare e tornare nel mondo dei vivi, deve incontrare la Dea Rossa, una delle creatrici dell’Inferno. Il giocatore potrà contare sull’abilità di possedere altri martiri, insieme al suo ingegno per risolvere degli enigmi. Già dalla trama si capisce come il gioco non punti certamente sulla narrazione: è infatti lampante come il vero cuore della produzione di Madmind Studio sia quella di raffigurare una versione dell’Inferno mai vista prima d’ora. Ne Dante’s Inferno ne giochi simili avevano mai portato l’orrore dell’Eterna Condanna in un modo così sanguinolento, e l’idea era decisamente ben strutturata. Ma come tutte le idee, all’atto pratico perdono qualcosa.
La dannata ottimizzazione
Il principale nemico di tutta l’idea, almeno nel lato tecnico, è la differenza tra PlayStation 4 e PC: se da un lato su quest’ultimo il gioco ha texture dettagliate, una modalità di controllo valida e quindi un’ottima fruibilità di controllo, sulla console Sony tutto questo si perde in un tripudio di controlli malgestiti e una grafica totalmente rovinata dalla poca ottimizzazione, rendendo tutto da terrificante e infernale ad approssimativo e fastidioso. Con questa recensione noi parliamo esclusivamente della versione console, ma sebbene dal punto di vista contenutistico cambi ben poco, il lato tecnico è fondamentale, soprattutto per la resa dell’atmosfera del gioco stesso.
Superbia
Agony esagera. Attenzione: non parlo di esagerare dal punto stilistico, quello lo tratteremo tra poco. Esagera nel puntare a rendere un gioco del genere una produzione che rispetta tutti i canoni dei giochi moderni e commerciali. Questo succede quando un titolo così, con la durata di 8/10 ore, poteva tranquillamente entrare in un gioco da 4/5 ore, togliendo dall’equazione ripetitive sessioni noiose di enigmi scontati o lunghe sessioni di trial & error. A questo si aggiunge un design lasso, dove corridoi iniziano a sembrare sempre uguali, dove il rosso e il nero, due colori principali di questo gioco, si mescolano e rendono tutto una grande macchia indistinguibile di lentezza e noia.
Ma l’esagerazione non è solo contenutistica: come già detto prima, il troppo stroppia: Agony cade vittima di un massivo utilizzo di corpi decomposti, sangue, budella, organi e sangue, ancora. Questa moltitudine di contenuti che, presi singolarmente, potrebbero darci l’esperienza obiettivo degli sviluppatori, sono così tanti e ammassati che a un certo punto, il giocatore autonomamente si de-sensibilizza a tutto ciò.
Un gioco necessita del gameplay
Immaginate di dover fare una lunga sessione di gioco dove le vostre azioni sono limitate, dove potete solo scappare, bloccare il respiro per non farvi scoprire e, una volta sbagliato, ricominciare quella mezzora che tanto vi ha fatto urlare verso il soffitto della vostra camera. Ecco, Agony è questo: un ripetersi di meccaniche scialbe, con un piatto di stealth poco condito, il tutto sotto un grande e grosso macigno di splatter a condimento. E questo è male, molto male: il gioco ha degli spunti interessanti che davvero avrebbero potuto accalappiare i giocatori.
Per esempio, giocando a difficoltà normale, per impossessarvi di alcuni martiri dovrete capire, senza aiuti, come sbloccarli (magari togliendogli qualcosa di dosso); oppure, certe sessioni di gioco vi mostreranno location nate dai vostri peggiori incubi, dettagliate al centimetro. Altra cosa interessante è la morte: quando infatti verrete divisi in due da alcuni demoni che incontrerete, il vostro spirito, prima di tornare in un nuovo corpo, potrà vagare per un po’ intorno alla zona di morte e vedere da dove è arrivato il nemico, così da studiare la prossima strategia.